Si è spento all’età di ottantanove anni il critico letterario Harold Bloom: il suo «Canone occidentale» di cui considerava Dante e Shakespeare i pilastri, è stato emblematico di un’epoca.
È stato tra i critici letterari più importanti al mondo, indubbiamente il più eminente in assoluto dell’America del Novecento e di questo inizio XXI secolo. Era nato a New York nel 1930 ed è morto in un ospedale di New Heaven nel Connecticut.
La sua ultima lezione si è tenuta giovedì 10 ottobre, giorno dell’assegnazione dei premi Nobel 2018 e 2019, un riconoscimento verso il quale fu spesso molto critico, non risparmiandosi anche celebri stroncature. Tra i tanti stroncò quello a Doris Lessing, quello a Jean-Marie Gustave Le Clèzio e anche quello a Dario Fo. Non si risparmiò neanche nei confronti di Toni Morrison, con cui pure intratteneva un’amicizia sostenendo che dopo il libro Amatissima si era limitato a scrivere “fiction da supermarket” concentrandosi solo su una “guerra” socio-politica.
Docente a Yale per più di sessant’anni ha scritto oltre quaranta opere tradotte in tutto il mondo. Negli ultimi anni insegnava da casa perché per motivi di salute non poteva recarsi al campus; tuttavia aveva deciso di non abbandonare l’insegnamento.
Critico verso le tesi femministe, marxiste e post-strutturaliste, a lungo predominanti nelle università statunitensi e non solo, considerava William Shakespeare il suo caposaldo cui dedicò Shakespeare, l’invenzione dell’umano, pubblicato in Italiano da Rizzoli, come tutte le sue opere. Definì il “bardo inglese”: «lo scrittore degli scrittori», «Dio», «l’insuperabile». «Insegnando Shakespeare, si insegnano la coscienza, la gamma dell’amore, della sofferenza e della tragedia familiare».
Mise Shakespeare insieme a Dante al centro de Il Canone Occidentale (1994), il suo saggio più importante tradotto in quarantacinque lingue e best-seller in molti Paesi che lo hanno trasformato in una vera e propria “icona culturale” con cui stabilì gerarchie fra i grandi libri della tradizione letteraria occidentale. Da Molière a Goethe, da Cervantes a Tolstoj, nel libro Bloom raccontò i ventisei autori, pensatori e drammaturghi che, nella sua concezione, hanno fondato il nostro modo di leggere, scrivere e pensare.
Nonostante Il Canone Occidentale sia stata un’opera importantissima, anche se molto dibattuta, il libro della “svolta critica” era stato però L’angoscia dell’influenza (1973) in cui Bloom sosteneva che la creatività era una lotta freudiana in cui gli artisti negavano e distorcevano i loro antenati letterari mentre producevano opere che ne rivelavano un debito inconfondibile. La tesi fu estremamente discussa, anche successivamente dallo stesso Bloom che tuttavia la riteneva: «una disperata difesa della poesia e una protesta contro l’eventualità di essere assorbiti da un’ideologia».
Aveva una cultura enciclopedica, sapeva leggere in greco e in ebraico, antico e moderno, in latino, in yiddish, in francese, spagnolo, tedesco, portoghese e italiano. Era molto critico verso gli scrittori contemporanei americani che ne avevano allo stesso tempo timore e stima. Amava Philip Roth di cui considerava Pastorale americana e Il teatro di Sabbath, i capolavori, Cormac McCarthy, Thomas Pynchon e Don DeLillo. Non apprezzava J.K. Rowling e Stephen King, mentre riteneva che J.D.Salinger verso cui aveva espresso parole di apprezzamento, non sarebbe durato nel tempo (Fonte: Corriere della Sera)