Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana, per tre giorni in visita ufficiale in Svizzera, atteso e gradito ospite di Ignazio Cassis, Presidente della Confederazione. Un incontro che ha certamente siglato il quadro dei buoni rapporti tra le due Nazioni, condizione di base per superare le tensioni di varia natura che possono nascere da interessi e opzioni politiche diverse. Anche per questo si è creato il Forum per il Dialogo tra la Svizzera e l’Italia – voluto nel 2013 dall’allora ambasciatore svizzero a Roma, il ticinese Bernardino Regazzoni – e ormai giunto alla sesta edizione (Zurigo, 21-22.10.2022).
Dopo le luci della ribalta dell’ufficialità vien voglia di pensare alla situazione dell’italiano come lingua e cultura della e nella Confederazione. Al di là dell’italofonia, quanta italianità e, per chi lo vuole, quanta italicità si vive e si percepisce nel modo di vivere nella Svizzera di oggi? E cosa ne sarà domani?
Un primo modo per scoprire la nostra sensibilità tra svizzerità e italicità, un neologismo emerso negli ultimi trent’anni per considerare le nuove frontiere della lingua e della cultura italiana nel mondo globalizzato e digitalizzato (Piero Bassetti) è di andare per le strade, nei quartieri alla scoperta di nuovi fenomeni e realtà, sempre più fluide e meno territoriali.
Basta percorrere i titoli di due recenti pubblicazioni: Dalla valigia di cartone al web – la rete sociale degli italiani in Svizzera e Italiano on the road – Per i quartieri e le strade di Zurigo, Basilea e Ginevra.
L’osservazione mostra interessanti spunti e tendenze che vanno ben oltre l’approccio nei termini, pur con tutto il rispetto della loro valenza, di una stretta italofonia misurata sui criteri delle percentuali di italofoni presenti a questo o a quel livello. Si va verso l’apprezzamento di un italiano totale – come ama affermare Verio Pini, presidente di Coscienza svizzera, l’associazione da tempo attiva nella promozione di questo filone di ricerca. Ricordiamo, del 2005, il Manifesto per un federalismo plurilingue. Nell’italiano totale si tiene conto delle nuove mobilità che pervadono la nostra società superando – ma purtroppo ancora tante volte accompagnando – quelle dei fenomeni migratori e dei tradizionali criteri di territorialità. In particolare, si considerano le seconde e terze generazioni e sempre più «tutte quelle persone che si sentono vicini alla cultura e al modo di vita della civiltà italica, anche se condividono più sentimenti di appartenenza e addirittura che non si esprimono abitualmente in lingua italiana». Questa realtà esiste ed è assunta dal neologismo dell’italicità.
Andando per le strade, sociologi e linguisti – ma non solo – ritrovano l’italiano non tanto nei luoghi delle little Italy o dei tradizionali circoli e associazioni degli immigrati – isole di resistenza o di salvaguardia delle originali identità – ma nelle nuove dinamiche plurilingue. L’italiano, la sua cultura e la sua civiltà si ritrovano in altre modalità identitarie (il brand italofono) e dei segni (la forza del made in Italy) e, sempre più, nelle reti sociali e in processi di ibridazione aperti (l’italiano degli altri), e quindi tutti da scoprire. E questo vale per tutte le lingue.
Un secondo modo di percepire e di valorizzare l’identità italica del nostro Paese è quella che passa attraverso l’agire, quindi le testimonianze di ognuno. Di fronte a una mobilità individuale e per scelta, «la lingua» – scrive Rosita Fibbi, sociologa delle migrazioni dell’Università di Losanna – «non è tanto di uno Stato e tantomeno di un territorio ma, piuttosto, è di chi la parla». Quasi un residente su otto in Svizzera ha un legame con l’italianità, in varia gradazione: è italofono, ha origini italiane, ha affinità con la cultura o la lingua italiana. Oggi troviamo personalità italiche in tutti gli strati sociali e in posti una volta impensabili: alla testa di grandi e medie imprese del mercato globale, nelle banche, nelle scuole universitarie e nei politecnici, nei poliedrici centri e nelle più svariate manifestazioni culturali e artistiche. Queste persone non si esprimono probabilmente in italiano sul lavoro, ma pensano, sognano e agiscono in italiano; come dalla dichiarazione di Ignazio Cassis al momento della sua elezione nel Consiglio federale.
Un grande esempio di testimonianza culturale italica, nella Confederazione e all’estero, è quello del poschiavino Grytzko Mascioni. A lui è dedicato un volume edito in questi giorni, dove Sergej Roić – incaricato da Coscienza svizzera e dall’Istituto di ricerca sulla cultura grigione – descrive ed esamina il ruolo di Mascioni come mediatore culturale presso l’Istituto italiano di cultura a Zagabria (e poi a Dubrovnik) durante gli anni successivi all’indipendenza (1991), ma dove quasi allo stesso momento gli scontri latenti tra serbi e croati si trasformano in conflitto. La Croazia è un Paese multietnico e multiculturale e l’italicità dello svizzero – unita ad una profonda cultura, allo spirito creativo e alla capacità di tessere relazioni – permette a Mascioni di sviluppare la mutua conoscenza tra realtà culturali diverse, dando vitalità e visibilità agli scambi.
I telespettatori meno giovani ricorderanno del resto Mascioni come regista, direttore e curatore di programmi televisivi di una Radiotelevisione che vuol essere non della Svizzera italiana, ma di lin-gua e cultura italiana. Penso che sia il caso di tener ben presente anche questa italicità, quale “presenza totale” dell’italiano, in un momento invece dove l’esistenza stessa del servizio radiotelevisivo è minacciata da un’iniziativa per una drastica riduzione delle sue risorse.
Remigio Ratti
Mattarella in Svizzera, tra ufficialità e italicità
Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica italiana, per tre giorni in visita ufficiale in Svizzera, atteso e gradito ospite di Ignazio Cassis, Presidente della Confederazione. Un incontro che ha certamente siglato il quadro dei buoni rapporti tra le due Nazioni, condizione di base per superare le tensioni di varia natura che possono nascere da interessi e opzioni politiche diverse. Anche per questo si è creato il Forum per il Dialogo tra la Svizzera e l’Italia – voluto nel 2013 dall’allora ambasciatore svizzero a Roma, il ticinese Bernardino Regazzoni – e ormai giunto alla sesta edizione (Zurigo, 21-22.10.2022).
Dopo le luci della ribalta dell’ufficialità vien voglia di pensare alla situazione dell’italiano come lingua e cultura della e nella Confederazione. Al di là dell’italofonia, quanta italianità e, per chi lo vuole, quanta italicità si vive e si percepisce nel modo di vivere nella Svizzera di oggi? E cosa ne sarà domani?
Un primo modo per scoprire la nostra sensibilità tra svizzerità e italicità, un neologismo emerso negli ultimi trent’anni per considerare le nuove frontiere della lingua e della cultura italiana nel mondo globalizzato e digitalizzato (Piero Bassetti) è di andare per le strade, nei quartieri alla scoperta di nuovi fenomeni e realtà, sempre più fluide e meno territoriali.
Basta percorrere i titoli di due recenti pubblicazioni: Dalla valigia di cartone al web – la rete sociale degli italiani in Svizzera e Italiano on the road – Per i quartieri e le strade di Zurigo, Basilea e Ginevra.
L’osservazione mostra interessanti spunti e tendenze che vanno ben oltre l’approccio nei termini, pur con tutto il rispetto della loro valenza, di una stretta italofonia misurata sui criteri delle percentuali di italofoni presenti a questo o a quel livello. Si va verso l’apprezzamento di un italiano totale – come ama affermare Verio Pini, presidente di Coscienza svizzera, l’associazione da tempo attiva nella promozione di questo filone di ricerca. Ricordiamo, del 2005, il Manifesto per un federalismo plurilingue. Nell’italiano totale si tiene conto delle nuove mobilità che pervadono la nostra società superando – ma purtroppo ancora tante volte accompagnando – quelle dei fenomeni migratori e dei tradizionali criteri di territorialità. In particolare, si considerano le seconde e terze generazioni e sempre più «tutte quelle persone che si sentono vicini alla cultura e al modo di vita della civiltà italica, anche se condividono più sentimenti di appartenenza e addirittura che non si esprimono abitualmente in lingua italiana». Questa realtà esiste ed è assunta dal neologismo dell’italicità.
Andando per le strade, sociologi e linguisti – ma non solo – ritrovano l’italiano non tanto nei luoghi delle little Italy o dei tradizionali circoli e associazioni degli immigrati – isole di resistenza o di salvaguardia delle originali identità – ma nelle nuove dinamiche plurilingue. L’italiano, la sua cultura e la sua civiltà si ritrovano in altre modalità identitarie (il brand italofono) e dei segni (la forza del made in Italy) e, sempre più, nelle reti sociali e in processi di ibridazione aperti (l’italiano degli altri), e quindi tutti da scoprire. E questo vale per tutte le lingue.
Un secondo modo di percepire e di valorizzare l’identità italica del nostro Paese è quella che passa attraverso l’agire, quindi le testimonianze di ognuno. Di fronte a una mobilità individuale e per scelta, «la lingua» – scrive Rosita Fibbi, sociologa delle migrazioni dell’Università di Losanna – «non è tanto di uno Stato e tantomeno di un territorio ma, piuttosto, è di chi la parla». Quasi un residente su otto in Svizzera ha un legame con l’italianità, in varia gradazione: è italofono, ha origini italiane, ha affinità con la cultura o la lingua italiana. Oggi troviamo personalità italiche in tutti gli strati sociali e in posti una volta impensabili: alla testa di grandi e medie imprese del mercato globale, nelle banche, nelle scuole universitarie e nei politecnici, nei poliedrici centri e nelle più svariate manifestazioni culturali e artistiche. Queste persone non si esprimono probabilmente in italiano sul lavoro, ma pensano, sognano e agiscono in italiano; come dalla dichiarazione di Ignazio Cassis al momento della sua elezione nel Consiglio federale.
Un grande esempio di testimonianza culturale italica, nella Confederazione e all’estero, è quello del poschiavino Grytzko Mascioni. A lui è dedicato un volume edito in questi giorni, dove Sergej Roić – incaricato da Coscienza svizzera e dall’Istituto di ricerca sulla cultura grigione – descrive ed esamina il ruolo di Mascioni come mediatore culturale presso l’Istituto italiano di cultura a Zagabria (e poi a Dubrovnik) durante gli anni successivi all’indipendenza (1991), ma dove quasi allo stesso momento gli scontri latenti tra serbi e croati si trasformano in conflitto. La Croazia è un Paese multietnico e multiculturale e l’italicità dello svizzero – unita ad una profonda cultura, allo spirito creativo e alla capacità di tessere relazioni – permette a Mascioni di sviluppare la mutua conoscenza tra realtà culturali diverse, dando vitalità e visibilità agli scambi.
I telespettatori meno giovani ricorderanno del resto Mascioni come regista, direttore e curatore di programmi televisivi di una Radiotelevisione che vuol essere non della Svizzera italiana, ma di lin-gua e cultura italiana. Penso che sia il caso di tener ben presente anche questa italicità, quale “presenza totale” dell’italiano, in un momento invece dove l’esistenza stessa del servizio radiotelevisivo è minacciata da un’iniziativa per una drastica riduzione delle sue risorse.
Remigio Ratti