“Seduto, io guardavo il lago. Era bello come paradiso, come la prima creazione. Sulle riviere sorgevano malinconici i diroccati pilastri dei limoni: e le rozze, chiuse serre dei limoni sembravano sconquassate anticaglie tra il folto delle viti ignude e degli ulivi. Anche i villaggi, raccolti intorno alle loro chiese, sembravano appartenere al passato. Sembravano indugiare entro i secoli andati.”
Da “Pagine di viaggio”, D. H. Lawrence
Non è che per forza si debba sempre andare alla ricerca dell’esotico. Noi viviamo vicino ad una nazione che ha un patrimonio senza uguali.
Sono andata per alcuni giorni sul Garda, il maggiore lago italiano, che percorre tre regioni e che ha un’importante tradizione culturale e turistica. Molti sono gli artisti e gli scrittori che, tra fine Ottocento e primo Novecento, hanno soggiornato sulle sue coste, narrandone, descrivendone, raffigurandone gli incanti nelle loro opere.
Essendo così lungo ci sono anche molte differenze tra le varie località, paesaggistiche e climatiche. Il suo fascino è sempre stato trasmesso da quella commistione di transito tra Nord e Sud. L’Alto Garda, provincia di Trento, è più schiettamente alpino, si vede, si sente. E devo dire non è il mio ambiente preferito, ma altre circostanze mi hanno portato a Riva del Garda, borgo a grande concentrazione di strutture alberghiere, riferimento ancora oggi per le truppe di inglesi, tedeschi, francesi, in ordine più o meno sparso dietro le bandierine delle guide, ad affollare piazze e battelli.
Il mio viaggio è iniziato in treno fino a Desenzano, sole e caldo. Poi più di un paio d’ore di bus che per un po’ ha costeggiato il lago e poi si è immesso in una serie di gallerie che hanno tolto parte del piacere del percorso “lento” che amo fare. La diversità di temperatura l’ho subito percepita all’arrivo, diversi gradi in meno, montagne rocciose, scure, incombenti, oppressive, quasi da togliere il respiro, dietro alle quali il sole spariva di colpo alle 16, lasciando al freddo e in ombra le storiche piazzette in riva al lago, Cesare Battisti e Garibaldi. Da lì si diramano vicoli e vicoletti, fino alle porte che separano il moderno dall’antico (più o meno ristrutturato).
Un’altra problematica è l’invasione di fastidiose bici. Ci ho messo poco a capire che i ciclisti odiano i pedoni turisti ed esclamano: “Sono sempre in mezzo” e che i turisti odiano i ciclisti ed esclamano: “Sono sempre in mezzo”. Per quanto mi riguarda, dopo qualche rischio d’investimento, avevo deciso di camminare rasente le case, i muri, muretti delle strade e il lago, facendo attenzione a non finirci dentro. Ci sono piste ciclabili fuori e nel borgo, mi dicono, si dovrebbe portare la bicicletta a mano, ma non ho visto cartelli e sono in pochi a seguire il regolamento.
Diciassettemila e rotti abitanti, ma Riva, come tutti la chiamano, si gira in fretta. Il Centro storico è molto raccolto, fatto qualche passo più in là ci si imbatte nella bella Chiesa di S. Maria Inviolata, barocca, molto ricca e che ha un interno scenografico a pianta ottagonale, otto spicchi con cappelle e dipinti firmati, tra gli altri, da Palma il Giovane.
Proprio di fronte al mio albergo, nella zona turistica centrale, con fossato in cui s’incunea il lago, c’è la rocca sede del MAG, Museo Alto Garda, da cui dipende anche il Segantini di Arco (se avete l’occasione andate anche qui).
È sviluppato attraverso diverse sezioni, ben organizzate con pannelli descrittivi e non si capisce perché sia disertato dai turisti. Ma come sempre si ha l’impressione che al turista di oggi interessi solo mangiare, bere, prendere il sole quando c’è (tra l’altro sono incappata anche in una giornata di vento gelido). Al MAG ho passato una intera mattinata. Ho visto la mostra temporanea No war no peace che, attraverso vari documenti, relazioni filmate, fotografie, piante geo-politiche, atlanti di guerra, il datario, racconta delle guerre, a partire dalla Prima Guerra Mondiale (nel centenario della ricorrenza) e le sue ricadute che hanno portato alla Seconda e quelle continue, circoscritte ma capillari, dalla seconda metà del Novecento, dalla Corea, fino ai giorni nostri, senza che ci sia mai stata una vera pace.
Un’altra sezione è la Pinacoteca, percorso geografico e storico, nell’evoluzione temporale, tra pregevoli collezioni e dove da ticinesi s’incontra anche la deliziosa piccola scultura di Vincenzo Vela, La preghiera. Fa parte della collezione del letterato trentino Andrea Maffei (1798-1885), fondamentale figura ottocentesca, onorata da Riva che gli ha dedicato strade e targhe.
Ci sono anche i raccontini di Paolo Ventura, con brevi e fulminanti scritti, come un fumetto, e immagini di una ironia corrosiva, a volte macabra relativi alla Grande Guerra.
La parte archeologica cerca di valorizzare molto bene tutto quello che ha, anche le briciole, i cocci di manufatti antichi, attraverso fotografie e riquadri che mostrano l’intero. Si segue dunque l’evoluzione preistorica e storica della regione.
Dato che di musei archeologici ne ho fatto già un’abbuffata, sono stata attratta in particolare dall’angolo riservato al turismo, con fotografie, cartoline, manifesti. Sull’onda dell’arrivo di stranieri, famosi e non, si sono sviluppate numerose strutture come la “Società per l’incremento del concorso forestieri” (sic!). Come sempre un impulso decisivo lo diede la ferrovia, quella linea che collegava al Brennero, la famosa MAR, Mor-Arco-Riva, a scartamento ridotto, in esercizio tra il 1891 e il 1936. Romantiche nostalgie del tempo che fu.
Per la serie pittori del fronte (1915-1916), si possono vedere le opere dei Fratelli Stolz, arruolati proprio con il compito di illustrare un diario di guerra, all’incrocio tra idillio e tragedia.
Infine, chi vuole può salire sulla torre per godersi il panorama. Ma io ho scelto un’altra scalata, un 160 gradini circa della Torre Apponale, medievale, sopra elevata nel ‘500, 34 metri, chiamata così perché sovrasta la parte del porto rivolta “a Ponale”. Dalla cima ci si può fare una idea della struttura del borgo di Riva. Ma attenzione a non incappare nel momento in cui la campana si mette a suonare (la mezza, il quarto, se poi sono le ore, si rischia lo stordimento totale). Sulla sommità l’angelo, simbolo di Riva.
Se si ha tempo ci sono anche tanti sentieri da percorrere nei dintorni. Io sono stata pochi giorni e poi sono tornata con il catamarano che da Riva a Desenzano ci mette circa tre ore, percorrendo il lago e così ci si rende perfettamente conto delle diversità paesaggistiche e climatiche mentre si scende: le montagne si trasformano in colline, l’orizzonte si apre e si addolcisce, la strettoia lacustre si allarga, limoni ci vengono incontro e paesi dalle reminiscenze letterarie come Gargnano dove visse Lawrence con la sua fidanzata. L’autore de L’amante di Lady Chatterley qui vide una rappresentazione di un’opera di Gabriele D’Annunzio che lo scrittore inglese detestava: il poeta del celebre Vittoriale, sopra Gardone Riviera, un altro paese tappa del battello, che fa la spola tra le due rive del lago (dall’altra parte ci sono altre località più o meno note come Malcesine, Brenzone, Garda, Bardolino…). E prima di Desenzano, ecco Sirmione che non ha bisogno di presentazioni, basta pensare a Catullo… E ancora una volta, finalmente, sono al caldo.