12 novembre – Lecce
Partita da Taranto sotto un diluvio (piove poco, ma quando piove… recupera…, attendono una tromba d’aria dal mare e hanno persino chiuso le scuole). Dal finestrino vedo il temporale che si abbatte sulle coltivazioni, saprò poi che i danni anche qui sono stati ingenti. Il treno arriva con mezz’ora di ritardo, pensavo peggio. Posso ritenermi fortunata, finora ha prevalso il bel tempo e fare del turismo sotto l’acqua non è il massimo. Eccomi nella capitale del Salento, la “Firenze del barocco”, mi sistemo in un bel palazzo vicino alla stazione (quella di trovare alloggi sempre nei pressi dei treni è una mia fisima, determinata forse dal bisogno di sentirmi pronta a ripartire…) e poi m’immergo subito in quell’originale declinazione del barocco così caratteristica della “vecchia” Lecce. La prima impressione è però di trovarmi in una città fantasma: la maggior parte dei negozi, ristoranti, caffè, persino tabaccai è chiusa, qualcuno riporta il cartello delle ferie. Rarissimi i passanti, incontro un solitario turista e lo incrocerò spesso durante il mio itinerario che è anche il suo, così ad un certo punto ci scambiamo informazioni. Visto che continua a piovere mi rifugio nel museo del Seminario, qui il pittore di riferimento è Oronzo Tiso, ma anche Luca Giordano è ospitato nella galleria dei quadri religiosi, una sezione è dedicata agli argenti liturgici. Lì naturalmente, nell’armonica piazza, spiccano la facciata del duomo e il campanile. Un tripudio di ricchezza scultorea, di ricercatezza, ma resto sbalordita dalla cripta e passerò un bel po’ di tempo ad osservare le raffigurazioni dei capitelli di una novantina di colonne, simboli che raccontano nello spazio peraltro austero e sobrio. Sotto s’intravedono gli scavi della chiesa originaria medievale.
Passo di chiesa in chiesa, diverse sono chiuse, tanto per cambiare, come S. Irene. Sulla facciata della Chiesa del Rosario di Giuseppe Zimbalo, un’orgia decorativa, ci sono le impalcature, ma una delle più attrattive è quella di S. Matteo per la facciata borrominiana di Achille Carducci, dalle ondulazioni concave e convesse. Mi fermo in un localino, l’unico aperto, per una gustosa “puccia”, così chiamato il pane della tradizione pugliese farcito con prodotti poveri, stagionali, tipici della cucina del territorio.
Nel frattempo ha smesso di piovere e così posso ammirare in tutta tranquillità le gradinate dell’Anfiteatro Romano, il museo attiguo è chiuso e pure quello archeologico che riaprirà a dicembre, mi rifaccio con il Castello di Carlo V, non per la struttura in sé, ma perché c’è una mostra piccola ma accattivante dedicata ai Ballets Russes con documenti, costumi, statuette, bassorilievi, disegni, stampe, manifesti… che restituiscono memoria dell’epoca di Daghilev, Bakst e compagni… Quando la Russia costruiva un ponte con la cultura occidentale. È considerata un preludio dell’esposizione del 2021 all’Ermitage dove s’incontreranno le collezioni dell’étoile salentina Toni Candeloro e di Michel Kamidian.
13 novembre – Lecce
Voleva aprire un ristorante ed invece si è ritrovato ad essere proprietario di un Museo Archeologico. È l’incredibile storia del signor Luciano Faggiano. Nel 2001 ha iniziato i lavori per sostituire i tubi della fogna nella sua casa e così ha scoperto, strato dopo strato, 2000 anni di storia, stanze sotterranee, pavimenti che risalgono all’epoca dei Messapi, cisterne, granai, tombe, cunicoli, gallerie costruite anche come vie di fuga, un fiume sotterraneo, affreschi con i simboli dei templari, migliaia di reperti che portano anche al convento che c’era prima, per trecento anni, alle sepolture delle suore… La sovrintendenza all’inizio lo ha preso per un tombarolo e ha dovuto affrontare persino denunce, ma è stato lui a finanziare i lavori di ricerca; i reperti più importanti si trovano ora nei magazzini della città, chissà fino a quando; Faggiano non ha voluto ricoprire tutto, anzi lo ha messo a disposizione del pubblico offrendo un percorso espositivo. Il museo ha aperto nel 2008, ma ci sono voluti i servizi di giornalisti stranieri, tra cui anche un articolo apparso sul New York Times nel 2015, perché anche i leccesi se ne accorgessero. Quando sono andata a visitarlo ho conosciuto la signora che fa un po’ la guida volontaria: è la vedova di Severino Albertini, cioè uno del gruppo di speleologi che, con pochissima gratitudine ricevuta, ha scoperto le Grotte dei Cervi, due chilometri di pittogrammi, molti ancora da capire, a Porto Badisco, vicino a Otranto, il complesso neolitico più imponente d’Italia ma, per la delicatezza delle raffigurazioni, non aperto alle visite tranne in casi eccezionali. Non ci sono i soldi per fare le riproduzioni come ad Altamira o a Lascaux. Una meraviglia sepolta e che per la signora ha voluto dire anche anni di battaglie legali per ottenere senza successo la percentuale sulla scoperta.
Continuo il mio tour in Piazza Oronzo che dovrebbe essere il cuore vivo della città. In barba alle previsioni meteorologiche oggi non piove, ma non è che ci siano tante persone in giro o più negozi aperti. È anche vero che a novembre si può avere una idea falsata dell’atmosfera ma non più di quanto si abbia in piena stagione turistica, però colgo al volo una dichiarazione che un passante fa parlando al suo cellulare: «La Puglia è morta…», strana coincidenza, mentre passo davanti ad un teatro che porta la scritta: «chiuso fino a data da destinarsi», tristezze del linguaggio burocratico.
Intanto, colonna e statua del Santo (con materiale proveniente da Brindisi, v. oltre) sono transennate e la piazza è stata talmente stravolta che è difficile immaginarla com’era. Mi rifaccio gli occhi poco più in là con la regina delle chiese di Lecce, Santa Croce, un trionfo di decorazioni che rispecchiano gli stili differenti degli artisti che ci hanno lavorato, Riccardi, Zimbalo e Penna. Pur andando le mie preferenze alla sobrietà del Romanico, non posso che restare affascinata da tanta ricercata raffinatezza.
Scopro anche che si devono comprare i biglietti per visitare le chiese principali solo con la carta di credito, un’assurdità per pochi spiccioli, avvio una polemica discussione che ha come risultato di poter entrare gratuitamente! In realtà si potrebbe acquistare un “pacchetto” in contanti alla biglietteria del Duomo, ma di questo non avvisano affatto il potenziale turista.
Arrivo fino all’Arco di Trionfo di Porta Napoli per raggiungere nel cimitero la chiesa di San Nicolò e Cataldo, mi avvertono che stanno per chiudere, a mezzogiorno: non mi affretto, sapendo ormai che l’ora pugliese si trova su un fuso orario diverso… Infatti posso tranquillamente girare ancora per una buona mezzora. Al ritorno passo davanti al convento di S. Antonio da Padova che dovrebbe contenere anche un museo missionario cinese, ma è chiuso di mercoledì. Alcuni musei sono aperti solo al mattino, altri soltanto in alcuni giorni, pochissimi fanno orario continuato e riaprono nel pomeriggio alle 17, come i negozi. Se si dispone di poco tempo, diventa impossibile visitarli. Tra le grate del cancello riesco a vedere ancora il Teatro Romano (da non confondere con l’Anfiteatro), resti della Lupiae, il museo annesso è ovviamente chiuso. Adesso, per il tempo che mi resta prima del tramonto, posso passeggiare liberamente per i vicoli della vecchia Lecce e in una strada caratteristica come via Palmieri. Non tutto è in buono stato ma non così cattivo come a Taranto. Però, alla fine, mi è sembrato che s’investa di più per mantenere una splendida multisala cinematografica che per promuovere il patrimonio artistico.
14 novembre – Brindisi
Prima di partire vado a dare un’occhiata al Museo Ferroviario della Puglia, figurarsi se un’appassionata di treni come me se lo lascia sfuggire. Si trova dietro alla stazione di Lecce ma non essendoci sottopassaggio sono costretta a fare il giro dell’oca, comunque in pochi minuti ci sono. Organizzato da volontari, è piccolo ma esaustivo con convogli e locomotive storici collocati nei capannoni e negli esterni dismessi delle Ferrovie dello Stato, molta documentazione tecnica, bellissimi plastici, una carrozza adibita ad esposizione sul turismo ferroviario (dove non manca la Svizzera), modellini, e vagoni che si possono visitare, come quelli del “cellulare” per il trasporto di carcerati, locomotive a vapore, diesel, elettriche, automotori, carri merci, dai primi del ‘900 agli anni Sessanta, con quell’odore fumoso e la sensazione di “sporco” che ne garantiscono l’autenticità perché i treni non sono adatti a mostre da salotto.
In circa mezzora sono a Brindisi che, devo dire, è la città della Puglia a cui sono più affezionata, dove si respira romanità in molte vestigia, e il barocco lascia posto alla semplice spiritualità del romanico, città che ha incantato poeti, storici, popoli. I Messapi la battezzarono per quel porto sicuro a forma di corna di cervo, su molte targhe si leggono frasi e liriche a lei dedicate; vive anche qui il mito di Virgilio che, secondo la tradizione, vi morì («Mi generò Mantova, il Salento mi rapì la vita….» è il celebre epitaffio; e le colonne, qualsiasi funzione avessero avuto, celebrativa o di segnare la fine della via Appia, sono lì, una intera, l’altra un moncone (crollata, i resti sono stati donati a Lecce che li ha utilizzati per la colonna di Sant’Oronzo), a segnarne la storia e la leggenda con il loro alto valore simbolico. Non so, ha spazi diversi, una luce diversa riflessa dalle acque di un mare più domestico di quello di Taranto e poi qui sono arrivati e da qui partiti tutti, polo strategico per rotte militari e commerciali fin dall’antichità, in seguito per pellegrini e crociati verso la Terra Santa, fino ai mercanti e viaggiatori con la Valigia delle Indie; anche il protagonista di Verne vi fa tappa durante il suo Giro del Mondo in 80 giorni; il porto parla di Oriente ed esotici orizzonti.
Dopo essermi sistemata in un albergo di fronte alla stazione, in pochi minuti sono nel centro storico, rasento il Castello svevo, il “Castello di Terra” che ha seguito la sorte di quello di Taranto con vari rimaneggiamenti, il primo nucleo di Federico II, poi gli aragonesi, successivamente Carlo V, quindi è diventato penitenziario e infine sede della Marina militare, ma qui sono meno democratici: per visitarlo occorre rivolgere una richiesta formale scritta! Non ci penso nemmeno e passo oltre, entro dalla Porta Mesagne e raggiungo il bellissimo tempio romanico di San Giovanni al Sepolcro, rotondo, con le colonne, i capitelli in vari stili, portali scolpiti, il bestiario, gli spiragli di pavimento della casa d’epoca romana sulla quale è stato costruito, gli affreschi appena visibili, l’accogliente giardino e un cordiale signore dispensatore d’informazioni. Dove ha sede l’ufficio turistico si può vedere da vicino, in tutti i dettagli, il capitello originale della colonna sulla quale invece è stata messa una copia… Scavi di un quartiere romano si possono scoprire sotto il vicino teatro. Poi punto sul Duomo, la chiesa settecentesca costruita sulla precedente, romanica, che accolse matrimoni imperiali, distrutta dal terremoto. Si possono vedere ancora dei mosaici. E quando scendo finalmente verso il mare, la cui vista dalla gradinata delle Colonne si spalanca all’improvviso, in quella luce dorata da pomeriggio autunnale, provo un’antica emozione.
«La bellezza di Brindisi non è travolgente. E più che di bellezza bisogna parlare di attrattiva. Ma lo sbocco su un mare dolcissimo permette di assaporare via via per quel che vale, e vale parecchio, la luce candida che dardeggia la città da ogni lato. Ma in quella luce sembra di trovarsi entro pareti di cristallo, nella lanterna di un faro», così Cesare Brandi, riportato da una lapide di via Colonne. Un’altra ricorda una frase di Addio alle armi di Hemingway: «Se si cercasse di ritirarsi per prendere Napoleone in trappola in Italia ci si troverebbe a Brindisi».
Vado al Belvedere (salendo le scale del palazzo che conserva anche un piccolo patrimonio archeologico) per godermi lo spettacolo spaziando fino al “Castello di Mare”, di fronte, sull’isola di Sant’Andrea. Poi proseguo. Poco male se la chiesa secentesca di Santa Teresa è chiusa, per fortuna è aperta la gotica di San Paolo, all’interno opere di varie epoche, ma soprattutto affreschi trecenteschi, quando scopro dove è l’interruttore delle luci, posso anche ammirarne i tratti delicati.
15 novembre – Brindisi
Brindisi mi sembra più vivace e trafficata, rispetto a Lecce e Taranto, ma probabilmente anche perché le viuzze del centro storico s’irradiano sempre dalle strade moderne a maggiore viabilità. Le automobili vanno ovunque. Mi dirigo all’antica Porta Lecce e salgo la scalinata arrivando ad un’altra chiesetta romanica del XIII secolo con una facciata stupenda, un finissimo rosone, la Chiesa del Cristo. Sono fortunata perché è aperta, c’è infatti la celebrazione, nel severo interno altari barocchi ma anche preziose statue lignee duecentesche come quella della Madonna della Luce. Presa via Lata passo davanti ad un’altra chiesa romanica, ma chiusa e piuttosto malandata, Santissima Trinità o Santa Lucia, dentro ci deve essere una cripta ma non credo visitabile, perché la chiesa apre solo in occasione delle funzioni. Proseguendo mi trovo di nuovo al teatro “sospeso” perché sotto c’è l’area archeologica di San Pietro degli Schiavoni già vista ieri e ancora come una calamita mi attira la sommità originale della Colonna conservata nel Palazzo Granafei – Nervegna. Nei paraggi si trova anche la secentesca chiesa di Santa Maria degli Angioli voluta da colui che poi divenne san Lorenzo da Brindisi, marmi e tele pregevoli. Poco più in là un’altra chiesa medievale, San Benedetto, ma il “magnifico” chiostro forse lo vedrò solo in fotografia, mi limito ad osservare il portale nei cui rilievi si notano influenze bizantine. Adesso la mia prossima tappa è il Museo Archeologico “F. Ribezzo” che ha un patrimonio di capitelli e sculture, di ceramiche, vasi, suppellettili di varie epoche, attici e italioti, terrecotte; al piano superiore ci sono le sezioni preistorica e quella dedicata alla cultura dei Messapi, un nome che diventa familiare frequentando le terre salentine. Qui inoltre Paolo Rumiz ha organizzato una mostra sulla “Via Appia ritrovata”. E ancora, al secondo piano, la Brindisi romana, tra necropoli e città, rinvenimenti in terra e in mare… Un percorso ben scandito didatticamente. L’entrata è libera. Al ritorno passo per il complesso delle Scuole Pie, il cui chiostro è stato trasformato in un centro di artigianato, ma in giro non c’è anima viva.
Vicino all’aeroporto, a circa 3-4 chilometri, si trova ancora una chiesa romanica da non mancare, sia per il suo stato di conservazione, sia per gli affreschi: è la celebre S. Maria del Casale, contratto e mi ci reco con un taxi, guadagnandoci anche la lunga memoria dell’autista che quasi novantenne guida ancora (benissimo, sottolineo a scanso di equivoci) perché a casa non saprebbe cosa fare… Si ricorda di quando il re in fuga, il 10 settembre del 1943, si rifugiò al castello di Brindisi con il figlio Umberto e la città divenne per alcuni mesi capitale d’Italia, fino all’11 febbraio 1944.
La chiesa è uno splendore nel suo isolamento che in qualche modo l’ha preservata, sebbene abbia subito anni di abbandono, quando la visito non c’è nessuno e posso godermi in pace gli affreschi, come il Giudizio Universale di Rinaldo da Taranto. Sul ritorno il loquace vecchietto si ferma alla normanna Fontana di Tancredi, lui ricorda ancora quando i contadini vi portavano i cavalli per abbeverarli. Pare che l’acqua sia buonissima ma adesso non ce n’è un filo.
Domani riparto e ora scendo verso il porto per immergermi nell’ultima luce. Ci sono dei sedili marroni somiglianti a delle bare che non aiutano a togliere un certo senso di struggimento ma appena il sole tramonta fa freschino anche qui, pochi passanti infreddoliti. È ora di tornare.
16 novembre – da Brindisi a Bari
Alla stazione di Brindisi mi è capitato un buffo episodio, ma indicativo: un poliziotto mi ha chiesto un documento. Non solo a me, per dei controlli regolari, mi hanno detto, neanche fossimo in chissà quale paese di regime. E surreale è stata la conversazione: «Lei è italiana, vero?» (stranamente usava il “Lei”) «No, sono svizzera», «però è nata a Chiasso», «quella è l’attinenza», «Attinenza? Comunque Chiasso è in Italia», «Veramente…». Bisogna capirli… Chiasso è così lontana dalla Puglia…
Faccio tappa a Bari, diciamo, per uno scalo “tecnico” e ogni tanto anche il viaggiatore ha diritto ad un giorno di riposo. In ogni caso ho visto più gente qui in cinque minuti di quanta ne abbia vista in precedenza nel corso di tutto il mio tour pugliese. Non è che sia una fanatica della folla, tutt’altro, mi limito a registrare un dato di fatto. Bari è città città, ma si gira facilmente. Dalla piazza della stazione parte un ampio e lungo viale pedonalizzato, tranne che per le arterie che lo attraversano orizzontalmente, ma lì o ci sono i semafori o le strisce o comunque passano talmente tante persone che le auto devono fare attenzione, non ti arrivano, all’improvviso, da tutte le parti… È la grande via commerciale delle firme internazionali, della “vasca” serale (è anche sabato), in un punto, per terra sono scritte massime di Benedetto Croce, e porta dritta all’entrata del centro storico. Sono andata a salutare la Basilica, anche questa affollatissima. Potete anche perdervi nell’intreccio dei vicoli, tanto da qualche parte uscirete.
17 novembre – Trani
Mi piace improvvisare. Avevano dato pioggia e burrasca, ma quando mi sono svegliata ho visto che la giornata era ventosissima ma tersa e allora mi sono precipitata in stazione a comprare un biglietto e ho preso al volo uno dei pochi regionali che circola la domenica. Trani è imprescindibile, se ci si trova da queste parti. Se si amano castelli e cattedrali, la Puglia è il posto giusto, ma particolarmente suggestiva Trani, dalla stazione si scende al porticciolo, con case e palazzi disposti a semicerchio. In una solitaria piazzetta poco più in là, ecco stagliarsi sul mare la facciata medievale della chiesa nella sua pietra chiara, con la porta di bronzo, uno dei più alti esempi di romanico declinato alla pugliese. Una sorpresa dopo l’altra, perché si può scendere nell’ipogeo e nella cripta e, salendo, percorrere anche i matronei. Ho esaurito gli aggettivi… Ho iniziato anche ad affrontare le scale per arrampicarmi sul campanile, ma assordata dalla campana e, soprattutto, sbattuta dalle fortissime raffiche di scirocco che rischiavano di buttarmi giù, ho rinunciato ad un certo punto, desiderando fare ancora qualche viaggio.
Vicino c’è il museo diocesano con una sezione archeologica e il lapidario con diverse sculture e frammenti architettonici provenienti dai dintorni. Ho anche apprezzato la collezione qui curiosamente dedicata alla storia delle macchine per scrivere, 400 oggetti, dai primi esemplari americani, fino alle sezioni riservate a quelle tascabili e portatili, a quelle giocattolo o miniaturizzate, alle versioni braille, alle Olivetti, alle elettriche e ai proto-computer, un itinerario corredato dalle fotografie di personaggi famosi alle prese con i loro mitici strumenti, come la Lettera 22 di Montanelli e quella vetusta di 007. Il castello prospicente il mare, seppure federiciano (almeno originariamente), invece non mi ha impressionato più di tanto.
È domenica, quindi ci sono in giro anche diversi pugliesi che fanno il “fuori porta”, molte trattorie e ristoranti, sulla riva e anche nelle viuzze, sono aperti e offrono pietanze del territorio, ho l’impressione che nessun posto resti vuoto. Il centro storico di Trani è ricco di palazzi gotici o barocchi, con bei portali e bifore, alcuni un po’ malandati, altri ben tenuti. Come al solito, un vero flagello sono le auto che sbucano da ovunque, anche da stradine strettissime.
Quando esco da una locanda il tempo è cambiato, il cielo è coperto da minacciose nubi scure, mi affretto in stazione: avete notato che quando si conosce la strada, il tragitto sembra più breve? Appena in tempo, iniziano le gocce e dopo pochi minuti è il diluvio. Ma ormai sono al coperto. In stazione c’è un campionario sociale piuttosto esemplificativo: giovani, anziani, studenti, immigrati di colore, famigliole, ubriachi, senza tetto che hanno eletto la sala d’attesa come loro rifugio provvisorio, fuori di testa che sproloquiano per conto loro, mendicanti… Una corte dei miracoli… Annoto e non giudico, no, questo non mi sembra un non-luogo, qui la gente s’incontra, scambia dei pareri, magari s’insulta, è comunque uno spicchio di collettività viva.
18 novembre – Bitonto
Il vento di ieri ha fatto danni, alberi divelti, la copertura dello stadio a Barletta rovinata… Ma oggi mi accoglie un bel sole. Parto questa sera con uno dei pochi treni notturni ancora in servizio in Italia. Così ho tutta la giornata a disposizione e ne approfitto per andare a visitare Bitonto. Mi ci porterà la Ferrotramviaria, Ferrovie del Nord Barese, linea privata che collega anche con l’aeroporto di Barletta.
Tanto per sottolineare che non si ha molta idea delle distanze quando al posto dei piedi si possiedono le ruote di un’auto… Chiedo del centro storico e una ragazza mi risponde: «ma è lontanissimo…», «Quanti chilometri?», faccio io, «chilometri no… ci vorranno dieci minuti a piedi…». I dieci minuti sono diventati venti anche perché mi sono lasciata ingannare da una segnalazione evidentemente per le macchine, ma seguendo una strada tutta dritta ci arrivo con facilità. È evidenziato da un arco e, attraversandolo, dal torrione angioino e da un fossato, tutto quello che resta del castello. Medioevo e barocco s’inseguono per le vie, lastricate, ben tenute, e arrivo nella solare piazza della Cattedrale. Ad ogni Cattedrale di quel periodo e di qualsiasi paese, la mia guida sottolinea che si tratta del «più bell’esempio di romanico pugliese»… Certo è che si tratta di chiese tutte significative. Questa s’ispira alla facciata di San Nicola e l’interno è stato riportato alle origini, con le colonne, gli archi, il matroneo, un ambone ricco di sculture che ci trasportano in pieno medioevo. Torno sui miei passi per entrare alla pinacoteca (nonostante sia lunedì oggi qui i musei sono aperti) che contiene opere dal ‘500 in poi, frutto della donazione dei collezionisti De Vanna; ritrovo anche un paio di quadri del barlettano De Nittis, tra cui Trafalgar Square e un’opera del ticinese Antonio Ciseri, Ritratto di nobiluomo con cravatta blu, il livello è comunque alto, persino con una copia o replica di Tiziano.
Il Museo archeologico ha cambiato sede e sta per chiudere però m’indicano il nuovo Museo diocesano aperto da un mese, strutturato in interessanti sezioni tematiche, le chiese, San Francesco, la vita di Maria, i presepi, i reliquiari, i paramenti ecc… Ci sono ancora i muratori, ma vale la pena. Di lunedì gli esercizi pubblici sono quasi tutti chiusi, l’unica osteria aperta è affollatissima anche di turisti inglesi che viaggiano tutto l’anno, mica come gli italiani che vanno in vacanza tutti insieme durante le feste e i “ponti” comandati. Ma ecco perché la Puglia è piena zeppa di self service 24 h., non solo per bibite, ma anche panini e altri mezzi di sussistenza, viste le chiusure e gli orari ridotti di bar e ristoranti.
E ora non mi resta che prendere il treno notturno, domani mattina arriverò a Milano. Amo guardare il paesaggio dal finestrino, per cui di solito faccio lunghe tratte di giorno, ma in questo caso l’itinerario ormai lo conosco bene e anche lasciarsi cullare dal ritmo ferroviario è un’esperienza piacevole.
Post: ho trovato una straordinaria pulizia nelle toilette dei locali pubblici, anche i più modesti, meglio di quanto spesso mi sia capitato nel Nord Italia, a sfatare i pregiudizi. La città più pulita? Brindisi. Si trova da dormire in posti bellissimi, riforniti di tutto, compresa prima colazione, a 30-40 euro per notte; un pasto, tra primo, dessert, caffè può costare sui 10 euro; una bottiglietta d’acqua minerale 50 centesimi; cornetto e cappuccino 2 euro; un biglietto regionale per un’ora di viaggio sui 5 euro… Non sono pagata dal marketing pugliese…