Un turbante colorato: quando qualche mese fa mi sono accorta che sotto a quella stoffa sorrideva il viso di Vania Luraschi non potevo credere ai miei occhi. Ma come? Lei no, è impossibile. E invece. E invece una mattina di metà luglio tutti noi teatranti ci siamo sentiti aggredire la gola da quel nodo, quel freddo accompagnato da uno strappo, uno strappo che ha rivelato la tenacia del legame di ognuno di noi con la fondatrice del Teatro Pan (a dire il vero Panzini Zirkus, all’origine, ed era una cooperativa d’animazione teatrale). Un’anima gentile, gentilissima, Vania, e ho registrato dentro di me, indelebile, il suo incedere delicato, non direi lento ma quasi; una di quelle persone con mille occhi (perché chiunque, vedendola per strada, si precipitava a salutarla, abbracciarla, che stesse chiudendo il portone della Comacina, che fosse in fila per i biglietti al Foce, seduta al mitico ristorante cinese (ex tex-mex, ex un’altra gestione ancora, comunque sempre pieno di gente di teatro) all’angolo tra viale Cassarate (dove Vania “viveva”, dove sorge il Pan) e viale Carlo Cattaneo. Una donna amabile e minuta, ma affatto minuta è stata l’urgenza teatrale che è cresciuta insieme all’amore che Vania nutriva per l’insegnamento. Tra i diversi tasselli realizzati da Vania Luraschi, la creazione, nel 1987, della Rete Teatri Associati della Svizzera italiana, l’organizzazione ticinese dei professionisti del teatro, e anche lì: instancabile, incapace di assenteismo, sempre a fianco (e al passo) delle giovani generazioni. «Fortunatamente lo scorso maggio è stata ricordata la sua lunga carriera grazie al meritato Premio Svizzero per il Teatro. Era una clownesca pioniera, instancabile creatrice, con una fantasia spumeggiante». Sono le parole commosse di Cinzia Morandi, attrice, l’altra anima del Teatro Pan di cui raccoglie ora il testimone. «Starle vicine a volte era un’impresa non facile perché era sempre un passo più avanti». Ci dice che raccontare in breve l’operato di Vania è come raccontare l’Odissea in due righe: impossibile. «Di lei ricordo il Festival Africa del 1988 dove il pubblico aveva invaso letteralmente l’Aula Magna di Trevano e l’obbligo di una doppia replica al volo per permettere alle quasi 200 persone rimaste fuori dal Teatro di assistere allo spettacolo. Ricordo il suo entusiasmo, le sue battute, la sua caparbietà. Ci lascia con un messaggio forte e chiaro. Se ci credi puoi e non importa cosa dicano gli altri; tu credici, fai, e vedrai che prima o poi ce la farai. Mancherà la sua memoria storica, i suoi aneddoti, la sua anima sempre pronta ad aiutare chiunque aveva bisogno. Noi faremo di tutto per portare avanti il suo Teatro Pan!»
Da far… crescere ci sarà anche la sua ultima creazione, il Maggiolino, festival che dal 2008 garantisce spettacoli per bimbi in età prescolare. Pensava a tutti, Vania, e aveva un gran fiuto nell’ambito del teatro indipendente: mezzo universo teatrale ticinese si è sviluppato anche grazie, o attorno, alle sue intuizioni. Sulla base che lei ha preparato con tanta disciplina, tenacia. Organizzatrice del Festival Internazionale del Teatro a Lugano, dal 1977 ha offerto al Ticino una vetrina della produzione teatrale contemporanea internazionale: ma all’epoca tutti i soldi che oggi destiniamo alla cultura mica c’erano, una volta bisognava crederci sul serio e tentare ogni sentiero, il glamour forse neanche esisteva. Altri tempi. E quando non la vedevi per un po’, era perché Vania adorava frequentare i festival teatrali di tutto il mondo, letteralmente. Oppure era in tournée, visto che i confini ticinesi il Pan coi suoi spettacoli se li lasciava spesso alle spalle, alla volta di Germania, Italia, Russia, Sudamerica…
Dal canto suo, Giuseppe Valenti, storico attore, regista ma soprattutto insegnante (per i bambini e i ragazzi) del Teatro Pan, così ricorda Vania: «Ho conosciuto Vania nel 90 quando sono stato chiamato per un lavoro teatrale: Alieno, poi ho continuato con Un nido di parole con la regia di Novikov e insieme a Cinzia Morandi. È insondabile il percorso che ogni persona fa. Mi sento privilegiato per aver camminato una parte della mia vita professionale con tante persone significative. Una di queste è Vania Luraschi. A lei mi legano diversi lavori teatrali ed anche l’insegnamento. È stata lei a propormi di preparare da solo in scena diversi lavori e a farmi avvicinare ai giovani e all’insegnamento teatrale. Non ci avevo mai pensato prima d’allora, ma come mio carattere ho subito percorso ciò che mi si promoveva. Vania aveva una visione lungimirante, vedeva già un lavoro nella sua realizzazione finale. Si faceva prendere da grande entusiasmo e coinvolgeva anche tutti quelli che le erano vicini. Il più delle volte era concentrata sul suo percorso e sembrava assente a ciò che le si diceva, ma poi magicamente aveva già considerato l’ostacolo o ciò che poteva interessare. Forse vedendola così presa nella realizzazione di festival, lavori teatrali, corsi di teatro ed altro qualcuno penserà che non aveva tempo per altre cose, ma Vania era molto coinvolta verso lo spirituale e mi ricordo di tutti i discorsi sull’esistenza, il fine della vita ed altri temi metafisici. Mancherà al teatro ed agli amici, ma ciò che ha iniziato continuerà finché vi saranno persone che crederanno alla cultura teatrale».
Anche ‘Delo’, Gianni Delorenzi, regista, ci racconta di lei, un ricordo prezioso: «Erano gli anni settanta e il mondo non aveva ancora perso la voglia irresistibile di rinnovamento. A Milano era giunta dall’Argentina una compagnia, la Comuna Baires: attori che fuggivano da un regime di carnefici. Faceva molto parlare di sé per i nuovi linguaggi che proponeva. Assistetti con Vania allo spettacolo di una loro connazionale che era rifugiata da tempo in Spagna, nazione che tuttavia le negava la possibilità di esibirsi: era Cristina Castrillo. Fummo folgorati. Subito Vania si attivò per portala a Lugano. Grazie al suo entusiasmo, alla sua intuizione e perspicacia in Ticino ebbe inizio una storia che ancora dura e che ha generato e genera altre storie. Vania per me è stata soprattutto un’inesauribile iniziatrice di storie incredibili e belle. Nell’antico Far West c’erano i fondatori di città. Scoprivano un posto che intuitivamente giudicavano adatto e con intelligenza, forza e tenacia fondavano la città, un luogo dove gli uomini potessero vivere ed essere felici e liberi collaborando tra loro. Poi andavano altrove a fondarne un’altra: era la loro natura. La natura di Vanja ha avuto qualcosa di simile a quegli antichi pionieri. Ha fondato città belle come i suoi sogni, ha iniziato storie che continueranno dopo di lei in tante forme sempre nuove e che non si esauriranno mai».
Lo testimoniano le lacrime di tutti gli artisti presenti mercoledì per l’ultimo saluto a Vania Luraschi. C’è stato spazio anche per i sorrisi, perché erano davvero tanti gli attori e i comici che con lei avevano lavorato, magari in qualche spettacolo degli inizi, quando si era giovani e si era spericolati perché era fisiologico esserlo. Gerry Beretta Piccoli, che con Vania ha condiviso la fondazione del teatro di Viale Cassarate e con la quale ha avuto una figlia, ricorda con dolcezza e anche un certo stupore i primi spettacoli messi in scena dal Teatro Panzini: Brecht in dialetto, Brecht coi burattini, per citarne due. Insomma: innovazione. «E poi siamo stati assiduamente nelle scuole a tenere laboratori, avvicinavamo i ragazzi al teatro. Ci credevamo! Sempre molto orientati verso i ragazzi, non gli adulti, i ragazzi, gli adolescenti che si affacciavano alla vita. Alcuni di loro non erano mai usciti dal quartiere, e noi li portavamo in giro per l’Europa, ai festival, persino in Belgio siamo stati. Me la ricordo quella volta… È passato tanto tempo, era il 1977. Ah, e siamo stati i primi anche a sottoporre una domanda di sostegno economico al Cantone. I primi; Dimitri, per dire, ancora non lo faceva. Io poi però a un certo punto ho mollato il teatro per tornare a fare l’assistente sociale, lei invece no, non ha desistito, perché ci credeva».
Ha affrontato temi come il razzismo, la solidarietà e il rispetto per l’ambiente, ha voluto bene a tanti di noi giovani leve del teatro della Svizzera italiana. Ci prestava il teatro, veniva a vederci durante le prove, ad assistere alla ‘generale’, e poi ci prestava costumi di scena, ce li regalava, ci metteva a disposizione la sua esperienza, i suoi contatti. E rispondeva sempre. E salutava guardandoti in faccia, ti faceva anche un sorriso. Era talmente generosa: non riesco proprio a dimenticarlo. A dimenticarla.
Margherita Coldesina
Il testo integrale dell'articolo è accessibile ai soli abbonati.
Effettui per cortesia l'accesso con i Suoi dati:
L'abbonamento per privati all'Osservatore costa CHF 35.--/anno
e può essere sottoscritto tramite
l'apposito formulario.