«Viaggiare non giova. Io conoscevo la vera Grecia prima di approdare a Patrasso e di riverire Erme di Olimpia, prima di toccare le colonne del Partenone e le maschere micenee di oro». (Gabriele D’Annunzio)
Dopo tante citazioni che spiegano il senso e la bellezza del viaggiare, ecco il solito, paradossale, spiazzante D’Annunzio, ma queste puntate della rubrica sono a lui dedicate e in ogni caso quello che voleva dire è una sensazione comune a molti: egli fu in realtà un grande viaggiatore ma questi suoi itinerari, essenzialmente europei, furono vissuti non tanto come esperienza reale ma attraverso associazioni letterarie e il viaggiare si configurava più come un “ritrovamento” di qualcosa che era già nella memoria che come esplorazione autentica. Del resto è come leggere un libro, ritroviamo in esso ciò che siamo, è uno specchio in cui riflettersi ma che al tempo stesso riflette e quindi ci cambia…Viaggiare è sempre una trasformazione.
Detto questo, torniamo al mio di viaggio in questa parte di Abruzzo, concretissima ma nutrita di ricordi storici e letterari.
Allora, un giorno, ho deciso di recarmi da Pescara alla vicina Ortona (collegamento ferroviario, per fortuna). La stazione, anche in questo come in molti casi, si trova in una zona desolata, desertica oserei dire, in basso, ma con un’arrampicata di pochi minuti mi trovo sulla litoranea che porta al paese diviso in Terravecchia e Terranuova e non credo di avere bisogno di dare una spiegazione. Bellissimo il nucleo di età romana e medievale con i suoi vicoli, la Cattedrale è stata ricostruita dopo la seconda guerra mondiale (conserva un corpo che, a seguito d’indagini scientifiche, è stato attribuito a San Tommaso, l’apostolo martirizzato in India) m’imbatto in qualche museo rigorosamente chiuso, anche il Palazzo Farnese che ospita la Biblioteca e la Pinacoteca con opere di Cascella (ma di un’ampia antologica potrò ancora godere a Pescara). Passata davanti al bel teatro neoclassico e liberty, raggiungo il Castello Aragonese che offre una eccellente vista sul mare per una quieta contemplazione.
Tornando indietro verso Terranuova (ma si tratta di un’addizione quattrocentesca) eccomi davanti alla bella facciata di S. Caterina d’Alessandria (chiusa, ma posso ammirare il portale del XIII secolo). Non riesco ad entrare neppure nella chiesa di S. Maria di Costantinopoli ma per me la cosa più interessante è la targa a fianco che racconta una storia bellissima, che mi ha riportato alla memoria la famosa tregua di Natale della prima guerra mondiale, ma quest’altra tregua è molto meno conosciuta. Leggo: “A causa di una sanguinosa, snervante battaglia, strada per strada, contro i tenaci paracadutisti tedeschi, i soldati del Seaforth Highlanders da Vancouver della seconda brigata della fanteria canadese, che avevano dormito poco durante i cinque giorni precedenti, entrarono in questa chiesa il 25 dicembre del 1943 per un indimenticabile pranzo di Natale. Esonerati dalla battaglia, una compagnia alla volta. Il pranzo fu una idea del Capitano Borden Cameron, Quartier Mastro, incoraggiato dal Brigadiere Hoffmeister, e dal Tenente Colonnello Syd Thomson. Il Cappellano dei Seaforth Capitano Roy Durnford diresse gli uomini nei canti natalizi, il “Pipe Major” Ed Essen suonò la cornamusa e il Tenente Gildersleeve Wilf suonò l’organo, mentre gli ufficiali servivano gli uomini. Coloro che furono sopravvissuti alla battaglia e alla guerra non hanno mai dimenticato questo pranzo. Per molti è stato un momento clou della loro vita, poiché aveva procurato loro una breve tregua dalla morte per le strade di Ortona. Soprannominata “la piccola Stalingrado” che loro, insieme al Loyal Edmonton Regiment, al Reggimento Three Rivers e con le forze armate canadesi, liberarono ben presto. I cittadini di Ortona soffrirono terribilmente durante la battaglia, che distrusse la loro città. Coloro che sopravvissero diedero prova di una ripresa formidabile. La loro splendida architettura e il patrimonio culturale erano in rovina ed il loro morale era andato in frantumi. Alla fine di un mese di guerra, brutale, risultarono morti 1375 soldati canadesi e oltre 1300 civili”.
Piccole grandi storie che si annidano tra le mura del passato.
Tornata a Pescara mi aggiro nella città moderna e anche qui mi rendo conto che c’è crisi. I giornali titolano che l’Abruzzo rischia la desertificazione, dal 2008 al 2018 ha chiuso il 13% dei negozi al dettaglio…Intanto visito proprio il giorno dell’inaugurazione il Museo Civico Basilio Cascella delle cui sculture è seminata la città.
Un ambiente famigliare e professionale, infatti è collocato all’interno dello Stabilimento cromo-litografico costruito nel 1895 e divenuto in seguito anche abitazione. E qui, sala per sala, piano per piano, troviamo opere di una vera e propria dinastia che ha dato vita ad una poliedrica produzione di stili e generi.
Cascella stesso si è occupato di pittura, ceramica, grafica, fotografia, litografia, editoria, un precursore anche in campo pubblicitario. Troviamo un po’ di tutto: matrici, illustrazioni, riviste, quadri, oggetti, documenti… Oli, acquerelli, disegni, pastelli, tempere, stampe, etichette, manifesti, editoria artistica, cartoline… E spaziando dal verismo di fine Ottocento al simbolismo che culmina con capolavori come Il bagno della pastora. Poi ci sono i lavori, molto diversi per carattere e ispirazione individuale, dei figli Tommaso, Michele, Gioacchino. E ancora i figli di Tommaso, Andrea e Pietro, straordinari e variamente diversi, scultori. E infine gli ultimi sperimentatori di quarta e quinta generazione, Tommaso jr., Jacopo, Marco, Matteo Basilé, Davide Sebastian. Veramente una immersione attraverso le generazioni che si fanno portatrici di umori ed epoche. Un laboratorio e un cenacolo.
Prima di lasciare Pescara faccio ancora tappa al Museo Urania, oggi Museo Paparella Treccia, dove si trova una mostra dedicata a Sironi, messo però a confronto con altri artisti del suo tempo e una ricca collezione di ceramiche. Soprattutto mi reco al Museo delle genti d’Abruzzo, imperdibile se si vogliono capire a fondo la storia e la cultura di questo territorio. Dalle origini paleolitiche, attraverso le epoche, alle ricostruzioni di ambienti casalinghi e di lavori contadini e artigianali, agli usi e costumi, tra religione e feste, in 15 grandi sale didattiche e accompagnate da una galleria fotografica che racconta di una civiltà scomparsa. Un itinerario a tutto tondo che arriva fino alle collezioni, come quelle dedicate alle bambole in costume di tutto il mondo (anche dalla Svizzera).
C’è anche qualcosa di forse eccessivamente artificioso, ma comunque utile a livello documentario. E per i più giovani una visita qui è d’obbligo.
2. Fine