Commento

Nel corpo e nella follia di Antonin Artaud

Questo corpo è un uomo (Neri Pozza 2024) raccoglie parte dei cahiers di Antonin Artaud scritti tra il 1945 e il 1948. Il poeta-drammaturgo inizia a comporli durante l’internamento in ospedale psichiatrico, quando continua pure la sua scrittura teatrale fino agli ultimi giorni di vita, anche dopo il rilascio e il ritorno a Parigi. Nelle pagine del volume, il corpo emerge attraverso un caleidoscopio di immagini e definizioni mutevoli, che non si cristallizzano mai in un significato univoco. Sono schizzi fulminei che spaziano tra il fisico e il metafisico. Creando un labirinto di pensieri spesso scurrili, Artaud si perde e trascina con sé il lettore. Il diario, si direbbe, di un pazzo. Tra il 1943 e il 1948, durante la permanenza nell’ospedale di Rodez e poi in una casa di cura a Ivry, Antonin Artaud riempie 404 quaderni con una scrittura febbrile.

Questi lavori contengono annotazioni sia a matita che a penna, accompagnate da schizzi e disegni che si sovrappongono al testo. Dal corpus, Lucia Amara ha estratto un’antologia basata su appena ventuno quaderni. Il materiale è stato organizzato secondo cinque categorie tematiche che riflettono le ossessioni ricorrenti di Artaud di quel periodo. Sono: “corpo”, “Dio”, “soffio”, “nome” e “teatro”. Si noti che Artaud stesso aveva selezionato dai suoi quaderni i testi che Paule Thévenin pubblica nel 1978 con il titolo Suppôts et Suppliciations. La scrittura di Artaud nei cahiers è un irregolare, quasi poetica. Fatta di note e pensieri sfuggenti. Il processo di scrittura è fisico, quasi performativo. Artaud scrive “gesticolando”, in una sorta di danza, battendo con un coltello o un martello ogni pagina. I quaderni non seguono né un progetto prestabilito né uno sviluppo sistematico del pensiero del drammaturgo.

Artaud scrive su quelli che lui stesso definisce «piccoli fogli a quadretti di carta staccata da quaderni di scuola». Utilizza matite e penne con inchiostro blu, nero e verde. Il suo processo creativo, da poeta e drammaturgo, consiste nel disgregare le sillabe del linguaggio comune per poi disperderle sulla pagina, giocando con velocità e forza che le parole scritte proiettano, legandole tra loro in un intreccio erotico e poetico. Nei cahiers si riscontrano numerosi errori di ortografia e refusi, così come una frequente assenza di apostrofi e accenti. I quaderni non costituiscono un’opera strutturata con un inizio e una fine. Piuttosto, il riflesso del tormento di Artaud, ossessionato dalla sensazione di essere “defraudato” nel suo corpo, costretto a un’esposizione forzata. Si comincia dunque dal quaderno numero 32. Qui Artaud esordisce quasi con una autobiografia.

«È nel 1918 che io ho sentito in me i primi morsi di quelle ondate interne dell’anima che ci tormentano per prendere corpo. Musica, teatro, pittura, poesia, io capivo che non bastavano più simili concretizzazioni […]. Io non ho mai studiato nulla, ma tutto vissuto e questo mi ha insegnato qualcosa […]. Se la guerra era finita per tutti non era finita per me […]. Sapevo di aver sempre sofferto dell’essere e di essere perché non ho mai voluto essere un rassegnato come gli altri […]. Mi domandavo perché c’ero e che cosa significava esserci». La sofferenza, ma non la lamentela fine a se stessa è al centro del volume. «Io soffrivo a sei anni di non sapere che cosa significa essere». «Io, Antonin Artaud, ho fatto più male di tutti voi, ho avuto più dolori, ho fatto più di tutto, merda o male».

Sull’anima: «L’anima è dappertutto, / non c’è corpo, / ma ci sono esseri tagliati che hanno anime determinate. / È l’essere dell’anima a renderla delimitata in corpo. / L’anima è dappertutto ed è un corpo». «L’anima è un’attività del cuore e il cuore sono io ed è il mistero della vita: io, un soffio di vita, la sua forma è un cazzo eterno la cui anima è un focolaio interno dove un giorno mi contengo come nella mia propria vagina e il cui corpo è l’energia». «Il corpo è l’anima / ed essa non viene da un tragitto / ma da una massa, / tra il culo e il cazzo / si trova la materia madre, / la discesa e la sortita». «Bisogna battere il ferro finché è caldo, quindi bestemmiate, offendete, assumete pose. Il cosiddetto spirito è un’attitudine di piccoli animalculi […]. E sono io».

Ma il protagonista è il corpo. «Sono un corpo / e non una massa». «Io uomo / sono Antonin Artaud / insondabile / indefinibile». «Questo corpo è un uomo […] / Questo uomo è invisibile / perché sempre infinitamente / lontano dall’essere / il quale non può raggiungerlo se non attraverso l’idea che se ne fa […] / Nessuna idea può definirmi / coloro che si appoggiano alle idee vivono in un mondo falso». «Non voglio sessualità / Non voglio donna / […] Più c’è amore più i corpi si allontanano senza contatto e senza scopare / d’altronde il mondo non fu mai basato sui sentimenti o le passioni / il mondo fu sempre basato sull’adempimento difficile della legge del / giusto e dell’ingiusto / che facilita perché esige il più grande distacco / la più grande disaffezione / il più grande allontanamento corporeo affettivo».

«Il corpo di fondo è inesauribile, ma la sua maniera di formarsi in essere è un’espulsione di tutto ciò che da sempre si è rifiutato di essere, cioè uomo e corpo». Poi: «La legge del corpo è di essere, cioè di agire sempre senza mai stancarsi e non di impedirmi, oltretutto, a me, di lavorare». Poi sull’anima e sul corpo: «L’anima è un corpo e non un essere, / viene da un corpo che è anima e qualcosa di più perché è silenzio morto, / non sentimento ma dolore, / prima dell’anima c’è il corpo da cui l’anima energia d’amore è / fuoriuscita con lui, / ma è l’anima a farlo sempre, questo corpo». «L’anima è una parola e uno spirito che non esiste, il corpo è una cosa / che esiste e che regge, / l’anima non è che la profittatrice della sofferenza eterna del corpo».

Importante è anche la scurrilità con tutte le sue metafore crude ed illogiche attorno alla sessualità. «L’albero è cazzo» / «Perché masturberò tutti nel culo perché il culo è l’anima». «Ti mangiamo il culo e tu non puoi impedircelo». «Il cazzo è il mio braccio destro, / le mie figlie nascono come bombe interne di cacca, peti induriti, / cagate un tempo in attesa di essere riprese per essere riscaldate, / masturbate dentro / nella merda, / poi masticate, digerite, rimpiante / emanate all’interno». «Non mi sono mai rotto in pezzi mi sono sempre raccolto / nella posizione più semplice / più oscura / meno rumorosa». La conclusione non potrebbe essere migliore per l’inventore del Teatro della Crudeltà: «Il teatro a venire sarà ciò che la medicina futura avrà cessato d’essere: un rifugio per alienati».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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