Commento

Luce insondabile nelle visioni maledette di Miguel Ángel Bustos

Visione dei figli del male (Asinelli Editori 2024) è un prezioso ponte culturale che porta la voce straziante di Miguel Ángel Bustos al pubblico italiano. La raccolta, tradotta con sensibilità da Laura Branchini, riunisce due opere cruciali del poeta argentino. Si tratta di Visión de los hijos del mal (1967) ed El Himalaya o la moral de los pájaros (1970), che insieme rappresentano l’apice della sua produzione poetica. Il volume, corredato dal testo originale a fronte e da disegni dello stesso Bustos, si distingue per eleganza e profondità, offrendo un’occasione di esplorare un autore tanto venerato in patria quanto sconosciuto in Italia. Miguel Ángel Bustos è una figura avvolta da un’aura di mistero e tragedia. Un poeta bambino che ha fatto della sua arte uno specchio delle sue inquietudini interiori e del suo tempo. Mostrò un talento precoce per la scrittura, componendo i suoi primi versi a soli sette anni.

La sua formazione eclettica – studi di filosofia, padronanza di più lingue e viaggi in America Latina – nutrì una visione del mondo complessa e sfaccettata. Ma anche alimentata da un vivo interesse per il surrealismo, le culture precolombiane e le tradizioni mistiche. La vita di Miguel Ángel Bustos fu un alternarsi di luci e ombre. Da un matrimonio fallito al tentativo di suicidio e al ricovero in ospedale psichiatrico, fino a una tardiva serenità accanto all’illustratrice Iris Alba. Il suo percorso s’intreccia con il fervore politico degli anni Sessanta e Settanta, culminando nel tragico rapimento e assassinio da parte della dittatura militare argentina nel 1976. È un destino che rende la sua opera ancor più intensa, una voce che continua a risuonare nonostante il silenzio imposto dalla repressione. Le due raccolte poetiche in questo volume sono emblematiche dello stile visionario di Bustos.

Visión de los hijos del mal gli valse il Premio Municipal de Literatura de la Ciudad de Buenos Aires nel 1967. Il volume è una discesa nei meandri dell’umano e del divino, un viaggio dove realtà e sogno si confondono. Con immagini potenti e un linguaggio che oscilla tra innocenza e delirio, Bustos evoca un mondo al contempo arcaico e ultraterreno, popolato da figure archetipiche e simboli che richiamano le tradizioni precolombiane. In El Himalaya o la moral de los pájaros, l’autore volge lo sguardo verso le culture indigene delle Americhe, celebrandone la spiritualità e l’intima connessione con la natura. Il volume è arricchito dalla prefazione di Leopoldo Marechal, a cui Bustos portò Visioni, dove si parla di bellezza e assoluto. Ma anche di felicità e drammi fragilità il simbolismo nella tradizione di Charles Baudelaire con echi di Arthur Rimbaud.

Importante nel volume sono l’amore e la malattia, i versi forti che si richiamano al sangue e al piombo. Dunque, la morte, il dolore, la memoria, il sogno. Ma soprattutto … la luce! In alcune parti il volume si fa raccolta di aforismi, per poi lasciare libero spazio alla poesia classica. Sono versi brevi e concisi. Lame verso al cielo e al cuore degli uomini, tra il vento e le donne, le preghiere e gli animali selvaggi, le montagne e la guerra. Le parole di Miguel Ángel Bustos, così visceralmente autentiche, risuonano ancora oggi. «Io non appartengo a nessun secolo vivo al di fuori del tempo […] ma quando morirò, il profeta che è in me si leverà come un bambino senza morale né patria». Il “bambino pazzo”, come lui stesso si definiva, ha lasciato un segno indelebile, testimoniando la forza della poesia di farsi memoria e profezia.

Amedeo Gasparini

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