E la nave va, si potrebbe dire come metafora felliniana, o forse sarebbe più corretto dire che la nave della scuola italiana ha lasciato il porto, ha ripreso il mare, verso l’approdo nel giugno del 2021. Impossibile dire come sarà il viaggio, esposto com’è alle imboscate imprevedibili di un cataclisma mondiale come continua ad essere il coronavirus. L’emergenza è stata alta da febbraio in poi, sia per la continuazione delle lezioni, con l’esperienza forzata e improcrastinabile della didattica a distanza, tra lacune varie (inevitabili) e aggiustamenti in corsa. È servito anche questo, a maggior ragione pensando che la “cyberscuola” potrebbe essere ripresa, magari parzialmente ovunque. Con i mesi di tempo che ci sono stati, si poteva pianificare meglio. E invece ci si è ripresentati al via con antiche modalità, cattedre senza docenti, distanziamenti annunciati ma problematici, banchi (con le rotelle, ma perché poi?) assicurati a ripetizione – come tante altre cose dalla ministra – e in puntuale… ritardo di consegna. Nemmeno un futurologo può azzardare ipotesi. Si vivrà alla giornata e sarà quel che sarà.
Continua l’avvicinamento al pianeta-scuola e stavolta a esprimersi è la professoressa Emmanuela Monego di Roma, che ha messo a punto questa diagnosi. In gergo meccanico si potrebbe parlare di motore che batte in testa, con allusioni varie.
Da docente e da mamma, Emmanuela Monego quale giudizio si è fatta dell’esperienza scolastica iniziata e continuata nell’emergenza coronavirus?
Il termine “emergenza” rende perfettamente l’idea. Un anno fa nessuno avrebbe pensato di doversi affidare ad una didattica tipica dei luoghi più isolati del mondo (come le fattorie australiane, o gli abitati isolati dai ghiacci dell’inverno islandese…), o riservato agli studenti che per situazioni anomale (ad esempio una malattia) erano impossibilitati alla normale frequenza. Come in tutte le emergenze, si è riusciti a tamponare in qualche modo la necessità di non lasciare l’anno scolastico 2019/2020 in sospeso, ma non è stato possibile evitare limiti e difetti, imputabili in gran parte all’urgenza della situazione.
Se in cattedra sale il monitor di un PC
Quali i lati più deboli della didattica a distanza?
Il primo, valido per tutti i gradi e tipi di istruzione, è la mancanza della socialità, uno dei pilastri portanti della formazione scolastica. Bisogna poi distinguere fra i diversi ruoli e livelli di insegnamento. Per uno studente universitario, abituato ad ascoltare la lezione senza interagire col docente, una videolezione può persino risultare più comoda, visto che può interrompere e riprendere la registrazione quando vuole, riascoltando i punti meno chiari sul divano di casa. Diversa è la capacità di ascolto/concentrazione degli studenti del liceo o della scuola media, soprattutto quando la videolezione è sostituita da note audio lunghe decine di minuti. Diventa praticamente impossibile fare domande, a meno che non si partecipi ad uno zoom meeting che necessita di specifiche condizioni di collegamento (tariffe comprese); per di più la mancanza di una ripetizione “vissuta” (come le interrogazioni altrui, noiose ma utili) rende impossibile memorizzare gli argomenti svolti: ci riferiamo ad una generazione di studenti incapaci di memorizzare già nella normalità, figuriamoci in questa situazione … Per i bambini delle elementari, infine, il rapporto diretto con i compagni e con i maestri non è sostituibile, troppo indispensabile alla crescita personale per essere surrogato da un monitor, sia pur mettendoci le migliori intenzioni. Spostandosi dall’altra parte della cattedra, per gli insegnanti coscienziosi insegnare a distanza è significato moltiplicare i tempi di lavoro, inventando modi per coinvolgere e interagire, rispondere e correggere ben oltre i consueti limiti di orario. In una scuola media di Roma, ad esempio, un professore di educazione musicale è riuscito a “creare” il concerto di fine anno montando insieme le registrazioni separate dei singoli alunni, ciascuno con il proprio strumento, con inventiva e disponibilità di tempo di gran lunga superiori a quelli richiesti dalla didattica tradizionale.
Ma la scuola italiana, anche dopo l’apprendistato fatto negli scorsi mesi di isolamento, è preparata per la cattedra virtuale?
Se è virtuale non è più scuola… Troviamole un altro nome, chiamiamola “preparazione digitale”, o roba del genere: la scuola educa soprattutto a interagire con gli altri, fin dalla prima infanzia.
Quando la copertura è a macchia di leopardo
Dal punto di vista delle famiglie è stato un gravoso impegno aggiuntivo e non tutti erano in grado di seguire/far seguire le cyber-lezioni ai figli. Alcune non disponevano di computer, altre non avevano collegamento Internet, altre ancora non possedevano il necessario bagaglio di conoscenze per i compiti…
La didattica a distanza ha imposto a tutti il possesso e la padronanza d’uso dello strumento tecnico: in mancanza di un PC, almeno di un cellulare per alunno in grado di connettersi alle varie piattaforme. Ammettiamo (senza darlo per scontato) che ogni studente possa disporne; non tutta l’Italia funziona con la stessa facilità e velocità di connessione. Non pensiamo solo alla rete delle grandi città: tuttora estese zone di provincia (montagna, campagna e mare) soprattutto al Sud e nelle isole, sono servite malissimo, con interruzioni e oscuramenti continui, specie in caso di maltempo. Spesso è stato necessario l’intervento dei genitori, magari a loro volta impegnati a lavorare da remoto, con l’inevitabile sfalsamento del risultato degli elaborati. Troppe volte infine gli studenti più furbi, sapendo in anticipo contenuti e termini delle verifiche, si sono fatti aiutare da chi aveva la capacità di farlo per versioni, traduzioni, saggi e commenti, e per questo a fine anno i voti sono stati genericamente abbassati, penalizzando chi si era comportato in modo corretto. Personalmente ho ancora sul cellulare l’app Meet usata da mia figlia, priva di spazi liberi sul proprio telefono, per gli esami universitari, mentre devo dividere con l’altra figlia l’uso del mio portatile, che le serve per collegarsi a Didaspes e seguire le lezioni. Anche questo è coinvolgimento… o no?
Quali le maggiori lacune che individua per il nuovo anno scolastico?
Il problema maggiore è la mentalità dell’attuale popolazione scolastica: dalle medie in poi la scuola è ormai vista come un peso e un castigo, e da decenni i concetti di merito e disciplina hanno assunto una connotazione solo negativa. Della scuola sono stati messi in risalto gli aspetti di socializzazione, creatività, e persino il lato ludico-ricreativo. Ora, nel breve arco di alcuni mesi, imporremo norme ferree quali la mancanza di contatto fisico (tutti noi siamo stati abbracciati dalla nostra maestra almeno una volta nella vita…), di scambi (dalla merenda alle figurine), niente ricreazione, uscite col contagocce, distanziamento e mascherina…. Siamo in Italia, non in Giappone o in Corea: ne vedremo delle belle dopo qualche settimana.
I molti lati deboli delle diverse Italie
Si sono fatti molti proclami, anche auto promozionali della classe dirigente al ministero, ma la realtà dice che si è in ritardo su più fronti, dalla precarietà dei docenti (quanti continueranno a chiamarsi fuori per paura di contagio?), agli spazi insufficienti per il distanziamento, ai ritardi nella disponibilità di banchi antivirus, i famosi banchi con le rotelle… La sua valutazione.
Come in tutte le realtà esistono diverse Italie: aspettiamoci un Nord efficiente, con risorse adeguate alle nuove situazioni, e un Sud zoppicante, che ricorre a espedienti di fortuna e che ha la fortuna (finora) di non ospitare focolai di contagio permanenti, più incline per questo a chiudere un occhio di fronte alla realtà dei fatti. Se il termometro del Centro è l’edilizia scolastica di Roma, purtroppo neanche in questo caso c’è da stare allegri…. Meglio evitare le autopromozioni, e fare esternazioni caute.
Nessuno ha la sfera di cristallo, ma lei che anno prevede?
La sfera di cristallo farebbe molto comodo, ma disgraziatamente non è in commercio; prevedo, come mamma più che come docente, un anno incerto e pesante. Durante l’estate, lo sappiamo bene, i ragazzi si sono riuniti sulle spiagge, hanno viaggiato in lungo e in largo, hanno partecipato a feste allestite in case private, se non in locali pubblici, riprendendo quasi con rabbia la loro dimensione sociale. La rinforzata disciplina scolastica sarà gradita ai più come un dito nell’occhio, e si inventeranno velocemente trucchi per aggirarla. Intanto i primi positivi sono già affiorati dai corsi di recupero: a chi saranno estese e per quanto tempo le quarantene? Resteremo tutti confinati in casa qualora emerga un caso fra i compagni dei nostri figli? Come potremo mettere le mani avanti per evitare che succedano guai anche di tipo economico (una quarantena familiare implica conseguenze lavorative, l’abbiamo già visto) e come faranno i professori di età più avanzata a proteggersi dal contrarre la malattia in classe? Sono talmente tante le incertezze e gravi i motivi di inquietudine che la sicurezza ostentata dai proclami ufficiali non può che far sorridere…
Scheda biografica
Emmanuela Monego, docente ed editorialista, è nata a Napoli nel 1960. Laureata in lettere classiche e docente di materie letterarie, ha insegnato letteratura italiana al liceo classico Gioacchina De’ Vedruna e italiano, storia e geografia all’Irish Institute di Roma. Ha seguito le proprie tre figlie nel loro percorso scolastico e tanti, tantissimi studenti in lezioni di recupero e corsi di doposcuola. Ha collaborato e collabora a riviste e periodici.
Giuseppe Zois