Una prima intensa giornata all’insegna di incontri, riflessioni, approfondimenti su ciò che lega un autore ai suoi maestri; anche quest’anno gli Eventi Letterari al Monte Verità lasciano il segno, anzitutto per l’attualità del tema federatore. “Sulle spalle dei giganti”, ovvero: che tesoro abbiamo fatto degli insegnamenti di chi ci ha preceduto? Cercando delle risposte a questo interrogativo non certo ristretto all’ambito creativo, ma anche essenziale, direi esistenziale, nel pomeriggio di oggi, venerdì 12 aprile, gli Eventi letterari hanno rinnovato la loro collaborazione con l’Università della Svizzera italiana, lasciando spazio a due intensi interventi, a tratti commoventi per la profondità, di Fabio Pusterla e Corrado Bologna, entrambi professori all’Istituto di Studi italiani dell’USI.
Il debito contratto con chi ci ha incoraggiato e sorretto implica un atto di gratitudine e Fabio Pusterla ricorda come esso possa essere riletto anche in chiave psicanalitica. Siamo forse tutti un po’ Telemaco, che aspetta il ritorno del padre per restaurare la legge della parola? “Può darsi, ma il rapporto con la tradizione è ad ogni modo essenziale. Siamo ormai lontani dalla dicotomia che assillava i nostri predecessori, tra avanguardia e antitesi. Come ha scritto Philippe Jaccottet nel suo Paysages avec figures absentes, le opere di coloro che ci hanno preceduto non ci allontano dalla vita, ma ci riconducono ad essa”.
E la mente di Pusterla va subito alla sua indimenticabile maestra non solo accademicamente parlando, ma anche di vita: Maria Corti. “Una volta, ricordo che le fu chiesto di scrivere per la New York Review of Books un articolo sui modi diversi di leggere Dante in America e in Europa. Per questo chiese consiglio al poeta Andrea Zanzotto e la sua risposta fu illuminante, sia per la Corti, ma anche per noi che oggi siamo qui a riflettere su questo tema: se in America Dante è davvero percepito come un “faro nella notte”, in Europa, invece, è “nell’aria che respiriamo”, è cioè così connaturale a noi che non ne percepiamo quasi più la sua presenza”.
“Anche nelle mie creazioni artistiche – ammette Pusterla – a volte mi sono ritrovato a far capo ad autori senza neanche accorgermene, perché parte di una coscienza culturale. Penso all’ultima poesia della mia prima raccolta. In essa, accennando ad un uccello incapace sia di volare che di nuotare, mi sono ritrovato a rifarmi ai volatili illustri della poesia. Chi non ricorda Le cygne di Baudelaire? Ma me ne sono reso conto a posteriori”.
E il problema può diventare più complesso, soprattutto quando ci si applica alla traduzione di un testo. Pusterla, da traduttore di Jaccottet, si è chiesto spesso come riuscire a far percepire ai lettori italofoni i riferimenti baudelairiani nella sua poesia. “Bisogna – ipotizza – trovare un corrispondente di Baudelaire italiano, così da farlo dialogare con la traduzione di Jaccottet e questo potrebbe essere Leopardi. Baudelaire e Leopardi, infatti, hanno la stessa profondità di percezione”. “Come si spiega tutto questo? Si spiega con la memoria che sta dentro le parole, la rhétorique profonde du texte. Come i movimenti impercettibili di un ghiacciaio, c’è una memoria che stratifica le parole”.
Ma spesso le soluzioni migliori vengono dagli incontri che facciamo. A dimostrarcelo il prof. Corrado Bologna che, prendendo la parola, rievoca nuovamente Zanzotto, ricordando come, intervistandolo, una volta si sentì rispondere che “la lingua viene da un luogo che non conosciamo, monta come il latte”. Una frase che rievoca “il fante che bagna la lingua alla mammella”, immagine che ricorre in Dante per ricordare l’impotenza umana a dire la realtà suprema, nota Bologna. Ma cosa ci indica l’espressione della creazione artistica? Cos’è questo altrove da cui giunge la parola? “Come il latte che monta, anche il poeta vive della grazia ispiratrice, che si insinua – come direbbe Simone Weil – tra le fessure dell’essere”.
“Tuttavia, come ribadisce Paul Valéry, il poeta è anche tra i più grandi avari del mondo: desidera così tanto possedere il bene che sta creando che è obbligato a donarlo, per farlo sussistere e poi per possederlo. Così, dare diventa sinonimo di ricevere, in una doppia modalità dello scambio”. “Poi però c’è il racconto evangelico di Marta e Maria, l’una indaffarata per casa, l’altra intenta ad ascoltare Gesù seduta ai suoi piedi: che ci voglia forse dire, Maria, che non c’è altro da tesaurizzare che noi stessi?”. Sì, perché forse in tutti noi c’è una sovrabbondanza che la parola non riesce a cogliere. E allora essa diventa quella “inutilità necessaria” per l’esistenza, come quando San Francesco chiedeva ai suoi fratelli di lasciare nell’orto “uno spazio vuoto per i frati fiorellini”. “Che ci sia sempre spazio – conclude Bologna – per questi fiorellini, per quel qualcosa di incongruo che non si sa da dove viene ma è necessaria come il latte: la poesia”.
A concludere il pomeriggio l’intervista di Michele Fazioli a Laura Morante, nipote di Elsa Morante che, dopo una fiorentissima attività cinematografica, è al suo primo libro, Brividi immorali. “In realtà, sono cresciuta con i libri; il nostro svago, come famiglia numerosa, era una grandissima biblioteca. Tutti quanto abbiamo sempre avuto un grande amore per i libri, a tal punto che in famiglia volevamo essere tutti scrittori”. Ma chi è per la Morante – anche alla luce dell’esperienza della zia – uno “scrittore” e cosa lo accomuna all’attività cinematografica? “È qualcuno che dà luogo a una realtà visionaria, ma che non puoi non riconoscere, come in un sogno o in un film: dà emozioni forti, succede di tutto, nulla è reale ma tutto è vero. Qualsiasi grande artista non si permette il lusso di inventare, ma scrive, dipinge sempre dal vero, fosse anche solo la verità di una propria personale visione. L’artista riporta una visione che si fa realtà e, come diceva Cechov, credo anch’io che la cosa può straordinaria dell’arte è che in essa non si possa mentire, mentre nel mondo si può mentire persino a Dio. Gli artisti dicono una verità rispetto a una visione, non inventano, non sono creativi, in questo senso”.
E poi rivela: “Ci sono scrittori che immaginano di scrivere per un pubblico ostile, altri invece per un pubblico cordiale. Io mi schiero con quest’ultimi; sono tra gli scrittori che hanno fiducia nei propri lettori e pensano che essi completeranno quella traccia lasciata, quel finale appositamente aperto. Questo tipo di scrittura implica una seconda voce essenziale, che è quella del lettore. È la nostra voce che rende preziosa la lettura. Solo così la lettura si fa esperienza formativa, decisiva”.
La giornata di domani prevede, alle 11 al Monte Verità, l’attribuzione del Premio Enrico Filippini, che quest’anno va a Elisabetta Sgarbi e a La nave di Teseo, la casa editrice voluta da Umberto Eco. Alle 14, sempre al Monte Verità, Melinda Nadj Abonji ci avvicina alla personalità di Janet Frame, che ha scoperto grazie al film Un angelo alla mia tavola della regista Jane Campion. Con Peter Schneider, invece, si parlerà alle 16 di Antonio Vivaldi. Alle 17:30, invece, la presentazione della trilogia di Mario Martone: Noi credevamo, Il giovane favoloso, Capri-Revolution. Spostandoci al teatro del Gatto, alla sera, alle 21, invece, Michele Fazioli interloquisce con Marco Malvaldi sul suo ultimo thriller storico dedicato a Leonardo.
Laura Quadri