Niuna lingua originariamente non è né elegante né barbara, niuna non è pienamente e assolutamente superiore ad un’altra. […] Niuna lingua è pura. Non solo non n’esiste attualmente alcuna di tale, ma non ne fu mai, anzi non può esserlo. (Melchiorre Cesarotti)
L’intuizione dell’abate padovano Melchiorre Cesarotti, l’iniziatore del moderno pensiero linguistico, è oggi più che mai attuale. A testimoniarlo sono le recenti pubblicazioni di Andrea Moro (La razza e la lingua, La nave di Teseo, 2019) e di Lorenzo Tomasin (Il caos e l’ordine, Einaudi, 2019). Ospiti dell’incontro svoltosi ieri alla Biblioteca cantonale di Lugano – moderato dal direttore Stefano Vassere, insieme al linguista ticinese Alessio Petralli, direttore della Fondazione Möbius Lugano – i due linguisti sono partiti proprio da questo assunto: è errato ritenere che esistano lingue migliori di altre, banali o geniali, musicali o stonate. Su questo aspetto insiste in maniera particolare nel suo libro Andrea Moro, professore di Linguistica generale alla Scuola Universitaria Superiore IUSS Pavia.
Il libro La razza e la lingua, presentato da Lorenzo Tomasin, ha come punto cardine il fatto che le regole del linguaggio non siano convenzioni arbitrarie che dipendono dalla cultura: esse sono limitate dall’architettura neurobiologica del cervello. Le lingue sono variazioni possibili su un unico tema. Da un punto di vista biologico, secondo Andrea Moro, parliamo tutti la stessa lingua, da sempre. Dietro la superficiale e ingovernabile varietà delle lingue umane si nasconde una profonda unità. In aggiunta, tutte le lingue sono presenti in potenza nel cervello umano, che possiede, per così dire, il “manuale di istruzioni” per tutte le possibili lingue; quella che adottiamo è il frutto di un processo di selezione, uno scarto di una serie di istruzioni per le altre lingue.
Moro, avvalendosi degli esperimenti fatti attraverso le tecniche di neuroimmagini, lancia un attacco diretto alle teorie razziste basate sulla lingua: non esistono lingue migliori di altre perché il linguaggio dipende da istruzioni iscritte nel patrimonio genetico che precedono l’esperienza e dunque le influenze ambientali. Il linguaggio segue un codice universale che appartiene a tutti, anche se parliamo lingue diverse.
Il caos e l’ordine di Lorenzo Tomasin, professore di Filologia romanza e di Storia della lingua italiana all’Università di Losanna, in maniera analoga al libro di Moro, pone in dialogo linguistica, evoluzionismo e neuroscienze. L’autore, in questo caso, propone un percorso attraverso la cultura europea che culmina in una proposta di lettura della storia umana da un punto di vista linguistico, mediante lo studio delle lingue romanze, cioè discese dal latino: dall’italiano al portoghese, dallo spagnolo al francese, dal sardo al romeno.
Quella proposta da Tomasin, ha esordito Andrea Moro, è una storia avvincente: caratterizzato da una struttura a incassi progressivi, non c’è un singolo aspetto del libro che non venga esemplificato con un caso. Le lingue appaiono come un mutevole e inafferrabile fenomeno di cui la ragione umana fatica a venirne a capo; un “caos” linguistico che Tomasin cerca di ricondurre a un “ordine”, rendendo conto di quel complesso processo che è il linguaggio umano. Lo studio delle lingue ha qui come obiettivo non solo quello di comprendere popoli e cultura, ma di riscrivere la storia: «Non è la lingua a essere un oggetto storico. È la storia a essere nel suo insieme un fenomeno linguistico».
Lucrezia Greppi