Letteratura

Nessun artista tollera la realtà: agli Eventi Letterari l’opera di Janet Frame presentata da Melinda Nadj Abonji

Nessun artista tollera la realtà (Nietzsche)

Melinda Nadj Abonji ci avvicina alla personalità di Janet Frame, che ha scoperto grazie al film Un angelo alla mia tavola della regista Jane Campion. Per Nadj Abonji, la scrittrice neozelandese, cui si devono racconti, romanzi e raccolte poetiche di valore assoluto, rimane un esempio prodigioso, per il coraggio, la sontuosità e l’ironia raffinata. Un’opera in grado di salvare le creature tormentate, conducendole non al paradiso, dal quale siamo ormai stati cacciati, ma all’essenza della poesia.

Così, al Monte Verità, nell’ambito della VII edizione degli Eventi Letterari, si continua a riflettere di tradizione, creatività, invenzione e, soprattutto, di rapporto della letteratura con la realtà. “Janet Frame è tra quelle autrici che amo – dichiara Melinda Nadj Abonji nel suo intervento di inizio pomeriggio – proprio perché sa mettere in discussione il legame tra letteratura e realtà, e va al di là delle parole. Come diceva Nietzsche, nessun artista tollera la realtà. Questa frase implica anche che l’arte crea una propria realtà, che a sua volta ha effetti sulla realtà della vita. È una tematica antica, fondamentale, coinvolgente, come mostra l’Autobiografia di Janet Frame, scritta nel 1980”.

“E corrisponde – ammette la scrittrice – al mio personale credo. Da piccola, davanti al mio spassionato amore per i libri, mi ammonivano che bisognava trovare la giusta misura: certe esperienze – mi facevano notare – si fanno solo vivendo. Io allora rispondevo fiera che, invece, certe esperienze si fanno solo leggendo. Leggere libri significa mettersi in ascolto della voce di piante, animali, anche di coloro che non sono mai nati, prendendo coscienza della propria cecità. La realtà, spesso, banalizza questo tratti della letteratura, leggendola in modo riduttivo come immagine della vita. La letteratura come adattamento più o meno ben riuscito alla vita reale? No: la letteratura è creazione, trasformazione. La vita e l’esistenza sono, semmai, oggetto di ricerca critica della letteratura. L’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile, come diceva Paul Klee. E, aderendo a questa idea, mi ispiro proprio a Janet Frame”.

Nel 1957 esce il primo romanzo di Frame, che sarebbe poi stato spesso considerato come autobiografico. “L’autrice è scioccata. Il linguaggio, per chi sostiene questa tesi, crea la realtà e ogni frase può costituire un verdetto. In particolare, Frame, dichiarata dai medici schizofrenica, dovette battersi per dimostrare che, nonostante le cure, non era stata sottoposta ad alcuna lobotomia, come invece un personaggio del suo libro. I medici identificano la letteratura con la realtà, negando alla letteratura quella forza, quel potere creativo che è invece necessario alla sua esistenza. Essi leggevano cioè il libro di Frame per trovare conferma della vita vissuta. Il mito della follia di Frame veniva alimentato dal suo stesso libro”.

“Frame, invece, ha questa straordinaria capacità di vedere quando sia suggestivo e manipolativo il linguaggio della realtà, che afferma di sapere come stanno le cose realmente. La letteratura, per la scrittrice, deve fare proprio questo: mettere in dubbio l’autorità della realtà stessa; la letteratura, dunque, come alternativa a ciò che sembra essere reale. Con le parole scritte, semmai, si può fare un viaggio che diventa previsione del reale”.

Laura Quadri

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