Giuseppe Prezzolini e Indro Montanelli sono tra i due maggiori esponenti del pensiero conservatore in Italia, ma nel loro volume Le due “voci” (Baldini+Castoldi 2024) Alberto Mazzuca e Giancarlo Mazzuca non trattano questo aspetto. Esplorano, pertanto, le vicende dei due con particolare riferimento alle rispettive esperienze vociane. La Voce di Prezzolini e Giovanni Papini, con consulenza di Benedetto Croce, è nata a Firenze come un settimanale. «Promettiamo di essere onesti e sinceri», auspicavano i due. La Voce prezzoliniana aveva il bisogno di sprovincializzare gli elementi decadenti della cultura italiana. Ambizioni diverse erano invece quelle di Montanelli che fece nascere la Voce come quotidiano ispirato al giornale del maestro. Entrambi i giornali erano controcorrente. La nascita della Voce fu l’apice della carriera di Prezzolini. Montanelli del suo maestro apprezzava soprattutto il coraggio, ma anche la caparbietà. I Mazzuca scrivono del continuo pessimismo dei due.
La passione di elencare pregi e difetti degli italiani, anzitutto. «Noi italiani non crediamo in nulla e tantomeno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n’è una nella quale riponiamo una fede incontenibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto». A differenza di Prezzolini, Montanelli non fu mai troppo legato ai soldi. Montanelli era inappetente, mentre Prezzolini aveva un debole per la tavola –era molto amico di Giovanni Buitoni. La prosa dei due non mancava mai di humor, fronzoli o barocchismi. Pochissimi gli aggettivi. Entrambi avevano rapporti con la Svizzera, dove Prezzolini si esiliò dopo il soggiorno statunitense e dove Montanelli si rifugiò nel 1944. Entrambi avrebbero lavorato gratis alle rispettive “voci” e avevano collaboratori molto prestigiosi. Il volume dei Mazzuca procede in ordine logico. Prima si dedica a Prezzolini e poi a Montanelli.
Prezzolini era abituato a pensare in grande, esordiscono gli autori. Fu Ardengo Soffici a suggerire il “La voce” e Prezzolini accettò. Come ha scritto Carlo Martini, Prezzolini «ha avuto il merito di cominciare a volgarizzare i problemi economici e finanziari, e di discutere pubblicamente quelle che parevano questioni di specialisti». Infatti, La Voce aveva una vocazione globale – letteraria e anche economica. Si basava sulla collaborazione di due intellettuali triestini, Scipio Slataper (segretario di redazione, che poi ruppe con Prezzolini) e Giani Stuparich. Presto La Voce entrò nel paradigma stesso del Novecento con le sue contraddizioni e malinconie. Ma anche i suoi ideali, come avrebbe scritto nella sua biografia di Prezzolini Luigi Iannone. Benito Mussolini scrisse per La Voce. Il 4 gennaio 1904 inviò una lettera a Prezzolini e in seguito gli chiese anche un aiuto economico – poi concesso, nonostante la tirchieria.
Presero come modello La Voce di Prezzolini: Piero Gobetti (La rivoluzione liberale), Elio Vittorini (Politecnico) e Antonio Gramsci (L’Ordine Nuovo). Il giornale era formato da quattro pagine sugli argomenti dell’epoca. Tra cui: la questione meridionale, i dibattiti sulla Libia e l’interventismo nella Grande Guerra. Luigi Federzoni fu un vociano della prima ora. Il giornale fu molto innovativo perché parlò di divorzio, educazione sessuale, le condizioni della scuola – su questo argomento sulle colonne della Voce scriveva anche Giovanni Gentile. Prezzolini avrebbe poi paragonato Mussolini a Napoleone Bonaparte al momento della marcia su Roma. «Il fascismo è un bolscevismo alla rovescia, che dominerà per tutta una generazione e dal quale non ci libererà altro che un disastro nazionale». Nel Diario (1900-1941) avrebbe scritto: «Anche Mussolini non è riuscito a fare l’unità. Non ha potuto levar di mezzo la monarchia e la monarchia finirà per levar di mezzo lui».
I Mazzuca riconoscono che Prezzolini fu un intellettuale bipartisan. Ai tempi della Voce Prezzolini dovette abbandonare la direzione del giornale che sotto Papini cambiò rotta puntando su temi più letterari. Curiosamente, ricordano i Mazzuca, saranno proprio i vociani a convincere Mussolini a lasciare i socialisti per entrare nel fronte degli interventisti. Per finanziare Il Popolo d’Italia, Mussolini chiese aiuto ancora a Prezzolini, che nel frattempo era entrato in rotta con Croce sull’interventismo. Dopo l’esperienza vociana, Prezzolini venne chiamato alla Columbia University. Si stabilì poi a Parigi, dove ebbe un incarico per la Società delle Nazioni. Quindi ritornò a New York, dove fondò la Casa della Cultura. Nel 1962 pubblicò il Manifesto dei conservatori, dove definì 53 principi del pensiero conservatore. Per Prezzolini, il vero conservatore deve continuare mantenendo e non cercare di tornare indietro ad esperienze fallite.
Nel manifesto, Prezzolini auspicava nuove idee e risposte ispirate a principi permanenti. Ma soprattutto, il fatto che gli uomini sono diversi e non uguali. Sempre nel manifesto cercava di fare chiarezza sulle esperienze del fascismo che fu concepito, a suo dire, da italiani e fatto da italiani; tenuto in vita dagli italiani e accettato dalla maggioranza di essi. Quando i Mazzuca approcciano Montanelli, partono dell’attentato del 2 giugno 1977, quando il giornalista raggiunse l’apice della fama di anticomunista reazionario, il fascista mascherato, come lo accusavano. Fu in quell’occasione che in clinica Silvio Berlusconi gli offrì la sua immediata disponibilità ad entrare nell’azionariato della casa editrice del Giornale, fondato meno di tre anni prima – e dove i Mazzuca hanno lavorato per anni. Dunque, un salto avanti di quindici anni con la crisi con l’editore. Montanelli avrebbe detto che non avrebbe mai considerato Berlusconi come un nemico.
Tuttavia, l’entrata in politica del Cavaliere seppelliva anche la sua indipendenza editoriale. Il 18 settembre 1993 a villa San Martino arrivò Mikail Gorbaciov. Giancarlo Mazzuca, inviato sul posto, ritornò al Giornale con uno scoop: il Cavaliere stava entrando in politica. Montanelli non la prese bene. Il divorzio Berlusconi-Montanelli fu preso dal mondo berlusconiano come un tradimento. Montanelli stesso disse più volte che avrebbe avuto molti vantaggi a restare in Via Negri, ma il prezzo era fare il megafono del politico Berlusconi. La famosa riunione di redazione di Berlusconi fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il 12 gennaio 1994 il Giornale pubblicò il fondo di congedo di Montanelli. Il quale ringraziò i lettori ed affermò di avere conosciuto due persone. Il Berlusconi-amico che lo aiutò nel momento del bisogno. E il Berlusconi-politico che voleva ridurre il Giornale a un organo di Forza Italia.
Nell’editoriale, l’anziano direttore annunciava la nascita de la Voce, dal nome dell’esperimento prezzoliniano. L’avventura vociana fu breve, ma intensa. Dopo la chiusura, però, molti ragazzi rimasero per la strada – lo stesso Alberto non avrebbe trovato lavoro per anni. Il disgelo tra Montanelli e l’ex editore Berlusconi non fu mai totale. Eppure, la Voce era un prodotto originale, modellato sul settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. Ma anche Omnibus del suo altro maestro, Leo Longanesi. Anche Giuliano Prezzolini, figlio del maestro, scrisse una lettera che poi venne pubblicata così come quella di Frank Sinatra sulla prima pagina storica della Voce. I Mazzuca raccontano anche di quando Vittorio Feltri e il suo vice Maurizio Belpietro facevano passeggiate quotidiane sotto Via Turati e guardavano le finestre con area di sfida fumandosi una sigaretta.
In quell’epoca Montanelli si sentì anche dare del comunista e del traditore dalla destra che l’aveva seguito per vent’anni. I problemi finanziari del giornale iniziarono a infittirsi e furono una delle maggiori cause del tramonto della Voce. A Tiziana Abate (Soltanto un giornalista), Montanelli confessò: «Purtroppo aveva ragione Prezzolini quando sosteneva che gli italiani sono allergici al liberalismo e a tutti quei valori che costituiscono morale di un popolo». Nel 1995 il Washington Post definì l’esperienza “vociana” “il 1929 della carta stampata”. Ma erano anni in cui i nuovi media si approcciarono negli spazi editoriali. Dunque, ci furono tagli drastici in tutte le redazioni d’Europa. Ultimo numero della Voce fu il 12 aprile 1995 con il titolo “Il giorno degli sciacalli”, con un fotomontaggio di Montanelli imbavagliato. Dopo l’avventura della Voce pochi riuscirono ad andare al Corriere con Montanelli.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com
Giuseppe Prezzolini e Indro Montanelli sono tra i due maggiori esponenti del pensiero conservatore in Italia, ma nel loro volume Le due “voci” (Baldini+Castoldi 2024) Alberto Mazzuca e Giancarlo Mazzuca non trattano questo aspetto. Esplorano, pertanto, le vicende dei due con particolare riferimento alle rispettive esperienze vociane. La Voce di Prezzolini e Giovanni Papini, con consulenza di Benedetto Croce, è nata a Firenze come un settimanale. «Promettiamo di essere onesti e sinceri», auspicavano i due. La Voce prezzoliniana aveva il bisogno di sprovincializzare gli elementi decadenti della cultura italiana. Ambizioni diverse erano invece quelle di Montanelli che fece nascere la Voce come quotidiano ispirato al giornale del maestro. Entrambi i giornali erano controcorrente. La nascita della Voce fu l’apice della carriera di Prezzolini. Montanelli del suo maestro apprezzava soprattutto il coraggio, ma anche la caparbietà. I Mazzuca scrivono del continuo pessimismo dei due.
La passione di elencare pregi e difetti degli italiani, anzitutto. «Noi italiani non crediamo in nulla e tantomeno nelle virtù che qualcuno ci attribuisce. Ma tra di esse ce n’è una nella quale riponiamo una fede incontenibile: quella della nostra capacità di corrompere tutto». A differenza di Prezzolini, Montanelli non fu mai troppo legato ai soldi. Montanelli era inappetente, mentre Prezzolini aveva un debole per la tavola –era molto amico di Giovanni Buitoni. La prosa dei due non mancava mai di humor, fronzoli o barocchismi. Pochissimi gli aggettivi. Entrambi avevano rapporti con la Svizzera, dove Prezzolini si esiliò dopo il soggiorno statunitense e dove Montanelli si rifugiò nel 1944. Entrambi avrebbero lavorato gratis alle rispettive “voci” e avevano collaboratori molto prestigiosi. Il volume dei Mazzuca procede in ordine logico. Prima si dedica a Prezzolini e poi a Montanelli.
Prezzolini era abituato a pensare in grande, esordiscono gli autori. Fu Ardengo Soffici a suggerire il “La voce” e Prezzolini accettò. Come ha scritto Carlo Martini, Prezzolini «ha avuto il merito di cominciare a volgarizzare i problemi economici e finanziari, e di discutere pubblicamente quelle che parevano questioni di specialisti». Infatti, La Voce aveva una vocazione globale – letteraria e anche economica. Si basava sulla collaborazione di due intellettuali triestini, Scipio Slataper (segretario di redazione, che poi ruppe con Prezzolini) e Giani Stuparich. Presto La Voce entrò nel paradigma stesso del Novecento con le sue contraddizioni e malinconie. Ma anche i suoi ideali, come avrebbe scritto nella sua biografia di Prezzolini Luigi Iannone. Benito Mussolini scrisse per La Voce. Il 4 gennaio 1904 inviò una lettera a Prezzolini e in seguito gli chiese anche un aiuto economico – poi concesso, nonostante la tirchieria.
Presero come modello La Voce di Prezzolini: Piero Gobetti (La rivoluzione liberale), Elio Vittorini (Politecnico) e Antonio Gramsci (L’Ordine Nuovo). Il giornale era formato da quattro pagine sugli argomenti dell’epoca. Tra cui: la questione meridionale, i dibattiti sulla Libia e l’interventismo nella Grande Guerra. Luigi Federzoni fu un vociano della prima ora. Il giornale fu molto innovativo perché parlò di divorzio, educazione sessuale, le condizioni della scuola – su questo argomento sulle colonne della Voce scriveva anche Giovanni Gentile. Prezzolini avrebbe poi paragonato Mussolini a Napoleone Bonaparte al momento della marcia su Roma. «Il fascismo è un bolscevismo alla rovescia, che dominerà per tutta una generazione e dal quale non ci libererà altro che un disastro nazionale». Nel Diario (1900-1941) avrebbe scritto: «Anche Mussolini non è riuscito a fare l’unità. Non ha potuto levar di mezzo la monarchia e la monarchia finirà per levar di mezzo lui».
I Mazzuca riconoscono che Prezzolini fu un intellettuale bipartisan. Ai tempi della Voce Prezzolini dovette abbandonare la direzione del giornale che sotto Papini cambiò rotta puntando su temi più letterari. Curiosamente, ricordano i Mazzuca, saranno proprio i vociani a convincere Mussolini a lasciare i socialisti per entrare nel fronte degli interventisti. Per finanziare Il Popolo d’Italia, Mussolini chiese aiuto ancora a Prezzolini, che nel frattempo era entrato in rotta con Croce sull’interventismo. Dopo l’esperienza vociana, Prezzolini venne chiamato alla Columbia University. Si stabilì poi a Parigi, dove ebbe un incarico per la Società delle Nazioni. Quindi ritornò a New York, dove fondò la Casa della Cultura. Nel 1962 pubblicò il Manifesto dei conservatori, dove definì 53 principi del pensiero conservatore. Per Prezzolini, il vero conservatore deve continuare mantenendo e non cercare di tornare indietro ad esperienze fallite.
Nel manifesto, Prezzolini auspicava nuove idee e risposte ispirate a principi permanenti. Ma soprattutto, il fatto che gli uomini sono diversi e non uguali. Sempre nel manifesto cercava di fare chiarezza sulle esperienze del fascismo che fu concepito, a suo dire, da italiani e fatto da italiani; tenuto in vita dagli italiani e accettato dalla maggioranza di essi. Quando i Mazzuca approcciano Montanelli, partono dell’attentato del 2 giugno 1977, quando il giornalista raggiunse l’apice della fama di anticomunista reazionario, il fascista mascherato, come lo accusavano. Fu in quell’occasione che in clinica Silvio Berlusconi gli offrì la sua immediata disponibilità ad entrare nell’azionariato della casa editrice del Giornale, fondato meno di tre anni prima – e dove i Mazzuca hanno lavorato per anni. Dunque, un salto avanti di quindici anni con la crisi con l’editore. Montanelli avrebbe detto che non avrebbe mai considerato Berlusconi come un nemico.
Tuttavia, l’entrata in politica del Cavaliere seppelliva anche la sua indipendenza editoriale. Il 18 settembre 1993 a villa San Martino arrivò Mikail Gorbaciov. Giancarlo Mazzuca, inviato sul posto, ritornò al Giornale con uno scoop: il Cavaliere stava entrando in politica. Montanelli non la prese bene. Il divorzio Berlusconi-Montanelli fu preso dal mondo berlusconiano come un tradimento. Montanelli stesso disse più volte che avrebbe avuto molti vantaggi a restare in Via Negri, ma il prezzo era fare il megafono del politico Berlusconi. La famosa riunione di redazione di Berlusconi fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il 12 gennaio 1994 il Giornale pubblicò il fondo di congedo di Montanelli. Il quale ringraziò i lettori ed affermò di avere conosciuto due persone. Il Berlusconi-amico che lo aiutò nel momento del bisogno. E il Berlusconi-politico che voleva ridurre il Giornale a un organo di Forza Italia.
Nell’editoriale, l’anziano direttore annunciava la nascita de la Voce, dal nome dell’esperimento prezzoliniano. L’avventura vociana fu breve, ma intensa. Dopo la chiusura, però, molti ragazzi rimasero per la strada – lo stesso Alberto non avrebbe trovato lavoro per anni. Il disgelo tra Montanelli e l’ex editore Berlusconi non fu mai totale. Eppure, la Voce era un prodotto originale, modellato sul settimanale Il Mondo di Mario Pannunzio. Ma anche Omnibus del suo altro maestro, Leo Longanesi. Anche Giuliano Prezzolini, figlio del maestro, scrisse una lettera che poi venne pubblicata così come quella di Frank Sinatra sulla prima pagina storica della Voce. I Mazzuca raccontano anche di quando Vittorio Feltri e il suo vice Maurizio Belpietro facevano passeggiate quotidiane sotto Via Turati e guardavano le finestre con area di sfida fumandosi una sigaretta.
In quell’epoca Montanelli si sentì anche dare del comunista e del traditore dalla destra che l’aveva seguito per vent’anni. I problemi finanziari del giornale iniziarono a infittirsi e furono una delle maggiori cause del tramonto della Voce. A Tiziana Abate (Soltanto un giornalista), Montanelli confessò: «Purtroppo aveva ragione Prezzolini quando sosteneva che gli italiani sono allergici al liberalismo e a tutti quei valori che costituiscono morale di un popolo». Nel 1995 il Washington Post definì l’esperienza “vociana” “il 1929 della carta stampata”. Ma erano anni in cui i nuovi media si approcciarono negli spazi editoriali. Dunque, ci furono tagli drastici in tutte le redazioni d’Europa. Ultimo numero della Voce fu il 12 aprile 1995 con il titolo “Il giorno degli sciacalli”, con un fotomontaggio di Montanelli imbavagliato. Dopo l’avventura della Voce pochi riuscirono ad andare al Corriere con Montanelli.
Amedeo Gasparini
www.amedeogasparini.com