Il regista e attore del Teatro Paravento Miguel Ángel Cienfuegos ha un personale coinvolgimento che lo porta a sviluppare una costante sensibilità nei confronti dei temi e delle problematiche legate all’emigrazione, al viaggio, all’incrociarsi di culture differenti, essendo stato lui stesso un profugo. Questa volta dedica uno spettacolo al suo famoso conterraneo, Pablo Neruda ed in particolare ad un episodio meno conosciuto della complicata biografia del poeta, in cui s’intrecciano arte e impegno politico. Il Winnipeg, dopo il debutto nella sede locarnese della compagnia, viene replicato al Foce di Lugano. Il teatro, com’è dichiarato, tiene le fila dell’andirivieni temporale che spinge anche a sdoppiare la figura del protagonista, da anziano e da giovane. Tutti e cinque gli attori del resto rivestono più ruoli, indossando la “casacca” del caso. Una serie di abiti appesi a vista intende svelare il meccanismo dentro-fuori anche agli occhi degli spettatori. Sulla pedana si svolge l’azione. Anni settanta, il vecchio Neruda è intervistato e invitato a ricordare i suoi ruoli diplomatici e consolari nella Spagna della guerra civile e alla vigilia del conflitto mondiale, tra le minacce ai suoi amici poeti e le accuse di comunismo, una convinzione che abbraccerà, incorrendo anche in pericolosi errori di valutazione. Un viaggio del tempo, ad incastro tra passato, presente e anche il futuro di cui i personaggi sono ancora all’oscuro, stralci di testi poetici e dialoghi che riescono ad illuminare anche precise problematiche del vissuto, le compagne e le collaboratrici, le motivazioni di certe scelte, l’ambiguità delle situazioni.
Così troviamo Neruda in Francia con l’incarico del suo governo di trasportare in Cile esiliati spagnoli. Ne imbarcherà 2365 sulla nave chiamata appunto Winnipeg, adattandola ad esigenze più umane di vita, caricando soprattutto umili lavoratori. Non senza incontrare difficoltà a carattere burocratico e speculazioni polemiche sul fatto di voler privilegiare comunisti. Ma si rivelerà una impresa eroica che il regista utilizza come paradigma per la nostra contemporaneità in cui sembrano imporsi decisioni di cinico pragmatismo. Circa un mese di viaggio, in quel 1939, per essere poi accolti da un giovane medico di nome Allende. Ritroviamo, quindi, Neruda, alla fine, negli ultimi giorni della sua vita, travolto anche lui dal colpo di stato, in procinto di riparare in Messico, ma poi vittima, nel 1973, di una morte misteriosa, probabilmente un crimine su commissione.
Un teatro-documento, con qualche canzone e un po’ di musica secondo lo stile del Paravento, ma che, in questo caso, non minano la coerenza dello sviluppo e in cui a predominare non sono asserti ideologici, piuttosto la rappresentazione dialettica che permette di entrare direttamente nel cuore della vicenda, con la mente e l’emozione. Buona l’interpretazione degli attori, Davide Gagliardi nel ruolo del giornalista (e non solo), Luisa Ferroni e Laura Zeolla, compagne e collaboratrici, Marco Capodieci e lo stesso Cienfuegos che, principalmente, si sono divisi il ruolo di Neruda, da giovane e da anziano.
Applausi ieri al Foce, con un pubblico un po’ più anziano del solito. Si replica questa sera, ore 20.30.
di Manuela Camponovo