«L’oscurità è un’alleata preziosa, ma finisce per divorare coloro che si servono di lei». Nessuno tra gli scrittori americani della nostra epoca ha conosciuto — e attraversato — l’oscurità più a lungo di Nick Tosches, scomparso a 69 anni nella sua casa nel Greenwich Village a New York, il suo quartiere da mezzo secolo, da quando si era trasferito dal natìo New Jersey dei bar di terz’ordine frequentati da persone che gli insegnarono i rudimenti dei lati oscuri della vita. I lati oscuri sui quali indagò attraverso una carriera letteraria straordinaria e impossibile da definire.
Tosches è stato un critico di musica rock — faceva a gara con gli altri due «Noise Boys», Lester Bangs e Richard Meltzer, a chi scriveva l’articolo più letto. Ecco poi il libro sulla musica country e la biografia di Jerry Lee Lewis largamente considerata di riferimento (Con me all’inferno. La vita straordinaria di un re del rock, volume pubblicato in Italiano da Alet), un altro libro sugli «eroi sconosciuti del rock’n’roll». E poi il libro che nel 1986 gli cambia vita e carriera, Il mistero Sindona (edito in Italiano prima da SugarCo in versione tagliata e poi da Alet integralmente). «Di Michele si diceva sedesse sul trono del male del mondo. Chi poteva intrigarmi di più?», spiegò anni dopo. Sindona è il simbolo di tutto quello che interessò a Tosches come scrittore: il mondo dell’oscurità indispensabile per quello visibile agli occhi del mondo, il riciclaggio come motore dell’economia e la duplicità come metodo. Da qui in poi Tosches comincia a scrivere romanzi: Le Triadi (Tea edizioni), e soprattutto La mano di Dante (Mondadori), il più riuscito. Uno scrittore autodidatta e esperto di letteratura classica e di Dante che si chiama «Nick Tosches» viene ingaggiato da un gangster per autenticare il manoscritto, rubato, della Divina Commedia. Tosches viaggia nel tempo e racconta Dante ragazzo, sdraiato sull’erba che immagina «nove cieli, non sfere celesti ma cieli della terra, cieli di nube e soffio d’aria», dà una spiegazione plausibile del misterioso motivo che portò un uomo freddo, pieno di astio, ossessionato dal ricordo di una donna che non era sua moglie, a scrivere la Commedia — era condannato a vedere Dio ovunque posasse lo sguardo, anche sulle vene della fronte della donna amata.
Qui c’è il talento di Tosches allo stato più puro: la bellezza dello stile e l’erudizione letteraria e la conoscenza diretta del mondo della malavita, dei suoi rituali. Ne La mano di Dante attraversa registri diversissimi, gioca con il postmoderno (che disprezzava, ovviamente): perfino una delle rare stroncature, Oltreoceano, del romanzo, consigliava di leggerlo per il talento viscerale dell’autore capace di prendere alla gola il lettore. Un dono raro nel 2002, quando uscì, come lo è oggi.
Tosches, malfermo nella salute a causa del diabete e dei segni di una vita vissuta a tutto volume, ebbe tempo per scrivere altre biografie di classe assoluta, raccontando la vita di Dean Martin in un libro lunghissimo con quasi 200 pagine di note e fonti bibliografiche (Dino. Dean Martin e la sporca fabbrica dei sogni, Dalai): Tosches usa Martin per raccontare il lato oscuro dello show business, la storia di un uomo miracolosamente non cinico che sopravvisse a Hollywood. E poi Il diavolo e Sonny Liston (Mondadori) sul pugile che secondo l’autore morì in modo non accidentale, ucciso dai mafiosi che l’avevano convinto a truccare un match. Un saggio per intenditori, Where Dead Voices Gather sul cantante — dimenticato — Emmett Miller, un’altra biografia di gangster (King of the Jews), un romanzo scritto in extremis, negli anni della malattia, Sotto Tiberio (Mondadori), nel quale tornano i suoi temi — il Vaticano, la filologia, il giallo, il volto nascosto e osceno del potere.
Quando morì il suo amico fraterno Hubert Selby jr, autore di Ultima fermata Brooklyn, Tosches scrisse su «Libération» che «i miei santi sono sempre venuti dall’inferno, e ora non ho più un santo da venerare». Non ci sarebbe nulla di male se qualcuno, tra i lettori famosi e non famosi che hanno amato libri di Tosches, oggi pensasse la stessa cosa. (fonte: Corriere della sera/cultura)