Una grande mostra dell’artista tedesco al Museo d’arte di Mendrisio
Chissà perché di Max Beckmann (Lipsia 1884-New York 1950) poco si parla, quasi nulla in area culturale di lingua italiana. Eppure ha amato e frequentato a più riprese l’Italia e il mondo mediterraneo e da qui ha preso ispirazione per il versante più felice della sua pittura. Una sorta di controcampo rispetto al suo mondo pittorico più tipico, quello concentrato su situazioni esistenziali drammaticamente segnate dalle guerre e dalle dittature. Tanto che il suo itinerario artistico e umano si manifesta ai nostri occhi – visitando la mostra al Museo d’arte di Mendrisio – come la parabola esemplare della condizione artistica, sociale ed esistenziale nei decenni tra le due guerre mondiali.
Dopo una prima formazione nell’Accademia di Weimar, il ventenne Beckmann soggiorna a Parigi e a Ginevra, completando l’intelligente aggiornamento sulle avanguardie del primo Novecento. Le opere degli anni giovanili mostrano vari esperimenti stilistici, dal tardo impressionismo al realismo, sempre caratterizzati da un intenso segno grafico. Dopo il 1906 si trasferisce a Berlino, capitale di una Germania in piena espansione, che corre verso la tragedia della prima guerra mondiale. Attraverso l’espressionismo esprimerà la lacerazione fisica e morale della Germania sconfitta. Intanto le esperienze internazionali e i viaggi a Parigi lo rendono attento ad altri movimenti europei, come il cubismo e il “ritorno all’ordine” degli anni Venti. La sua pittura si fa meno aspra con scene e personaggi dai volumi semplificati, monumentali, col recupero del gusto per il colore e il riferimento all’arte antica (Tintoretto, Michelangelo, Luca Signorelli ma anche Rembrandt), alla mitologia greca e all’architettura romana. Scelte culturali alle quali teneva molto, tanto da rifiutarsi di essere coinvolto o inserito all’interno di un gruppo o di un movimento artistico, incarnando, nello scenario dell’arte moderna, l’immagine di figura isolata e particolare. Ancor più quando il suo percorso professionale (era direttore dell’Accademia di Francoforte) ha una brusca interruzione: la sua arte viene bollata come “entartete Kunst”, arte degenerata, è costretto a lasciare la Germania in seguito alle persecuzioni naziste, dapprima ad Amsterdam e poi negli Stati Uniti.
La mostra di Mendrisio getta uno sguardo complessivo e per certi versi documentato in modo nuovo, grazie in particolare al contributo in catalogo di Siegfried Gohr, tra i massimi e più aggiornati studiosi dell’artista. Lo fa attraverso 30 dipinti (dal 1905 al ’50), un’importante sezione di grafica con 80 opere, 2 bronzi, un’iniziale introduzione documentale ottimamente rifornita, un succedersi di schede interessanti che accompagnano ogni sezione della mostra. Il visitatore è preso per mano e guidato all’interno dell’universo di Max Beckmann, artista dalla forte personalità e testimone attento della storia del Novecento.
Dalmazio Ambrosioni
Mendrisio, Museo d’arte Max Beckmann. Dipinti, sculture, acquarelli, disegni e grafiche.
Fino al 27 gennaio 2019. Orari: ma-ve 10-12, 14-17; sa-do-festivi 10-18.