Il prossimo 19 settembre Campione d’Italia onorerà don Sandro Vitalini – prete, docente universitario a Friborgo, scrittore nato in questo Comune – intitolandogli la Galleria Civica. In avvicinamento a questo evento, pubblicheremo ogni lunedì un intervento di persone che a vario titolo gli sono state vicine. La prima testimonianza è di don Mario Pontarolo, suo confratello e amico.
“Ti anticipo i miei auguri per il tuo compleanno, che speravamo di celebrare in modo più solenne. Pazienza: sappi che ti ricordo sempre con tanta riconoscenza. Pensa anche solo a quello che hai fatto per mio nipote Ramis. L’hai trattato come un figlio. Il fatto che lui ti telefonasse (cosa unica) ti dice tutto il suo affetto, la sua fiducia, la sua riconoscenza. Penso anche con commozione ai tuoi santi genitori, Caterina e Bortolo. Dico santi nel senso più stretto della parola: guarda come hanno allevato bene i loro figli. Penso a tuo fratello Luciano, il più piccolo di voi, che ti protegge dal cielo. Tu non conoscerai il purgatorio perché tutta la tua vita è un flusso di bontà che ci trasmetti nel Signore. Un commosso abbraccio da Sandro”.
È l’ultimo messaggio scritto che ho ricevuto da don Sandro il 27 marzo 2020, poche settimane prima di quel mercoledì 5 maggio, quando ha terminato il suo cammino terreno per entrare nella nuova vita del cielo, da lui tanto annunciata e testimoniata. La desiderava ardentemente questa vera vita. Ora è nella luce e nella gioia, per sempre.
Quel messaggio da Friborgo
Ci siamo conosciuti nel Seminario San Carlo di Besso, dove per entrambi iniziava il cammino verso la meta dell’ordinazione sacerdotale. Siamo diventati subito amici, anzi di più, due fratelli. Con noi tanti altri compagni, lungo una strada non facile, dove alle regole severe si contrapponevano il nostro entusiasmo e la nostra volontà di arrivare fino in fondo, come quando in montagna si cerca ad ogni costo, nonostante fatica, ostacoli e prove, di raggiungere alla vetta. E ci siamo arrivati. Rileggo con commozione quel suo messaggio da Friborgo nel giugno 1959. “Il giorno della tua consacrazione sacerdotale si avvicina; quando giungerà io sarò sotto la pressione degli esami di licenza e potrò seguirti solo con il pensiero. Penso perciò di anticipare gli auguri più fervidi, accompagnati da questo modesto dono, invocando su di te la più copiosa benedizione che il Signore riserva a coloro che hanno lasciato tutto per seguirlo. La tua opera sacerdotale fiorisca nell’amore, più che un augurio è quasi già una certezza: infatti ti ho conosciuto abbastanza bene per ammirare il tuo zelo di apostolo e le tue doti eminentemente pastorali. Soprattutto ho vivissima fiducia nella tua bontà, nella generosità del tuo cuore. Speriamo che la nostra classe possa portare del cemento d’amore fra le schiere del Clero ticinese: ce n’è bisogno. Ti ringrazio per l’amicizia che mi hai sempre conservata e che a mia volta ricambio, scusandomi tuttavia delle mancanze che nei tuoi confronti posso avere commesso. Il Signore ti faccia tutto suo, attraverso l’opera materna della Madonna; è il mio augurio più vivo e più sincero”.
Mi scriveva da Friborgo, dove si stava impegnando per la licenza e il dottorato in Teologia. Per questo non era con noi quel 28 giugno 1959 nella Cattedrale di Lugano, quando il Vescovo Angelo Jelmini ci imponeva le mani. Sarebbe stato ordinato qualche mese dopo, a Melide, il 19 settembre.
È bello ripensare a quegli anni di Seminario. Si cresceva in età, nello studio, nella comunione fra di noi e con il Signore. S’affacciano tanti ricordi come quel nostro trasgredire alle rigide norme del severo regolamento, quando, di nascosto, ci isolavamo per ascoltare le radiocronache sportive e lui era tifosissimo del Lugano. Se ci avessero scoperti, le conseguenze sarebbero state gravi, fino all’espulsione.
Ricordo la bella esperienza vissuta insieme del “battesimo del volo”: decollo da Agno, un bel giro su Lugano e rientro. Al giovane seminarista Sandro Vitalini era stato chiesto dal redattore responsabile del settimanale diocesano “La Famiglia”, di scrivere un articolo su Lugano vista dall’alto. Ne uscì un pezzo bello e interessante a completa soddisfazione del redattore, don Aurelio Gabelli.
Del resto don Sandro ha sempre avuto una particolare facilità a scrivere, agevolato peraltro dalle sue conoscenze che gli permettevano di affrontare i più svariati argomenti. Era poi sollecito nel mandare una parola di affetto e speranza a chi era provato da una sofferenza o da una situazione difficile e dolorosa.
Ricordo pure di quegli anni giovanili e di Seminario il suo arrivare in bicicletta fino al mio villaggio di Camignolo durante le vacanze, come pure il nostro impegno per rendere sempre più accogliente l’ambiente con il rinnovo delle nostre celle e il tenere ordinati il giardino e il verde che circondava quel grande stabile, che ora vive una diversa destinazione e non conosce più l’eco dei canti e delle preghiere liturgiche. Anni belli e lontani, che affiorano con commozione, e nei quali don Sandro era già un esempio limpido e vero.
1959, l’anno dei 9 preti novelli
In quel 28 giugno del 1959 eravamo in 6 a ricevere l’ordinazione, altri tre sarebbero stati ordinati nei mesi successivi, tra cui Sandro in settembre e il futuro Vescovo Pier Giacomo in dicembre. In quell’anno quindi ben nove candidati al presbiterato, di cui 6 già ci hanno lasciato per il cielo. Questa comunione tra di noi è continuata nel tempo e siamo rimasti fedeli alla nostra passeggiata annuale di uno o più giorni, seguendo i consigli di don Sandro nella scelta della meta.
Tra le sue lettere, che ho sempre conservato come un prezioso tesoro, trovo questa del 23 novembre 1967.
“Ti scrivo anche per inviarti una foto come ricordo della nostra bella passeggiata. Speriamo che passino le nuvolacce e che si possa presto parlare anche della passeggiata dell’anno prossimo. Roma?”.
In seguito con don Sandro e alcuni confratelli ho regolarmente trascorso qualche settimana al mare. Ricordo i lieti soggiorni a Gandia, vicino a Valencia, lungo le coste del Mediterraneo, in cui sapevamo abbinare il momento spirituale con il rilassamento fra le onde e sotto il sole. Alle settimane di Gandia seguirono quelle di Moraira, sempre nella calda stagione spagnola e in un clima di fraterna amicizia.
Negli studi don Sandro ci superava tutti, ma non lo faceva pesare tanto era umile e semplice. I voti, almeno i miei, erano sovente ancorati al 4, i suoi invece erano sempre dei 6, ad ogni esame e in ogni disciplina.
Sapeva arrivare al cuore di tutti
Noi due eravamo diversi e direi complementari: lui era per le grandi riflessioni, i seri approfondimenti, le vertiginose altezze teologiche; io, pur cavandola con libri e scienze, mi sentivo più a mio agio nelle cose pratiche. Sarebbe stato così lungo gli anni. Quando aveva un problema molto concreto mi chiamava e io correvo subito. Magari per un apparecchio elettrico da rimettere in funzione, un muretto da sistemare, un lavoretto in giardino. Lui contraccambiava con la sua ricchezza teologica e la sua profonda sensibilità pastorale, venendo nelle mie parrocchie (prima Contone con Magadino e Quartino, poi Comano con Cureglia) per animare un incontro di riflessione e preghiera, per le celebrazioni del Triduo pasquale o della Notte di Natale, per un ciclo di conferenze formative, per il sacramento del perdono. Aveva il dono prezioso di saper parlare a tutti, alle persone semplici e ai dotti, arrivando direttamente al cuore di chi l’ascoltava.
Una persona di grande sapienza, costantemente arricchita da letture ben scelte e da fervida riflessione, in costante ricerca, senza mai adagiarsi, come mi scriveva nel dicembre del 1967: “Per l’aggiornamento avremmo bisogno 1 anno su 7 di lasciare il nostro ministero ordinario e tornare a scuola”.
Nel contempo era persona autentica, fortemente sincera, di grande fede, che sapeva cogliere fino in fondo la ricchezza e la serietà del suo essere prete.
“Io sono convinto – mi scriveva il 28 febbraio 1967, incoraggiandomi in un momento non facile – che la nostra obbedienza ha valore non in proporzione alla giustezza dell’ordine datoci, non in proporzione alle qualità del Superiore, ma solo in proporzione all’amore che ci mettiamo nel compierla. Nostro modello è Gesù, fatto obbediente fino alla morte e alla morte in croce.
Noi possiamo predicarlo nella misura in cui sentiamo che questa verità può essere, con la sua grazia, attuabile. E’ certo dunque che il nostro sacerdozio non frutta in proporzione alla nostra collocazione o all’apprezzamento di cui siamo oggetto: ma solo in proporzione al nostro amore, concretamente espresso nell’obbedienza: sia che siamo lodati, biasimati, castigati (anche ingiustamente) o premiati, tutto questo non conta; non è forse vero che possiamo fare più bene a tutta la Chiesa come parroco di una minuscola parrocchia nella quale siamo confinati che non come vescovi o papi? Non sta forse nell’esser bastonati nel sangue e nel fango la perfetta letizia? Oh, certo, tutto questo è vero, ma difficile: e devi accogliere questa meditazione che ti propongo come parola di Dio e non di uomo; forse un giorno dovrai proprio tu, come amico, ripropormela: perché tutti siamo peccatori. Il Signore ti illumini sulla via dell’obbedienza amorosa: non è solo nella sua volontà che abbiamo la pace?”.
Maestro, Pastore e amico
Ecco ancora un altro suo invito del 25 agosto 1967 già proiettato sull’eternità.
“Viviamo sempre pronti a presentarci davanti a Gesù! Pronti sempre a continuare allora dovunque, umilmente, il nostro prezioso ministero: ci vede il Signore e questo ci basti”.
Ricordarlo significa ritrovare con commozione il suo sorriso, la sua semplicità, la sua sincera bontà. Significa ringraziarlo per essere stato tanto vicino a noi preti, sostenendoci, incoraggiandoci, aiutandoci. Significa lodare il Padre di ogni bene, perché in questo suo umile servitore ha compiuto meraviglie, mentre il suo esempio rimane in noi, come una luce sincera.
don Mario Pontarolo
parroco emerito di Comano e Cureglia
Testimonianza raccolta da Gianni Ballabio e tratta dal libro “Il Vangelo della gioia”, di Giuseppe Zois, Edizioni Ritter, Lugano.