Ascolterò gli angeli arrivare (Crocetti Editore 2024), curata e tradotta da Andrea Romanzi, offre al pubblico italiano una prospettiva fondamentale sull’opera del Premio Nobel Jon Fosse. Questa raccolta di poesie, scritte nell’arco di diversi decenni, rivela la dimensione più intima e profonda di un autore principalmente celebrato per il suo teatro. Ma che ha sempre considerato la poesia come il fondamento della sua arte. Nato nel 1959 a Haugesund in una famiglia di fede pietista, Jon Fosse ha sviluppato una sensibilità artistica radicata nella spiritualità e nel paesaggio della sua Norvegia. Durante gli anni universitari a Bergen, dove studiò letteratura e filosofia, iniziò il suo percorso letterario, vincendo un concorso di scrittura. La formazione intellettuale, influenzata da autori come William Faulkner e Samuel Beckett, oltre che dalle tragedie greche, ha contribuito a forgiare lo stile riconoscibile del norvegese.
Nella raccolta, presentata con il testo norvegese a fronte, emerge con chiarezza la poetica di Fosse, caratterizzata da una lingua scarna ed essenziale. Qui i piani temporali si sovrappongono in un continuo dialogo tra passato e presente. Come lui stesso ha affermato nel suo discorso per il Nobel, la sua ricerca è volta a «scrivere ciò che solitamente – nel linguaggio parlato comune – non può essere espresso a parole». La sua è una scrittura che si fa preghiera, un ascolto attento di voci che provengono da luoghi misteriosi e indefiniti. I temi del volume spaziano attraverso un vasto panorama esistenziale. La morte e la religione, certamente. Ma anche la lontananza, il regno animale, il cuore, la natura e il legno. La poesia esplora inoltre il cammino, la casa e il silenzio, la luce e la neve, l’amore e la pietra, i fiordi e l’uomo, il cielo e l’oscurità.
Il paesaggio norvegese è una presenza costante nei versi di Fosse. I fiordi, le rimesse delle barche, i fienili si stagliano sullo sfondo di una natura potente e misteriosa. La tecnica poetica di Fosse si distingue per il suo spiccato minimalismo e per l’uso della pausa e della ripetizione. Nel corso dell’opera, questo crea un ritmo che ricorda il movimento delle onde. Quarto scrittore norvegese a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura – dopo Bjørnstjerne Bjørnson (1903), Knut Hamsun (1920) e Sigrid Undset (1928) – Fosse si distingue per la sua capacità di trasformare la quotidianità in esperienza mistica. Il locale in universale. La raccolta si rivela così non solo una raccolta di poesie, ma un vero e proprio viaggio nell’universo letterario di Fosse. Lì, dove ogni verso è una finestra su un mondo in cui la parola poetica diventa strumento di rivelazione e di comprensione profonda della realtà.
Amedeo Gasparini
Ascolterò gli angeli arrivare (Crocetti Editore 2024), curata e tradotta da Andrea Romanzi, offre al pubblico italiano una prospettiva fondamentale sull’opera del Premio Nobel Jon Fosse. Questa raccolta di poesie, scritte nell’arco di diversi decenni, rivela la dimensione più intima e profonda di un autore principalmente celebrato per il suo teatro. Ma che ha sempre considerato la poesia come il fondamento della sua arte. Nato nel 1959 a Haugesund in una famiglia di fede pietista, Jon Fosse ha sviluppato una sensibilità artistica radicata nella spiritualità e nel paesaggio della sua Norvegia. Durante gli anni universitari a Bergen, dove studiò letteratura e filosofia, iniziò il suo percorso letterario, vincendo un concorso di scrittura. La formazione intellettuale, influenzata da autori come William Faulkner e Samuel Beckett, oltre che dalle tragedie greche, ha contribuito a forgiare lo stile riconoscibile del norvegese.
Nella raccolta, presentata con il testo norvegese a fronte, emerge con chiarezza la poetica di Fosse, caratterizzata da una lingua scarna ed essenziale. Qui i piani temporali si sovrappongono in un continuo dialogo tra passato e presente. Come lui stesso ha affermato nel suo discorso per il Nobel, la sua ricerca è volta a «scrivere ciò che solitamente – nel linguaggio parlato comune – non può essere espresso a parole». La sua è una scrittura che si fa preghiera, un ascolto attento di voci che provengono da luoghi misteriosi e indefiniti. I temi del volume spaziano attraverso un vasto panorama esistenziale. La morte e la religione, certamente. Ma anche la lontananza, il regno animale, il cuore, la natura e il legno. La poesia esplora inoltre il cammino, la casa e il silenzio, la luce e la neve, l’amore e la pietra, i fiordi e l’uomo, il cielo e l’oscurità.
Il paesaggio norvegese è una presenza costante nei versi di Fosse. I fiordi, le rimesse delle barche, i fienili si stagliano sullo sfondo di una natura potente e misteriosa. La tecnica poetica di Fosse si distingue per il suo spiccato minimalismo e per l’uso della pausa e della ripetizione. Nel corso dell’opera, questo crea un ritmo che ricorda il movimento delle onde. Quarto scrittore norvegese a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura – dopo Bjørnstjerne Bjørnson (1903), Knut Hamsun (1920) e Sigrid Undset (1928) – Fosse si distingue per la sua capacità di trasformare la quotidianità in esperienza mistica. Il locale in universale. La raccolta si rivela così non solo una raccolta di poesie, ma un vero e proprio viaggio nell’universo letterario di Fosse. Lì, dove ogni verso è una finestra su un mondo in cui la parola poetica diventa strumento di rivelazione e di comprensione profonda della realtà.
Amedeo Gasparini