I vincitori dei due Premi Nobel per la Letteratura 2018 e 2019 sono, rispettivamente, la scrittrice polacca Olga Tokarczuk, che si è distinta per «la sua immaginazione narrativa che, con passione enciclopedica, rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita», e lo scrittore e drammaturgo austriaco Peter Handke «per il suo lavoro influente che con abilità linguistica ha esplorato la periferia e la specificità dell’esperienza umana».
Olga Tokarczuk è una scrittrice polacca già nota al pubblico per aver vinto numerosi premi letterari sia nazionali che esteri. In particolare, nel 2015, vinse il Man Booker International Prize, l’importante premio letterario dedicato alla narrativa tradotta in inglese nel Regno Unito, con I vagabondi (edito in traduzione italiana da Bompiani nel 2018). Si tratta di un romanzo che mescola realtà e finzione ed è incentrato sulle esistenze di uomini e donne fuori dall’ordinario e dalla vita nomade. Il timbro mistico della sua scrittura e la capacità di approfondimento che caratterizzano le sue opere vanno ricondotti – come da lei stesso dichiarato – alla sua formazione: prima di diventare scrittrice di successo studiò psicologia presso l’Università di Varsavia; si considera infatti una discepola di Carl Jung e cita la sua psicologia come un’ispirazione per il suo lavoro letterario.
Peter Handke è uno scrittore, drammaturgo, saggista, poeta, reporter di viaggio e sceneggiatore austriaco, anch’egli già noto per aver vinto, nel 2009, il Premio Franz Kafka. Ha studiato giurisprudenza presso l’Università di Graz, ma senza laurearsi, perché si è dedicato presto alla letteratura, prima attraverso dei pezzi teatrali, poi con racconti, romanzi, saggi, poesie e diari, ai quali si può aggiungere anche qualche esperienza di sceneggiatore per il cinema. Particolare eco ebbe il suo Insulti al pubblico che lo metteva in posizione di sperimentatore e “outsider”. Ha dedicato alla situazione dell’ex-Jugoslavia, tre lunghi reportage, e per solidarietà contro i bombardamenti sui civili in Serbia ha rifiutato il Premio Büchner. Il suo stile è caratterizzato da una scrittura densa e minimale, altamente descrittiva e ricca di visioni quasi cinematografiche.
Quest’anno i premi Nobel per la Letteratura sono due – fatto che non accadeva da ben settant’anni – perché è stato assegnato anche quello del 2018, che l’anno scorso non era stato annunciato per lo scandalo di molestie sessuali che travolse Jean-Claude Arnault, regista e fotografo franco-svedese, portando a una serie di dimissioni dei componenti dell’Accademia svedese, tra i quali la moglie del regista, la poetessa Katarina Frostenson.
Tale vicenda ha duramente colpito l’Accademia, ma ha anche portato ad importanti cambiamenti sia dal punto organizzativo – il regolamento ora prevede l’esclusione dei soggetti interessati da indagini penali e la presenza, nel comitato, di cinque esperti indipendenti che contribuiscono alla scelta dello scrittore da premiare – sia nella scelta dei vincitori: come spiegato nelle scorse settimane da Anders Olsson, presidente della commissione del Nobel, il premio sarà «meno eurocentrico», e «meno maschile».
Questo decisivo e doveroso cambiamento di prospettiva (si noti che dall’inizio della sua storia, nata nel 1901, il premio Nobel per la Letteratura è stato assegnato a un uomo per 100 volte, a una donna per 14) vuole segnare un nuovo inizio, inaugurato dalla nomina di Mats Malm, professore di teoria della letteratura all’Università di Göteborg in Svezia, che succederà a Olsoon alla carica di segretario permanente dell’Accademia Svedese.