[…] L’elegante livrea rossa dei vagoni scivola silenziosa lungo tratte che sono ardite opere d’ingegneria, tra pendii incipriati di neve, castelli, valli bucoliche punteggiate di chalet, fino al gelido regno dei ghiacciai alpini. Scenari che in alcuni tratti sarebbero difficilmente accessibili, diventano un assaggio di paradiso alla portata di tutti. Così, anche nella lentezza, il tempo vola. (Devis Bellucci)
Amici di Milano mi chiedono: «vorremmo fare un itinerario ferroviario svizzero, qual è più bello tra il Bernina Express e il Glacier Express?». Beh, il “trenino rosso” è un simbolo, Patrimonio Unesco dal 2008. Ma perché scegliere? Mi sono calata nei panni di un’agenzia turistica e gli ho proposto un pacchetto a tappe che comprende alcuni tra i più splendidi percorsi su rotaia della Svizzera. Non vi preannuncio nulla, dovrete scoprirli proseguendo nella lettura.
Lascio Lugano in una bella giornata soleggiata, giovedì. Mi piace come giorno per le partenze, feriale e ancora abbastanza lontano dalla fine della settimana. Appuntamento alla Centrale di Milano. Si poteva anche fare Monza, ma così è più pratico per tutti.
Verso Tirano
Da tempo ho perso i contatti con Tirano a cui mi legano rapporti affettivi e sono contenta di tornarci. Ad attenderci al binario milanese un vecchio, trasandato e piuttosto “stanco” regionale che durante il tragitto si fermerà più volte. In compenso è quasi deserto. Il treno raggiunge Lecco all’estremità orientale del Lario, imprigionata nelle rocciose pareti, si prosegue tra le incombenti Grigne, aspramente scoscese sopra il lago e dietro cui il sole ogni tanto scompare, fino a Varenna, gallerie, qualche scorcio, un’appena spolverata di nevischio ed eccoci a Colico. Dal lago al fiume, l’Adda che la ferrovia costeggia ma lasciandolo solo intravvedere di tanto in tanto, nei suoi attraversamenti. Su questo itinerario, lungo Morbegno, Sondrio, s’irraggiano valli (Masino, Valmalenco), passi, valichi verso le imponenti montagne di confine, il Pizzo Badile, il Disgrazia fino ai 4000 del Bernina. Dall’altra parte, oltre l’Adda, dominano le Orobie. Il panorama cambia con i terrazzamenti della Valtellina. Fino a Tresenda, tra Retiche e Orobie, abbiamo un territorio di coltivazioni su un versante e di boschi sull’altro.
Tirano
Eccoci alla prima tappa e si sente già la differenza climatica, la frizzantina aria di montagna, ma ricordo strade innevate a metà gennaio. Adesso neppure l’ombra di un fiocco. Non ho prenotato e qualche timore ce l’ho anche se, finite le festività, questa è ancora bassa stagione, ma sono la “capitana” dell’impresa, responsabile non solo per me. Proprio di fronte alla stazione retica c’è un albergo con stanze libere, non è difficile indovinare come si chiama… Bernina… Ha anche un ristorante dove si mangia bene, con specialità locali. Nel pomeriggio ci addentriamo tra le stradine del sonnacchioso centro storico, non è una novità per me: locali chiusi, in ferie, nessuna attrazione per la sera. Non va meglio con i musei, come il prestigioso Palazzo Salis (con i suoi sfarzosi interni), visitabile solo su appuntamento per gruppi oppure il primo lunedì del mese come il Palazzo d’oro Lambertenghi. Non resta che passeggiare per le viuzze e godersi almeno gli scorci di mura merlate, del greto del fiume, portici, piazzette, fontane, pozzi, l’architettura e i portali sbarrati delle antiche dimore tra Rinascimento e Barocco; Palazzo Visconti Venosta: uno dei proprietari era quel Giovanni autore del celeberrimo Il prode Anselmo che ha divertito generazioni di studenti. E Palazzo Mazza, ad esempio. Mi spiace per gli amici che hanno girato mezzo mondo ma non sono mai stati a Tirano, fedeli al detto turistico: “l’erba del lontano è sempre più verde…” (mia invenzione!). Non li offendo perché loro sanno benissimo che la penso così. San Martino è invece visitabile.
Il giorno dopo abbiamo ancora tutta la mattina, prima di ripartire. Il problema di questi paesi incastrati tra le montagne è che il sole, quando c’è, tarda a scaldare, arrivando ad illuminare solo le cime durante la prima parte della mattinata e fa quindi parecchio freddo. È facile orientarsi a Tirano, dalla Piazza della Stazione dopo aver salito un breve tratto, a destra si va verso il centro storico, a sinistra il lungo Viale Italia porta comunque in pochi minuti al cinquecentesco Santuario della Madonna di Tirano che è qui la destinazione più nota. Per arrivarci attraversiamo i binari della ferrovia retica che, senza passaggi a livello, affrontano direttamente la città come le rotaie di un tram. È una delle particolarità che fa così caratteristico il percorso del Bernina Express fiancheggiante il Santuario dopo la partenza dalla stazione di Tirano, avvisa, essendo uno dei pochi treni che ancora fischia. La chiesa possiede un interno grondante di decorazioni, un imponente organo del 1617, una pregiata cantoria settecentesca; realizzata sul luogo di una presunta apparizione, tra i suoi progettisti ci dovrebbe essere anche Tommaso Rodari, nome a me famigliare che mi riporta a casa. Quando entriamo sta finendo la messa che, per essere un giorno feriale, è molto frequentata, segno di una devozione che non cessa di tramandarsi. Il vicino Museo etnografico è invece chiuso, aprirà solo a marzo in occasione delle giornate FAI.
Finalmente, verso le 11, il sole fa capolino dalle montagne e si comincia a star bene. Al ritorno percorriamo un’altra via che ci conduce alla chiesa di San Rocco del XVI secolo. Rigorosamente chiusa. Un veloce pranzo e poi…
Sul Bernina Express
Mi chiedono spesso: «in quale periodo è più bello prendere questo treno?» Io rispondo: in tutte le stagioni, vale la pena non almeno una volta, ma quattro nella vita. È però da parecchio tempo che non lo prendo più in pieno inverno e temo purtroppo che sarò testimone dei danni provocati dal surriscaldamento climatico. Già mi rendo conto di quanto nevichi di meno. E allora partenza sui binari a scartamento ridotto.
I vagoni non sono affollati ma si respira l’internazionalità e il controllore poliglotta s’impegna tra spagnolo, inglese, tedesco, italiano, ma naturalmente non mancano i cinesi, mentre l’audio descrittivo si limita al tedesco e all’inglese snobbando le lingue nazionali minoritarie dei territori grigionesi attraversati, l’italiano e il trascuratissimo romancio e che lo parli solo lo 0,5 per cento della popolazione non è un buon motivo, anzi. Ci sarebbe lo spazio per replicare in ogni lingua.
Dopo aver fatto la sua bella esibizione tra le vie di Tirano, il trenino inizia a inerpicarsi. La tratta da noi scelta durerà circa un po’ meno di quattro ore, fino a Coira, tagliando fuori St. Moritz troppo sfruttata, ma in compenso farà quasi il percorso completo innestandosi sull’Albula (ferrovia realizzata nel 1904, sei anni prima di quella del Bernina e che pure fa parte dell’Unesco), inoltre si potrà godere del tracciato più spettacolare fra Preda e Bergün: sei alti viadotti, tre gallerie elicoidali e due a tornanti per superare gli oltre 400 metri di dislivello. Ma torniamo all’inizio: il viaggiatore neofita resterà senza fiato incontrando il fotografatissimo viadotto circolare di Brusio, ormai una icona distintiva del marchio retico, certamente una straordinaria impresa che consente di superare il dislivello facilmente con la estensione artificiale della tratta su uno spazio minimo. Come tutti i viadotti, è più spettacolare per chi lo vede da fuori che per chi c’è sopra, ma solo l’idea… Fermata a Le Prese con il suo lago e poi Poschiavo, capoluogo dell’omonima valle, che raccomando a chi non l’avesse mai vista. Ma soltanto verso Cavaglia, con le Marmitte, arrivano i paesaggi imbiancati.
Effettivamente i ghiacciai lasciano intravedere molta roccia scura. Non si capisce perché il controllore alla fermata di Alp Grüm affermi che c’è un minuto di sosta e contemporaneamente dia il permesso di scendere con il risultato di dover poi richiamare in fretta i passeggeri e il rischio che qualche orientale affetto da “fotografite” acuta resti a terra. Un minuto passa velocemente soprattutto se a più di 2000 metri si è circondati da una vista che spazia dal ghiacciaio Palù alle Alpi Bergamasche. L’Ospizio del Bernina segna il punto più alto, 2253 metri, ormai lasciamo i Grigioni di lingua italiana per addentrarci in Engadina. Un serpentello rosso si aggira lentamente, spiccando nell’abbagliante biancore. Da qui non si può che iniziare a scendere. Si vedono gli impianti di Diavolezza. E si continua tra gallerie e ponti fino a Pontresina da dove abitualmente si parte per conquistare il Piz Bernina, i primi a raggiungere la vetta, neanche a dirlo, furono inglesi, nel 1850. A questo punto noi proseguiamo per Samedan e paesi dalle caratteristiche architetture engadinesi, siamo sulla tratta dell’Albula e a Bergun/Bravuogn (Bergogno) si trova anche il relativo Museo Ferroviario. Una infilata di nove gallerie una dietro l’altra. Passato Filisur, mentre cala il buio, facciamo in tempo a vedere un altro spettacolare viadotto curvo, quello di Landwasser, composto da sei archi. Prima di Thusis con le gole della Via Mala, c’è ancora Tiefencastel, ma è ormai notte, le gallerie aumentano e nel vagone l’atmosfera è resa ancora più romantica dalla scomparsa dell’illuminazione. Si arriva a Coira spaccando il minuto: tutti scendono. Impressionante pensare di aver superato dislivelli inimmaginabili, senza cremagliera e con una pendenza fino al 70 per mille. Di essere partiti dai 429 metri di Tirano e aver toccato quasi i ghiacciai perenni, di aver attraversato campi coltivati, boschi e di essere giunti in cima, a più di 2000 metri, per poi ridiscendere ai 584 di Coira e senza volare! Ci infiliamo nel primo albergo visto dalla stazione e anche qui troviamo posto senza problemi. E domani ci aspetta un’altra affascinante avventura.
Sul Glacier Express
Pioviggina, ma non fa tanto freddo anche se lasciamo l’albergo già equipaggiati per la montagna. C’è ancora tempo per la partenza e quindi porto i miei amici a fare un giro nella città vecchia di Coira, la più antica della Svizzera ma snobbata dal turismo che qui è tutto un mordi e fuggi per più paludate destinazioni. Anche noi siamo di passaggio ma io consiglio di tornarci con calma. Intanto affrontiamo la pedonalizzata Bahnhofstrasse ai cui lati s’individuano già case dalla caratteristica architettura grigionese, svoltiamo per ammirare almeno l’esterno del Museo d’Arte che nel suo recente ampliamento ha fatto molto discutere e che non può passare inosservato, realizzato dallo studio di architettura barcellonese Barozzi e Veiga, si staglia in maniera armonica rispetto al contesto. Apre alle 10 e non vale la pena di entrare, avremo solo un’ora. Sarà per un’altra volta. Nelle stradine acciottolate ci s’imbatte in fontane, piazzette come la bella San Martino, bovindi, torrette, abitazioni dalle facciate colorate. Non saliamo fin su, alla cattedrale, perché abbiamo con noi le valigie, ma un ritorno lo merita Coira, Allegra!
Il Glacier Express, che nel 2020 compie novant’anni, è un altro mito con il suo slogan del “Treno rapido più lento del mondo”, 290 chilometri a scartamento ridotto, tre i cantoni attraversati, Grigioni, Uri, Vallese, 291 ponti e 91 gallerie, ma non lasciatevi impressionare, tutti i tunnel, tranne uno, durano pochi minuti se non secondi e data la lunghezza dell’itinerario avrete di che sfogarvi con il panorama. Noi lo prendiamo da Coira, quindi un tragitto un po’ più breve, avendo fatto l’Albula ieri, poco meno di sei ore. Rispetto al Bernina Express è molto frequentato anche in questa stagione (duecentomila turisti la media annuale, provenienza internazionale). Il viaggio è inframmezzato da informazioni e descrizioni che si possono ascoltare dal proprio posto con un’auricolare scegliendo tra differenti lingue. Notizie sulla Svizzera che anche per una persona del luogo servono da utile ripasso e curiosità come il nome “Grigioni” che deriverebbe dal colore della stoffa usata per confezionare gli abiti maschili. Ci viene anche detto quanto noi elvetici siamo affezionati al treno, ogni cittadino percorre 2300 chilometri all’anno su ferrovia, un record europeo (io l’anno scorso l’ho ampiamente superato con la Transiberiana, Barcellona e altri viaggi a lunga percorrenza). Ci viene anche notificato che le Alpi s’innalzano di un millimetro all’anno, sia per il ritiro dei ghiacciai, sia per colpa o merito dell’Africa. Non mi addentro in spiegazioni che potrete ritrovare. C’è anche uno spazzaneve enorme che d’inverno solleva diciannove tonnellate di neve al minuto per sgomberare i binari sui quali deve passare il Glacier Express.
Esistono varie classi, una di lusso simile a quella degli aerei dove viene servito anche lo champagne, ma il nome dato ad un vagone di “ristorante” è del tutto abusivo perché fa pena, una tortura solo sedersi, la gastronomia non è un granché e i prezzi sono altissimi (5 franchi per un caffè), il mio consiglio è di portarvi da mangiare.
Io comunque ero troppo intenta a guardar fuori. Anche qui è tutto un saliscendi. Dopo aver lasciato Coira ci si addentra nella valle del Reno, con qualche pretesa, “Il gran Canyon della Svizzera” creato dalle frane montane, ma effettivamente gli strapiombi rocciosi sono impressionanti. Passata Disentis (povera maltrattata lingua italiana: sul libretto descrittivo si dice che «è la comunità di lingua romanda più grande della Svizzera», confondendo “romanda” con “romancia”!), si continua a salire fino a raggiungere il punto più alto, i 2034 metri dell’Oberalppass, servendosi di una cremagliera e ormai sembra di affondare nella neve. Queste sono terre anche dei Walser; ecco Andermatt che si vuole lanciare alla grande con tutta una serie di lussuose infrastrutture, alberghi, appartamenti, chalet esclusivi, piscina, campo di golf. E povera montagna… Per poter rendere la ferrovia agibile tutto l’anno è stata realizzata la galleria di base della Furka, quindici chilometri che ci privano dal 1982 della vista del ghiacciaio del Rodano (da cui del resto prende il nome il treno). Ma d’estate la vecchia linea è percorribile con un treno a vapore che viaggia tra Realp e Oberwald.
Dopo il tunnel ci attende un sole sempre più splendente, aumenta anche il numero di sciatori che si vedono attraverso i finestroni panoramici. Si raggiunge quindi Briga e qui il paesaggio è già mutato, affascina il fiume, la Matter Vispa, che scorre tra le pareti di roccia e le vette più alte della Svizzera. Il viaggio si conclude a Zermatt e poco prima dell’arrivo, come in un sogno, appare la sagoma appuntita del Cervino. Arrivo persino con qualche minuto di anticipo sull’orario previsto. Almeno i treni turistici tengono fede alla proverbiale puntualità elvetica. Amo Zermatt se non altro perché sono bandite le auto, in realtà quelle elettriche di servizio possono essere altrettanto noiose quando ti si parano davanti, anche se meno pericolose. Qui ho prenotato essendo sabato, ma non avremo tanto tempo per usufruire della SPA.
La ferrovia del Gornergrat
Prima una comunicazione di servizio: se avete intenzione di andarci, sappiate che ci vogliono i biglietti giusti, quelli che si possono passare al tornello automatico, se ne comprate di “normali” in qualsiasi altro ufficio (dove non verrete informati) oppure online, prima di partire dovrete cambiarli alla stazione relativa che si trova di fianco a quella di Zermatt. Sul Glacier Express il controllore (napoletano) li vendeva.
Non capita tutti i giorni di aprire gli occhi al mattino e di trovarsi proprio di fronte all’immagine del Cervino. Di solito per le stanze d’albergo non sono una che chiede una vista particolare, in camera ci dormo e appena mi sveglio non vedo l’ora di uscire, a stento guardo fuori. Ma in questo caso, devo dire, che mi sono goduta lo spettacolo a più riprese, mentre mi preparavo e dopo colazione, con una luce sempre più chiara nel bianco di montagna. Ma è ora di andare. Una meta ambita grazie alla posizione strategica la cui terrazza a 3089 metri è circondata da 29 cime che raggiungono o superano i 4000!
Il trenino della ferrovia a cremagliera, la seconda più alta d’Europa, ci aspetta alla stazione di Gornergrat, ne salgono due contemporaneamente di treni, uno senza fermate e l’altro che fa tutte le quattro tappe, scegliamo quest’ultimo, la differenza sulla mezzoretta del percorso è appunto di quattro minuti; ci sono solo sciatori nei vagoni, tra cui un gruppo di chiassosi americani, noi ci sentiamo turisti della domenica, sono l’unica a fotografare per motivi di servizio…
Si lasciano le ultime case e ci si addentra nel bosco; a destra ci accompagna la sagoma del Cervino; gli annunci finalmente sono almeno nelle lingue ufficiali, più cinese, giapponese… Un altro prodotto dell’ingegneria umana, tra ponti e gallerie che spezzano la visuale.
Ormai c’è solo neve, montagne di neve. Tra Riffelberg e Rotenboden il tracciato è protetto da roccia e paratie, ma poi si apre, magnifico, l’orizzonte. Sulla terrazza panoramica splende il sole, la visuale è tersa. Ora non resta che abbandonarsi alla contemplazione… La vista spazia a sinistra e a destra del Cervino, che come un soldato reale, fa da sentinella, tra il Liskamm, la punta Dufour, il massiccio del Gran Paradiso, la Dent Blanche… Non vorrete mica che vi faccia tutto l’elenco, vero? Il Cervino sembra vicinissimo. La discesa è ancora più bella, me la godo di più.
Il ritorno e mezza Centovallina
Dopo pranzo, alle 13.13, ripartiamo con un regionale per Briga. A questo proposito devo dire che, a parte l’idea di prendere un treno che ha contribuito a fare la storia del turismo in Svizzera come il Glacier Express, con un altro treno si dovrà cambiare, si faranno più fermate, sarà in ritardo, perché il Glacier ha sempre la precedenza, ma si risparmia il supplemento e non si perde nulla del panorama perché lo si troverà munito comunque di ampi finestroni. A Briga cambiamo per Domodossola, il treno parte quasi subito. Qui si parla solo italiano e molto del personale ha accento meridionale. S’imbocca la Galleria del Sempione.
A questo punto l’idea originaria sarebbe stata di far fare ai miei amici anche la Vigezzina, come la chiamano gli italiani o Centovallina come la chiamiamo noi. Ma a Domodossola c’è da aspettare più di un’ora e partendo alle 16.25 si rischia di perdere, a sole tramontato, la seconda parte del percorso, anche la più suggestiva. Non vale la pena per loro, sarà per una prossima volta. Le nostre strade si dividono, loro proseguono per Milano, io scendo a Domodossola e sul marciapiede del binario a scartamento ridotto aspetto il trenino per Locarno, 83 tra ponti e viadotti, 34 gallerie in 52 chilometri, velocità massima: 60 km/h. Tutto il percorso lo si fa in circa un paio d’ore.
Una immersione totale nella natura, campagne destinate alle coltivazioni ma ancore assopite nel lungo inverno, intricati boschi, villaggi incastrati tra montagne e precipizi, chiesette e campanili isolati, casupole dai tipici tetti in pioda, addossate le une alle altre, aggrappate su speroni di roccia, sporgenti sugli abissi, gallerie, ponti, e il trenino bianco e blu lungo i tornanti va nel brullo paesaggio invernale suscitatore di suggestioni fiabesche e un po’ stregonesche. Sale la nebbia nella fitta boscaglia. Il sole è già sparito dietro i monti, stazioncine deserte, pochi istanti per fermarsi, cigolante il convoglio riparte. Rumoroso stantuffo. Fino a S. Maria Maggiore che ha ancora le lampadine natalizie, il tempo impigrisce in questi territori.
Il resto è notte.