Ammettiamolo: il titolo “Je suis l’autre” è fantastico, soprattutto di questi tempi di forsennata ricerca di un’identità tribale. In cui, per solito, io non sono solo io, ma quell’io particolare che si ritrova all’interno di una realtà sempre più ristretta, che alla fine si conclude su me stesso. Invece: io sono l’altro. Una prima rivoluzione. E poi – secondo atto rivoluzionario – non solo io sono l’altro, ma sono un altro estremamente distante da me. Proprio quello che osa venire da lontano ad insidiarmi, a rubarmi qualcosa non delle mie proprietà ma delle mie certezze identitarie. Io sono quello di un altro mondo, quello che oggi rimette in moto l’originario nomadismo (basta leggere Bruce Chatwin) e riprende ad attraversare savane, deserti, mari. Sopportando l’insopportabile, tutte le varianti possibili dell’odio fino alla cancellazione di una qualsiasi forma d’identità. Invece qui “Je suis l’autre”.Qui dove? In una mostra, una grande mostra alle Terme di Diocleziano a Roma. Una mostra che parte da lontano nel tempo, diciamo i secoli del colonialismo, e nello spazio, da tutti i continenti, anche quelli dall’altra parte del globo terracqueo. È approdata a Roma partendo da vicino a noi, ossia essenzialmente dal MUSEC, dal Museo delle culture di Villa Malpensata a Lugano e più precisamente dal suo direttore Francesco Paolo Campione, che appunto ha curato la mostra. Rimangono pochi giorni, fino al 20 gennaio, ma non è possibile lasciarla chiudere senza segnalarla.
Per tanti motivi. Il primo, e per distacco, è appunto quel meraviglioso titolo, che rispecchia esattamente il contenuto della mostra. Un titolo controcorrente, anticonformista, appunto rivoluzionario. Poi il tema. Da almeno un secolo si dice che le culture “primitive” sono una delle radici dell’arte moderna e contemporanea. Qui lo si documenta a suon di manufatti, al di là di ogni dubbio. Con precisione, con forza di documenti e argomentazioni, a suon di esempi. Racconta la storia dell’incontro di artisti come Giacometti, Derain, Picasso, Matisse e molti altri (praticamente tutti i grandi innovatori del Novecento) con un “altro-da-sé” , al di là del tempo e dello spazio. Fino all’arte “primitiva” dei folli e dei bambini.
Il titolo completo è “Je suis l’autre. Giacometti, Picasso e gli altri. Il Primitivismo nella scultura del Novecento” e la mostra documenta quello che già vediamo nei grandi Musei etnografici: uno su tutti, il Ritberg di Zurigo, ma anche il nostro Musec che ad aprile apre i battenti nella nuova sede di Villa Malpensata, dopo essere stato per un paio di decenni a Villa Heleneum come Museo delle culture. La mostra dice e documenta essenzialmente due cose: la prima è il riferimento concettuale ma anche puntuale dell’arte moderna al Primitivismo. Lo si sapeva, da lì non si scappa, e non c’è bisogno di scomodare il nostro Serge Brignoni, che acquistava opere “primitive”, in particolare dall’Oceania e Papuasia, nei porti del del nord Europa per rivenderli ai protagonisti dell’arte occidentale, appunto da Picasso in avanti, e per farsene una squisita Collezione, che poi è il nucleo iniziale del Musec. L’altro architrave portante è la storia d’amore scattata tra le opere primitive cariche di simbolismo e il vuoto espressivo dell’arte occidentale. Che, trascorsa, esaurita la stagione impressionista e post, colpita a morte dal nuovo pensiero psicanalitico di Freud, si era trovata senza terra sotto i piedi di fronte al crollo delle ”certezze” figurative, e di un mondo filosofico-religioso con la conseguente tradizione iconografica, ormai manifestamente inadeguato. Qui scatta la sorpresa: l’abbeverarsi ad un’altra fonte, appunto quella rituale-simbolica di altre tradizioni culturali. Gli artisti europei cominciano ad attingere sempre più abbondantemente al bacino dell’arte altra. È la salvezza. È l’avvio di una stagione straordinariamente efficace dell’arte del Novecento, che continua tuttora. Oggi ancora nell’arte – ossia nell’espressione simbolicamente più forte del nostro tempo –Je suis ancora e più che mai l’autre. Io sono l’altro. Lo confermano gli artisti più avanzati, non solo con le loro opere ma, prima ancora, documentando con viaggi, ricognizioni, scoperte, riferimenti, fotografie e materiali vari questa loro fonte di ispirazione. Tanto per esemplificare, al LAC abbiamo visto prima Picasso e poi Magritte, ma prima ancora Wolfgang Laib e altri ne vedremo in questo 2019 espositivo tra Surrealismo, Giacometti e via visitando.
La mostra romana è (relativamente) lontana e s’avvia alla chiusura. Ma al MUSEC di Lugano si può trovare il poderoso (33×23 cm. 350 pagine), strabiliante catalogo curato appunto dal dir. Campione tra immagini e saggi tutti di altissimo livello. Dove magari può succedere, come a me, d’imbattersi in una serie di conferme, di cose che si sapevano ma che mai erano state riunite con tanta organicità. Come ad esempio il caso di Gauguin. Non solo lascia Parigi e letteralmente va a vivere, operare e morire in Polinesia, ribellandosi al mondo e alle regole occidentali, ad un “sistema” in cui non si ritrovava più, ma va a realizzare se stesso e rivoluzionare la sua arte a contatto con la potenza di culture, tradizioni, simboli, oggetti “primitivi”. E poi sono tanti i magici momenti di contatto, e qui la storia è davvero amplia. Dagli Espressionisti (Kirchner, Heckel, Nolde, Pechstein ecc. ecc.) a tanti, praticamente tutti i movimenti d’avanguardia, con qualche incontro in credibilmente potente. Come con Picasso, che scrive: “Le maschere non erano sculture come le altre. Proprio per niente. Erano oggetti magici… erano delle armi”. Quel Picasso che nel 1907 terminava Les demoiselles d’Avignon nello stesso anno della grande retrospettiva al Salon d’Automne dedicata a Cézanne, il cui influsso, insieme con lo studio della scultura romanica catalana e delle teste iberiche del IV-III secolo a.C. viste al Louvre, si intrecciava con la fortissima impressione ricevuta da una visita al Museo etnografico di Parigi e alla contemplazione delle “maschere” che gli arrivavano in atelier o che andava a cercare da personaggi come appunto Brignoni.
Roma, Grandi Aule delle Terme di Diocleziano: “Je suis l’autre. Giacometti, Picasso e gli altri. Il Primitivismo nella scultura del Novecento”. A cura di Francesco Paolo Campione e Maria Grazia Messina. Fino al 20 gennaio. Catalogo Electa.
Gli artisti in mostra:
Karel Appel, Hans Arp, Kenneth Armitage, Georges Braque, Serge Brignoni, Agustín Cárdenas, Lynn Chadwick, André Derain, Jean Dubuffet, Sonja Ferlov Mancoba, Alberto Giacometti, Julio González, Henry Heerup, Ludwig Ernst Kirchner, Yves Klein, Jacques Lipchitz, Man Ray, André Masson, Joan Miró, Louise Nevelson, Isamu Noguchi, Pablo Picasso, Germaine Richier, Salvatore Scarpitta, Fritz Wotruba, Enrico Baj, Mirko Basaldella, Adriana Bisi Fabbri, Alik Cavaliere, Pietro Consagra, Roberto Crippa, Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Marino Marini, Luciano Minguzzi, Costantino Nivola, Arnaldo Pomodoro, Regina [Cassolo Bracchi], Raffaello A. Salimbeni, Gaston Chaïssac, Francesco Toris.
Dalmazio Ambrosioni