8 luglio – Questa linea della Transiberiana, rispetto alla Transmongolica che avevo percorso nel 2015, passa più a Nord, non Kazan dunque ma Vladimir, una delle città dell’anello d’oro, però ci arriviamo a notte fonda. Ma presto, verso le tre, già albeggia e io, dopo essermi lasciata cullare dal ritmo del treno, dal suo ronzio sferragliante, anche fischiante ogni tanto, mi sveglio nel chiarore che affonda, in qualche tratto, in una nebbiosità surreale. Dall’uggiosità moscovita si trascende pure in alcuni sprazzi di solarità, e poi pioggia e schiarite che, nella distanza, continuano ad alternarsi. Lo sguardo indolente vaga tra boschi, spiazzi, colline, fiumi e laghi in quantità indescrivibile. Ma chi ha detto che il panorama è monotono? Soltanto le sfumature di verdi sono tanto superiori a quelle che Caran D’Ache potrebbe inventare. Si fa la conta dei chilometri, ora 1177. Andando verso Perm, s’incontrano nomi mai sentiti. Macchie di fiori viola: i Ciai di Ivan, fiori del the delle meraviglie, la cui scoperta ha portato ad un fiorente commercio.
La colazione, molto deludente, cercando qualcosa di commestibile mi sono imbattuta in un panino celophanato e stopposo, striminzito burro e miele, tutto a pagamento, a parte due pasti gentilmente offerti. Anche la doccia è a pagamento, come gli asciugamani, l’eterna Provonidtsa provvede. Ad ogni tappa (arresti da pochi minuti a mezzora) si scende, molti per fumare, io per prendere un po’ d’aria e sgranchirmi le gambe. Passeggio anche lungo l’interno del treno, sono curiosa di vedere la carrozza PlatzKard, quella più economica, senza scompartimenti, aperta, dove la gente sta ammassata, una di fronte all’altra, a volte con sopportazione, altre con serena convivialità. Assomiglia agli ospedali dell’Ottocento, ma ha un suo fascino dal punto di vista umano. Mi fermo sulla soglia, da estranea non voglio perseguitare la loro già violata intimità, anche se l’esperienza mi tenta, ma non certo per sei giorni… Poi ci sono le carrozze Kupè con scompartimenti a quattro cuccette. E infine quella a due posti, due letti affiancati, chiave elettronica. Così va il mondo anche da queste parti.
Ci fermiamo a Balezino, niente di che, ma paradiso per gli amanti delle locomotive, quella della serie CS, fabbricata in Cecoslovacchia dalla celebre Skoda, o la VL, Vladimir Lenin che vediamo passare.
Che ora è? Pensate che sia facile rispondere a questa banale domanda su un treno che attraversa sette fusi orari? Ad un certo punto è scoppiata l’anarchia, il mio orologio da polso si è fermato, forse per esaurimento della batteria, il cellulare svizzero segnava le 19.28 e quello italiano le 18.28, il tablet non si aggiornava e restava impassibile ancorato alle 16.28, infine il display del treno indicava le 17.28, testardamente l’ora di Mosca. Siamo andati a cena, credendo fossero le 19, quando abbiamo visto il treno fermarsi a Perm, come da orario, alle 21.45… Non ho visto spuntare Bianconiglio, ma poco ci mancava in questa folle ed eterna “ora del te”. Che ora è dunque? Indubbiamente l’ora del treno…
Ekaterinburg, oggi, 9 luglio, verso le quattro del mattino, rovescio l’esperienza precedente della Transmongolica: sono in Asia e betulle che sfilano. Tyumen, la porta della Siberia, circa le otto, qualche minuto di ritardo… Capita anche ai migliori. Fra non molto ancora una volta le lancette andranno spostate in avanti, tre ore in più rispetto a Mosca, quattro per voi. Ma che importanza ha? Einstein non ha preso l’esempio del treno per spiegare la relatività?
2. Continua