«Pinocchio è un libro realistico e fantastico a un tempo, che tiene insieme mito, Sacra Scrittura, teatro popolare, letteratura alta e molto altro. Non sorprende quindi che abbia ispirato letture critiche orientate ai più disparati orizzonti disciplinari. Potremmo parlare di un burattino “inquieto”, non confinato all’interno della propria epoca, ma archetipo narrativo nelle latitudini e nelle culture più diverse, con un enorme potere “genetico”, una macchina formidabile per inventare nuove storie. Infine, per citare Giorgio Manganelli, Pinocchio “è una mappa, la pianta di un casale, un palazzo, un castello, una regione, una patria. Codesta pianta non ha segni inutili, o neutri, e le lacune, gli iati sono non meno essenziali dei luoghi ove si edifica”». Esordisce con queste parole Stefano Prandi, direttore dell’Istituto di Studi italiani dell’Università della Svizzera italiana, nel presentare il secondo ciclo di letture collodiane, che l’Istituto ha avviato lo scorso anno.
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