Qui Milano

Quotidianità milanese e progresso ne “La vita in versi” di Giovanni Giudici

Foto: Archivio Giovanni Giudici

Giovanni Giudici (Le Grazie 1924 – La Spezia 2011) diviene a tutti gli effetti noto come poeta – oltre ad essere anche giornalista – dopo la prima pubblicazione a Milano della raccolta La vita in versi, 1965. Interessante è capirne il motivo e soprattutto l’eco che ancora oggi risuona da quelle poesie. Sono gli anni della grande sperimentazione, non solo socio-economica, ma anche letteraria. Vi è quindi una forte esigenza di scardinare i principi tradizionali e di rendere le lettere un potente strumento di comunicazione per rivolgersi anche ai più comuni fruitori. Da qui nasce altresì l’inclinazione dello scrittore genovese nell’andare incontro a versi prosastici, tendenti alla narrazione seppur sempre accompagnati dal ritmo dell’endecasillabo. Giudici si inserisce quindi in questo innovativo sistema, ma a dare maggiormente spinta alla sua volontà di valorizzazione poetica è il suo trasferimento a Milano nel 1958. È proprio in questa città abbondante di stimoli, ma anche industriale e frenetica, che l’autore si interroga su ciò che di umano effettivamente resti. Si pensi alla poesia Mi chiedi cosa vuol dire (La vita in versi, 1965), in cui l’io lirico, rivolgendosi a un tu, afferma:

«Mi chiedi cosa vuol dire / la parola alienazione: / da quando nasci è morire / per vivere in un padrone […]».

Il testo integrale dell'articolo è accessibile ai soli abbonati.
Effettui per cortesia l'accesso con i Suoi dati:

L'abbonamento per privati all'Osservatore costa CHF 35.--/anno
e può essere sottoscritto tramite l'apposito formulario.

In cima