Viaggiatore, non c’è sentiero, il sentiero si fa mentre cammini (Antonio Machado Ruiz)
Avevo detto che il Molise è poco visitato dai turisti e che sono i turisti che vogliono andare sempre negli stessi posti. In realtà, mi sono accorta che la questione è reciproca. Musei con orari assurdi quasi deserti e poi i trasporti pubblici veramente trascurati. Non c’è un orario in qualsiasi fermata di bus, neppure un cartello che indichi i numeri dei mezzi che lì si fermano e quindi uno che non è del posto non sa quali e dove prenderli. Per non parlare dei luoghi di rilevanza culturale dei dintorni che risultano di fatto irraggiungibili quindi non ci si può lamentare se i paesini sono invasi dalle automobili private, piazzette medievali trasformate in parcheggi, vicoli così stretti che il pedone deve rifugiarsi negli anfratti per lasciar passare l’auto, tutte e due non ci stanno!
Prima di lasciare Campobasso mi reco, in cerca d’informazioni, al terminal degli autobus, terminal che spesso sono fuori mano e prima di accorgermi che c’è una navetta che dalla stazione ferroviaria vi porta, ci vado a piedi facendo una lunga strada pericolosa e trafficata, a tornanti. Dietro la stazione, ed è lì che vedo il mastodonte bianco del nuovo albergo quattro stelle che hanno costruito, sembra un colosso nel deserto… Arrivata, uno squallore unico, non c’è un ufficio ma un bar e naturalmente il barista deve consultare il computer. Il mio intento sarebbe di recarmi a Santa Maria della Strada, un gioiello dell’arte romanica, che si erge in piena campagna a circa 13 chilometri da Campobasso. Risultato: c’è un bus che porta ad un bivio non vicino alla chiesa, poi occorre fare ancora 4 o 5 chilometri a piedi, ma non è questo il problema è che tra andata, visita e ritorno… Gli orari non coincidono, non si riuscirebbe a tornare indietro. Rinuncio e la prossima volta mi rassegnerò a venire in macchina.
Quindi lascio Campobasso, prendo un treno e in un’oretta circa sono alla prossima meta, Isernia. Qui, la struttura è diversa, non più alto e basso, ma una lunga passeggiata dalla stazione per raggiungere il centro storico. In realtà un albergo lo avevo in testa. Seguo le insegne e poi scopro che è diventato ospitalità per emigranti. Farebbero bene a togliere i cartelli che ci portano. Quindi, torno indietro e mi dirigo nel cuore del paese, non mancano i B&B e ne trovo uno che possiede persino, un po’ più in là, un ufficio, chiuso, ma telefono e mi metto d’accordo. Questa volta si tratta di un’antica dimora del ‘700, arredata con mobili ottocenteschi, una stanza da letto e un ampio salottino, prezzo davvero modico. Affreschi, tavolini, comò, sedie, un’atmosfera d’antan. Un po’ più scomoda sarà la prima colazione, di solito la si consuma nel bar di fianco, ma domani è domenica e questo essendo chiuso ne dovrò raggiungere un altro più lontano.
Intanto mi metto alla scoperta, la via principale e anche quelle laterali sono seminati di palazzi signorili che grondano storia, chiese romaniche molto più suggestive dell’imponente Cattedrale, oggi edificio neoclassico, dopo distruzioni dovute ai terremoti e ricostruzioni. Di fianco, una gentile e sfaccendata guida mi porta nei sotterranei dove scavi hanno portato alla luce due templi pagani. Isernia fu tra i primi insediamenti paleolitici d’Europa, situata in un punto strategico, fu anche capitale della Lega Italica e Municipium romano.
Arrivo alla Piazza Celestino V (eh, sì, lo credono abruzzese, ma qui sono orgogliosi di avergli dato i natali), con la caratteristica Fontana Fraterna, realizzata come un loggiato su colonnine, risale al 1300.
Non c’è come essere sul posto per capire la storia. Qui tutto ci parla, i restauri, le pietre nere sul selciato ad indicare dove un tempo c’erano case, il museo vicino, di quel tremendo bombardamento “amico” (procurato dalle forze anglo-americane il 10 settembre del ’43) che arrivò fino alla cattedrale, seppellendo il paese sotto un cumulo di macerie. La gente era per le strade, in festa (era giorno di mercato) e salutava con i fazzoletti il passaggio della flotta aerea, innocente e fiduciosa.
Inaspettata, l’assurda tragedia. 4000 le vittime. Si voleva colpire la resistenza tedesca, si pensa che uno degli obiettivi fosse il viadotto Cardarelli, punto di passaggio fondamentale verso la Campania. Sta di fatto che buona parte della città fu distrutta e che il viadotto è rimasto intatto, ancora lì da vedere. Uno dei tanti errori e orrori che porta con sé ogni guerra. Per questo Isernia ha ricevuto la medaglia d’oro al valore civile.
Il Museo della Memoria e della Storia, racconta questo destino, attraverso documenti, materiali, cupe ricostruzioni di abiti e d’ambienti (come un accampamento militare), fotografie, testimonianze, filmati. Impressionante vedere la distruzione. La gente non si perse d’animo e iniziò a pulire e rifare il giorno dopo. Ad Isernia si trova una statua in bronzo che esprime lo strazio e il dolore, e diverse targhe dedicate all’evento, commemorato ogni anno.
Ma qui c’è un po’ di tutto: una sala dedicata a Celestino V, il Papa del “Gran Rifiuto” (con la narrazione della sua vita); un’altra alle violenze del brigantaggio che assalì queste terre per dieci anni, dal 1860 al 1870, brutalità dei criminali ma anche della popolazione inferocita che quando li prendeva faceva a pezzi i corpi loro e dei complici, anche qui articoli e testimonianze. E i lavori artigianali caratteristici della zona, in particolare i pizzi al tombolo, che uscendo dai conventi, nel 1400, diffusi tra le mani delle donne, hanno conosciuto splendori e declino, fino all’attuale ricerca di ripresa. Con questo tipo di lavorazione, delicata e raffinata, si poteva fare di tutto, dagli abiti eleganti, quelli da sposa innanzitutto, agli accessori, persino gioielli, all’arredamento domestico.
In restauro invece il Museo Nazionale Santa Maria delle Monache. Cerco di avviarmi a piedi, all’area archeologica La Pineta, ma alla fine rinuncio, per via della strada zeppa di rotonde e cavalcavia non pedonali, con pessime segnalazioni, ma potrò vedere il viadotto incriminato in tutta la sua altezza…
A questo punto vorrei recarmi a Termoli ed ecco la sorpresa: da quattro anni le ferrovie italiane hanno soppresso il collegamento. Come, l’unico sbocco sul mare del Molise e viene tagliato? Italia masochista. Altro motivo per dar ragione ai turisti che se ne stanno alla larga da questi luoghi. Come ci si va? Naturalmente con il pullman. Il terminal questa volta si trova vicino alla stazione, ma in una situazione desolante. Pochissime indicazioni, nessun ufficio. Il biglietto si compra al bar e per fortuna che avevo deciso di procurarmelo già il giorno prima, perché lascio Isernia la domenica pomeriggio e tutte e due i bar, quello della stazione e quello della piazza degli autobus pensano bene di chiudere contemporaneamente. Non c’è anima viva. Ad una comitiva di ragazze hanno pure dato il biglietto sbagliato, sono universitarie e arrabbiate per l’abolizione del treno. Oltre tutto si deve cambiare anche mezzo e sembra di non arrivare più ma finalmente sono al mare!
2. Continua