Rosella Postorino guida la cinquina del Premio Strega 2023
Sono stati annunciati i cinque finalisti del Premio Strega 2023: alla finale del 6 luglio a Villa Giulia a Roma approdano Rosella Postorino con Mi limitavo ad amare te (Fetrinelli – 217 voti), Ada D’Adamo con Come d’aria (Elliott – 199 voti), già vincitrice del Premio Strega Giovani, Maria Grazia Calandrone con Dove non mi hai portata (Einaudi – 183 voti), Andrea Canobbio con La traversata notturna (La Nave di Teseo – 175 voti) e Romana Petri con Rubare la notte (Mondadori – 167 voti).
Ecco i libri finalisti, con gli estratti delle relative motivazioni:
Rosella Postorino, Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli), presentato da Nicola Lagioia. «Un romanzo storico» che «riesce a essere anche un toccante romanzo famigliare e di formazione, capace di farci riflettere e scuoterci nel profondo», su «una guerra rimossa in tempo reale trent’anni fa, e dimenticata poi», quella dell’ex Jugoslavia.
Ada D’Adamo, Come d’aria (Elliot), presentato da Elena Stancanelli. «Un memoir sfolgorante per intelligenza, coraggio e misericordia» che «fruga dentro il cuore del lettore», con protagoniste due donne «avvinghiate l’una all’altra, in una assoluta e reciproca dipendenza»: «Daria, la figlia, che comunica soltanto attraverso il suo irresistibile sorriso, Ada, la madre, catapultata suo malgrado in questa storia d’amore».
Maria Grazia Calandrone, Dove non mi hai portata (Einaudi), presentato da Franco Buffoni. «Una magistrale ricostruzione storica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta» dove l’autrice riesce a ricostruire «ambienti e situazioni (il Molise rurale, la periferia milanese in pieno boom economico, Roma magica di altera e sconsolata bellezza) in modo altamente poetico pur se finemente realistico».
Andrea Canobbio, La traversata notturna (La nave di Teseo), presentato da Elisabetta Rasy. «Un memoir» che diventa subito «un potente romanzo famigliare dei nostri giorni, toccando con originalità e intensità il sentimento delle radici che ognuno di noi a suo modo coltiva»: «il narratore, chiedendo aiuto agli antropologi del passato, si fa etnologo della propria tribù famigliare mentre si muove sulle per lui misteriose tracce della vita del padre, come una sorta di nuovo Telemaco che in cerca di Ulisse si aggira per contrade lontane, qui rappresentate da fragili reliquie: lettere del perduto amore dei genitori, agende di una fitta e difficile quotidianità, reperti medici della depressione paterna che renderà agli occhi del figlio il capofamiglia una figura irraggiungibile e dolorosa».
Romana Petri, Rubare la notte (Mondadori), presentato da Teresa Ciabatti. «L’infanzia è un equivoco, sembra dire Romana Petri. Prende Antoine Saint-Exupéry, l’autore del libro che ancora oggi forma generazioni di umani, va all’origine di quell’immaginario e ne svela l’altro lato – il lato invisibile della luna. Petri compie il gesto letterario di dissacrare l’infanzia intesa come luogo e tempo d’innocenza. Così Tonio, che tutti conosciamo come autore de Il piccolo principe, animo delicato, capace nei libri di ragionare di fiori e spine, nella vita è stato anche spregevole». Romana Petri inventa così «un nuovo genere di biografia letteraria, tra la ricostruzione esatta alla Emmanuel Carrere (Io sono vivo, voi siete morti) e quella tutta d’immaginazione alla Joyce Carol Oates (Blonde)».