Il V Festival della Dottrina sociale, in programma nei giorni 28 e 30 novembre 2024, propone riflessioni su come vivere la “dimensione umana” nella società di oggi.
Non abbiamo tempo da perdere: ecco l’imperativo categorico dei nostri tempi. Mentre i ritmi lavorativi aumentano e i servizi del Terzo settore si trovano sempre più a rischio, la religione – specialmente nella sua “veste antica” delle Chiese cristiane – è sempre meno un punto di riferimento credibile e molti cittadini sono ormai insofferenti nei confronti dei “ritmi lenti” della democrazia. Per l’influsso trasversale delle nuove tecnologie sulle nostre vite, stiamo diventando sempre di più “ottimizzatori” del tempo, e aspettiamo lo stesso anche dal mondo del lavoro, del Terzo settore, ma anche della politica, dell’economia e della religione. Nella misura in cui si sacrifica la qualità alla quantità delle relazioni in tutti questi ambiti, facciamo fatica a concepire la società come occasione per realizzarci come persone, e sempre più incontriamo il fenomeno che molti si “sentono soli” nonostante le molte connessioni e l’essere circondati realmente o virtualmente da altri, per non parlare di fenomeni come stress, burnout, o sopraffazioni nei vari ambiti delle nostre vite. Così l’accelerazione entra anche nelle nostre vite private e le trasforma.
In questo modo stiamo, però, perdendo la razionalità del nostro agire: continuamente esposti all’influenza delle informazioni veloci, «nella società dell’informazione semplicemente non abbiamo tempo per l’agire razionale», riassume Byung-Chul Han nel suo saggio Infocrazia. Non si ascolta più l’altro mentre si punta alla comunicazione affettiva dove prevale non il migliore argomento, ma il più altro grado di eccitazione. Così mentre disponiamo di più informazioni in una quantità mai vista prima nella storia dell’umanità, risultiamo disorientati ed esposti a teorie complottistiche: ecco un vero e proprio paradosso dei nostri tempi.
In questa dinamica dobbiamo domandarci in che misura non sia tanto l’accelerazione in sé la causa di tali effetti, quanto il modo in cui viene vissuta: anziché “padroni” del nostro tempo, “subiamo” i nuovi ritmi di vita. Mentre da un lato ci sentiamo costretti a stare a tali ritmi pena di subire forme di esclusione sociale, dall’altro siamo sempre noi ad approfittare di tale stile tardo-moderno di vita, in quanto aumenta le opzioni ed opportunità, promette più soddisfazioni, nonché un utilizzo più responsabile delle risorse. In altri termini, a molti tale stile di vita piace e i desideri di rallentamento sono sovente solo retorici. Pertanto, l’accelerazione è senza dubbio un “segno dei tempi” nostri e va innanzitutto compresa, prima di servircene per vedere confermati i nostri pregiudizi. Dobbiamo, però, chiederci criticamente se anche oggi, nell’era delle connessioni veloci sia possibile realizzare qualità anziché solo quantità nelle nostre relazioni? L’accelerazione, dunque, è un effetto positivo dell’appropriarsi del tempo da parte del soggetto, ma sorge spontaneo chiedersi se ci siamo spinti ormai oltre questo punto in cui veniamo travolti da tale dinamica fino alla perdita della nostra effettiva autonomia. Ciò succederebbe nel momento in cui l’ottimizzazione del tempo non costituirebbe più il mezzo per realizzare le relazioni sociali e i beni relazionali, ma un fine a sé. A tal punto l’accelerazione verrebbe espressa nell’interesse di raggiungere quanto prima una posizione di potere, una quantità di ricchezza, un posto di prestigio sociale, al costo di lasciare le relazioni dietro di sé. E così possiamo comprendere il senso del detto popolare africano «chi vuole arrivare primo corre da solo, chi vuole andare lontano cammina insieme». Società improntate sul paradigma individualistico, in altre parole, realizzano dinamiche poco sostenibili e, dunque, poco orientate al futuro. E non a caso perdono la prospettiva della speranza, mentre producono al contrario angoscia: l’angoscia di fare errori, di fallire, di non farcela, di non stare abbastanza al ritmo. L’angoscia, però, immobilizza, ci blocca, impedisce la nostra crescita, come individui e come società. In altri termini, solo chi investe nelle relazioni – pur non disdegnando l’efficienza e la velocità – vive una speranza che «cambia il presente», come afferma l’enciclica di Benedetto XVI Spe salvi.
Markus Krienke
Programma Festival della Dottrina Sociale Lugano 2024
Iscrizione obbligatoria tramite messaggio di posta elettronica all’indirizzo info@retelaudatosi-si.ch.