È vero: alcune antiche funzioni della Settimana Santa sono diventate spettacolo per i turisti. C’è chi cerca di “salvarne” lo spirito, ma deve tener conto che il Vangelo non è più patrimonio corrente della cultura delle ultime generazioni: impresa difficile, dunque, anche perché la riforma delle liturgie che si fanno in chiesa ha potato molti rami dall’albero delle tradizioni: qualche taglio necessario, qualche altro no. Da potare ce n’era, certamente. Come la pagina di Sant’Agostino, nell’Ufficio del Giovedì Santo, in cui si mettevano in stato d’accusa gli ebrei: «Non dite che non l’avete ucciso voi, l’avete ucciso con la vostra lingua». La gente capiva che Agostino si riferiva agli ebrei del tempo di Gesù? Non è sicuro, purtroppo. Eppure, nella memoria dell’Occidente, come stelline perse in un cielo mille volte più grande della terra, continuano a brillare tante piccole luci. Brillano nella storia della musica. Di origine religiosa la maggior parte, alcune non erano mai state, propriamente, dimenticate: le Messe di Palestrina, per esempio, che in qualche chiesa (e in Vaticano, come ovvio) si eseguivano ancora. Negli ultimi decenni, per fortuna, gruppi vocali che del repertorio antico hanno fatto oggetto di ricerca e di ripresentazione li hanno riportati, se non in chiesa, nei programmi dei concerti. Ma un punto difficile, e in generale male risolto, è quello che in termini moderni si potrebbe chiamare il setting. Tipico il caso dei responsori della Settimana Santa – su cui si esercitarono giganti come Gesualdo, Lasso, Palestrina, Vittoria. Come offrire quegli illustri reperti in un contesto almeno non troppo distante vicino da quello in cui erano nati? Quando si eseguono in fila, uno dopo l’altro, ricordano la disposizione dei papiri egiziani sui muri del Museo di Torino prima dei restauri: un deposito, non un atto di cultura. La monotonia, la noia in agguato.
Vale la pena allora di soffermarsi su un tentativo operato dagli Amici della Musica in Cattedrale di Lugano, cui premeva di dare una sede più adeguata ai Responsori della Settimana Santa di Tomás Luis de Victoria, forse i più famosi di tutti. Si è tentata la “ricostruzione” (non è un bel termine, ma è la realtà) dell’Ufficio delle Tenebre che la liturgia cattolica ha abolito negli anni Cinquanta del Novecento. Per andare incontro, in particolare, a un’obiezione del musicologo Matthew O’Donovan: «I responsori della Settimana Santa di Victoria erano inseriti in una liturgia molto più ampia, cantata per la maggior parte in gregoriano, rispetto alla quale la polifonia produceva un contrasto fortissimo: effetto che oggi è più difficile realizzare in concerto perché svincolato dal contesto nel quale la polifonia si inseriva senza cesure». Ecco dunque il senso della “ricostruzione” che l’AAMC ha preparato per l’ultimo Vesperale del 2019 in Cattedrale, in programma il prossimo martedì, 16 aprile, alle 21, quando farà buio anche con… l’ora solare. Con la partecipazione di due gruppi specializzati: l’ensemble De labyrinto per la polifonia, More Antiquo per il gregoriano.
Alla ricerca di un setting più vicino all’autenticità. Dal risultato si vedrà se, nei prossimi due anni, proporre con la stessa formula anche gli Uffici delle Tenebre del Venerdì e del Sabato Santo.
Enrico Morresi
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