12/13 luglio – A mano a mano che si avvicina la meta, mi sento presa da un senso di inquietudine, sospesa tra un sogno realizzato che non potrò più riempire d’immaginazione e l’aprirsi di nuovi orizzonti di viaggio perché il ritorno è ancora lontano.
Il tempo vira ormai al caldo estivo, la gente la vediamo fare il bagno lungo le rive dei fiumi. Ma il paesaggio si è fatto un po’ monotono, il binario in certi punti è ristretto fra i filari di betulle, se poi arriva un interminabile merci non vedo più nulla. L’andamento del treno, che assume il ritmo di una littorina, concilia una certa sonnolenza. Ma ecco all’improvviso aprirsi la vallata con le sue variate ondulazioni e il respiro di una natura sempre diversa. Ci fermiamo a Mogocha, la stazione è inagibile, pare che qui le temperature invernali possano raggiungere persino i – 62 gradi centigradi… Ma oggi il termometro segna +27. Si torna in treno, dato il ritardo, i minuti di permanenza sono abbreviati. Al richiamo della provonidtsa tutti risalgono. La tappa successiva è Amazar, nel pomeriggio. I passeggeri si precipitano a fumare, telefonare o comprare qualche genere di sopravvivenza oppure del tutto superfluo allo spaccio. Dopo altre due ore di viaggio finisce ufficialmente la Siberia e ha inizio l’Estremo Oriente russo, confine più simbolico che reale. Per ora non cambia nulla al mio sguardo.
Verso un’altra fermata a Yerofey Pavlovich, nome di un esploratore. Davvero bizzarra l’architettura della stazione. Quasi disneyana. Non sono riuscita a capire chi l’abbia realizzata e perché così.
Al mattino mi accoglie un cielo nuvoloso, il clima si fa più freddo, di nuovo. Credo. Nel paesaggio si alternano boschi, prati, gli insediamenti umani però diventano più frequenti. Nella notte il treno ha fatto diverse fermate ma solo di pochi minuti. Ho freddo anche nello scompartimento, mi avvolgo nella coperta. Chilometro 7772. Da queste parti partiranno i razzi del nuovo Cosmodromo di Vostochny.
Sfila una quantità impressionante di carri armati, trasportati da un treno merci. Attraversiamo il secondo ponte più lungo della Transiberiana. Il paesaggio alpino ha ormai lasciato il posto alla pianura e si notano campi coltivati. Arriviamo a Belogorsk con circa un’ora di ritardo, un po’ ha recuperato. Ma meglio non arrivare troppo presto a Vladivostok, l’albergo non sarebbe pronto. Contrariamente a quanto mi aspettassi è tiepido. La sorpresa è stata che i trenta minuti si sono ridotti a dieci, faccio appena in tempo a fotografare la stazione e a salire su una carrozza, la mia è troppo lontana. Attraverso due vagoni Platzcard, aria pesante, file di cuccette a destra e a sinistra del corridoio, gente che mangia, che dorme… Ecco la Russia profonda, stile film neorealista. Quando arrivo al mio vagone la provonidtsa è agitata. Non mi ha visto salire, mi sembra di essere in colonia.
Al chilometro 8000 devo sentirmi come uno scalatore: i miei primi 8000 (ferroviari)!
Ad Arkhara termina la linea oltrebaicalica e inizia quella Estremo-Orientale. Al chilometro 8140 attraversiamo la galleria più lunga della Transiberiana, 2 km e non c’è da sorridere, qui i tunnel sono rari e quindi vengono notati e annotati. Non lontano è il confine cinese, dopo la prateria, al di là degli alberi, se ne vedono le montagne.
Dal punto di vista termico ogni discesa è una sorpresa. Verso le 14 la stazione di Obluche ci accoglie con un caldo sui trenta gradi, un sole bruciante. Siamo sul confine tra la Regione dell’Amur e la Regione Autonoma degli ebrei. Fermata breve, su uno stretto marciapiede, la vista occupata interamente da un lungo merci. Qui si devono portare ancora una volta, l’ultima, le lancette avanti di un’ora.
Torno in treno, l’atmosfera è calma, ci sono meno turisti internazionali degli altri anni, qualche commerciante russo, uno va a ritirare un’auto, presumibilmente proveniente dal Giappone.
Il tempo cambia di nuovo, nuvoloso. Praterie verdi squillanti, acquitrini, graziosi laghetti, ciuffi lilla di Ivan ciai. Fermata di pochi minuti a Birobidzhan, capoluogo della Regione Autonoma degli Ebrei, ma sufficienti per vedere la scritta ebraica sul frontone della stazione.
Al km 8514 s’imbocca il Ponte di Khabarovsk, lungo 2,6 km, il più lungo della Transiberiana, che attraversa l’Amur, a due piani, stradale e ferroviario, costruito negli anni ’90, in sostituzione di quello zarista.
Ed eccoci a Khabarovsk (in perfetto orario, il treno ha recuperato tutto il suo ritardo); ho mezzora di tempo per ammirare la stazione elegante, anche gli interni raffinati, realizzata sul modello della vecchia Duma. Una curiosità, mentre calano le ombre del tramonto: tutti i treni da Khabarovsk a Vladivostok partono di sera, gli ultimi chilometri si fanno al buio, perché in alcuni punti di questo tratto i binari si trovano a soli 10 km dal confine cinese…
Il treno fa ancora una tappa a Vyazemskaya, ma sono a cena e dopo ho la valigia da preparare. Non scendo. La guida continua a descrivere un paesaggio che non vedrò ma ben descritto nel romanzo Dersu Usala. Domani mattina verso le 7 arriverò a Vladivostok e so già che mi sveglierò presto per vedere l’ultimo paesaggio nel chiarore dell’alba. Ci risentiremo al km 9288.
6. Continua