Titolo: Mindhunter
Genere: Drammatico
Distributore: Netflix
Stagioni: 2
Creato da: Joe Penhall, dal libro di John E. Douglas e Mark Olshaker
Produttore: Jim Davidson
Produttore esecutivo: David Fincher, Charlize Theron, Josh Donen, Ceán Chaffin
Cast: Jonathan Groff, Holt McCallany, Anna Torv, Stacey Roca, Joe Tuttle, Michael Cerveris
Regia: David Fincher, Andrew Dominik, Carl Franklin
TRAMA
Siamo alla fine degli anni ’70, due agenti, Holden Ford (Jonathan Groff) e Bill Tench (Holt McCallany), dell’FBI iniziano a studiare e approfondire un’area fin allora sconosciuta: la psicologia criminale; avvicinandosi così al modo di pensare di quei mostri reali che tutti noi conosciamo oggi come “Serial Killer”.
L’età dell’oro, sono considerati così gli anni ’70 e spesso ricordati con un pizzico di nostalgia; ma Mindhunter ci mostra un lato diverso, più oscuro, fatto di complicati antieroi: assassini che con i loro omicidi hanno segnato profondamente la cultura e la società americana. È così che questa serie televisiva, basata sull’omonimo libro di John E. Douglas, ci porta all’alba della psicologia criminale e della profilazione, quando l’FBI cerca di comprendere le azioni di assassini depravati.
Il primo episodio della prima stagione introduce l’agente Ford, giovane negoziatore di ostaggi, che cerca di entrare in empatia con un sequestratore pazzo; ma questo tipo di approccio non è “benvenuto” nell’FBI di quegli anni, anzi, è visto come un qualcosa di fin troppo radicale. Successivamente Ford incontra la giovane Debbie (Hannah Gross), studentessa di scienze comportamentali e chiacchierando rimane affascinato dalle possibilità di rivelazione che derivano dalla psicologia criminale. Tra il primo e il quarto episodio Ford convincerà un agente più anziano, Bill Tench, a unirsi a lui per intervistare diversi assassini con l’intento di scoprire non tanto il come dei loro crimini… ma il perché.
Episodio dopo episodio si viene a creare una strategia psicologica in cui lo spettatore impara le tecniche, passo per passo, insieme ai protagonisti. Nulla è anticipato, nulla è scontato e questo è la chiave magica di questa serie che trasporta il pubblico nell’abisso oscuro della mente umana senza mai distrarlo da una realtà: gli assassini che vedete sono reali. Sono tutti esistiti realmente, così come i crimini commessi.
ANALISI DELLA SERIE MINDHUNTER
La prima cosa che bisogna dire di questa serie televisiva è che non cade mai nel banale. Eppure, all’apparenza può apparire un tema visto e rivisto in televisione… e invece no. La chiave vincente di questa serie americana è la capacità di raccontare l’istituzione del profiler e del suo linguaggio. È ciò che accade “prima” di serie come Criminal Minds o del film Il Silenzio degli innocenti. Ma con una differenza fondamentale: qui si trascorre il tempo con i mostri dei crimini, si ha il tempo di conoscerli, di osservarli nei loro maniacali rituali, ma soprattutto di ascoltarli. Non c’è una caccia, i crimini sono già stati commessi, i colpevoli sono stati condannati, non ci viene mostrato l’omicidio, ma qualcosa d’altro: le conseguenze di quei crimini, le cicatrici e si segni immortalati che portano ad un conflitto psicologico perché per avere risposte sul “Perché” del omicidio bisogna inevitabilmente parlare con chi l’ha commesso; cercando di convincerlo a rivelare i suoi segreti, avvicinandosi il più possibile a quel lato oscuro della mente umana… con la speranza di non perdersi dentro di essa.
Più tempo si trascorre con i serial killer più siamo affascinati dalla serie… nulla è lasciato al caso, tutto è studiato ai minimi dettagli. La prima puntata di Mindhunter vede Holden negoziare con un sequestratore, cerca di capirlo, di tranquillizzarlo, ma le cose si complicano e sfuggono di mano; al termine della scena di apertura il criminale si uccide con un colpo di pistola lasciando l’agente e lo stesso spettatore senza parole. Lui, come tanti altri agenti, non sa perché di certe azioni, così come non sa il perchè avvengono certi omicidi; da lì prende vita la riflessione sulla psicologia criminale. Gli agenti Ford e Tench guidano loro stessi e lo spettatore nelle celle degli assassini più spietati mai esistiti, per conoscere i retroscena, i dettagli, e tutto il background di questi criminali. È così che il pubblico si ritrova seduto affianco al duo ad ascoltare e a intervistare… da un lato rimanendo affascinato e dall’altra frastornato dalla consapevolezza che tutto ciò che viene detto, è accaduto davvero nella vita reale. Perché come già accennato in precedenza la serie è basata sul libro Mindhunter: Inside the Elite Serial Crime Unit dell’FBI (dell’ex agente dell’FBI John E. Douglas e coautore Mark Olshaker).
Alla fine di ogni singola puntata quasi non ci si vuole credere che esistano assassini di quel calibro, a tal punto da spingersi a cercarli su Google per averne la certezza. Esistono. Esistono tutti: da Ed Kemper, a Charles Manson fino William “Junior” Pierce.
La genialità della serie traspare grazie anche alla regia, in particolar modo quella di David Fincher (tornato sul piccolo schermo per la prima volta dopo House of Cards), i cui tratti distintivi non passano inosservati: colori sbiaditi, universi corrotti, e un’immaginazione avvincente e violenta. Fincher si concentra sull’umore di quegli anni… è tempo di transizione e cambiamenti, dove la lotta razziale e sessuale è una realtà ancora fortemente presente. Un’essenza retrò in chiave moderna, con ingegnosi montaggi visivi; Fincher permette di creare una qualità seriale meticolosa, che attira nel suo mondo marrone dove il risolutore del crimine è al centro della scena, piuttosto che i crimini stessi o le loro vittime.
Sceneggiatura e recitazione? Entrambe impeccabili. Dove non si riesce a stabilire se il tutto è più interessante o avvincente. Dialoghi onesti e crudi, a volte lasciati a metà, così come nella vita reale. Approcci originali e nuovi, con dialoghi eccessivi e teatrali così come i protagonisti.
Conversazioni pesanti, performance profonde e una regia ineccepibile fanno di Mindhunter la serie meglio realizzata sul piccolo schermo in questo momento.
VOTI
Recitazione: 9/10
Sceneggiatura, montaggio, regia: 10/10
Musica: 8/10
Maria Elisa Altese