Pubblico quasi tutto femminile per l’ultimo appuntamento della Trilogia del Viaggio, com’era facile da prevedere visto il tema di questo incontro, Io viaggio da sola, titolo a dire il vero un po’ fuorviante, perché si sarebbe potuto pensare ad un maggiore allargamento di orizzonti, anche dal punto di vista sociale, sul turismo delle donne, ormai indipendenti e per cui partire per conto proprio non è più un tabù. In realtà l’attenzione si è concentrata sulla presentazione del libro Io cammino da sola, Ediciclo editore, e sull’esperienza dell’autrice, la giornalista friulana Alessandra Beltrame. Comunque un aspetto interessante e non frequentatissimo del viaggio, quello fatto a piedi. Interrogata da Barbara Sangiovanni della Scuola Club Migros dove ieri si è svolta la chiacchierata (che fa parte del ciclo realizzato in collaborazione con Rete Due della RSI) e tra i passaggi di brani letti dall’attrice Cristina Zamboni, la protagonista si è addentrata nel suo percorso, spiegando cosa significa «camminare con la testa, pensare con i piedi….» E come aiuti a vivere, passo dopo passo, come risulti un processo formativo.
C’era un tempo in cui era “ferma”, come molte persone, interessata ambiziosamente ad accumulare traguardi, ad arrivare, a fare, a conquistare, perdendo di vista il “mezzo”, l’importanza che riveste ogni attimo. E poi la svolta, abbandonare le sicurezze per mettersi in cammino sulla Francigena, d’inverno…
Camminare sposta la riflessione sul “mentre”, costa fatica, ci si mette in gioco con tutti i sensi, il proprio corpo spesso trascurato e che poi, proprio per questo, si ammala, ma quando ci si mette in cammino e da soli, ci si deve prendere cura di se stessi/e, osservare, innanzitutto dove si mettono i piedi, fare attenzione ai piccoli gesti.
Due aspetti: il movimento, secondo il proprio ritmo, che non è lento ma giusto (praticato a lungo dall’essere umano, prima di “civilizzarsi”, aggiungiamo noi) e la solitudine che aiuta a staccarsi, a riflettere, a fare i conti con la propria esistenza. Ha chiarito: non è la solitudine dell’eremita, di chi respinge il mondo e si vuole isolare da tutto e da tutti. Ma affrontare un periodo di solitudine porta a capire più in profondità se stessi e quindi, dopo, a relazionarsi meglio con gli altri. Non si fugge dalle angosce, ma si mettono in luce le parti più in ombra in una ricerca di equilibrio (fisica anche: portare il peso di uno zaino…). E affrontando le paure, la sfida, si scoprono i poteri straordinari, le risorse, la forza, che si possiedono. Ad esempio, ha spiegato, come il proprio corpo, muovendosi, produca calore. Si scopre insomma il proprio lato animale, mentre cadono le maschere della finzione che indossiamo nella vita quotidiana.
E un altro aspetto è dedicato al ricordo: si può desiderare di mettersi in cammino da sole proprio per cercare di cancellare la memoria dei momenti meno felici dell’esistenza. Ma il camminare da soli, quel ritmico movimento, invece, mentre il corpo va, porta a far riemergere tutto, nella testa, il rapporto con il passato. Non lo ha scoperto lei, da migliaia di anni ce lo dicono i filosofi, i peripatetici e quelli di ogni religione, il ritmo del cammino è un atto meditativo, mistico. E oggi, lo sappiamo, ci si muove poco a piedi, non lo si fa più e si sta male. Il camminare porta anche a lavorare per sottrazione, sempre lì, in una combinazione di fisico e mentale, imparare a preparare lo zaino, ad esempio (non ha voluto dire cosa metterci, non è un manuale, Alessandra, ad ognuno il suo zaino, anche se la base è avere delle buone scarpe, se si sbagliano quelle sono veramente grossi guai…), comunque se si viaggia da sole s’impara a portare l’essenziale, perché se è troppo pesante non si può contare sull’aiuto di nessuno. Ma grazie a questo insegnamento, si capisce anche di quanti oggetti inutili ci circondiamo, liberarsene vuol dire conquistare una mente più pulita, tagliando i rami secchi, trattenere solo ciò che è veramente importante, nella testa e nel concreto.
Infine il coraggio di camminare da soli, si osserva meglio, si diventa più sensibili, s’impara a stare bene con se stessi e quindi poi, come detto, con gli altri. Il coraggio è anche quello di affrontare il giudizio di chi non capisce. Il libro non è un’autobiografia, è il racconto di una Alessandra che un po’ assomiglia alla Beltrame, un po’ risulta romanzata in una narrazione che è una esperienza unica e insieme condivisa. Tanto che alla fine, nel momento concesso alle domande o a qualche riflessione sollecitata, non è seguito come spesso capita nelle conferenze un imbarazzato silenzio. L’auditorio non si è fatto pregare e sono arrivati ringraziamenti e testimonianze a dimostrazione di come sia questa una tematica sentita da parte delle donne che sempre immerse nel mondo del lavoro, della casa, della famiglia, oggi non solo ambiscono ad una stanza tutta per sé ma anche ad una salutare camminata tutta per sé…
L’appuntamento con il Living the room è all’anno prossimo con un altro tema.
Manuela Camponovo