Commento

“Trump’s finest moment”? Ma la campagna è ancora lunga

“Trump’s finest moment”: potrebbe essere definito così l’ultimo periodo del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti. Un momento ricco di pathos, glorioso per Donald Trump. Per pochi centimetri ed un secondo, l’America non è precipitata in una possibile guerra civile la settimana scorsa a Butler, in Pennsylvania, dove il tycoon è miracolosamente scampato ad un tentato assassinio. Basterebbe questo per definirlo un uomo molto fortunato. Che si aggiudica pure l’incoronazione messianica alla convention repubblicana di Milwaukee, la buona ricezione da parte dell’elettorato di J. D. Vance come vicepresidente e l’annullamento – per un vizio formale – dell’istruzione del processo per i documenti sensibili rubati alla Casa Bianca e depositati nei gabinetti della villa di Mar-a-Lago. Il prossimo regalo potrebbe essere l’endorsement di Robert F. Kennedy Jr., il controverso indipendente candidato alla Casa Bianca.

A questo si aggiunga anche un apparente temperamento dei toni dell’ex presidente. Chiaro: Trump è Trump e farà Trump – inutile illudersi che si modererà alla Casa Bianca. Però è visibile, sin dal primo dibattito presidenziale di qualche settimana fa, il tentativo – tipico dell’uomo di spettacolo quale è – di contenersi e non spaventare gli indecisi che, come quasi sempre nelle elezioni americane, incoroneranno il vincitore. Indipendenti ed indecisi potrebbero sorvolare sul fatto di inserirsi, votando Trump, in quella che è diventata quasi un culto del palazzinaro. Alimentato dai fatti di Butler. L’unto del Signore, il quasi-martirio in salsa americana, il sacrificio per la redenzione dell’America, etc. Certo, l’intersezione tra populismo, politica e religione non è una novità in America e Trump è tornato subito all’attacco poco dopo l’attentato. Dice che vuole unire l’America, ma non ci crede neppure lui.

La scelta di Vance non è casuale. Egli è un esegeta, un fedele sacerdote del Trumpismo. Ci si chiede quanto sia saggio puntare suoi due uomini bianchi e quanto siano rappresentativi – si era fatto il nome dell’afroamericano Tim Scott per bilanciare le cose. Forse, Vance potrà non portare nuovi voti a Trump. Che dal momento che ha scelto un candidato così a destra indica che si sente ancora più sicuro di vincere e non vuole elementi moderati per risultare più attraente per gli indecisi. Trump ha quindi incassato un vasto nel GOP e tutti i suoi ex contendenti sono saliti sul carro del vincitore. A Milwaukee sono apparsi anche Ron DeSantis e Nikki Haley (che Trump aveva soprannominata “cervello di gallina”). Tutti i delegati erano d’accordo nel farsi rappresentanti del voto rurale e dei “forgotten men”, che ora avrebbero un candidato alla vicepresidenza espressione di una terra impoverita e de-industrializzata.

Vance rappresenta la tipica storia americana ed è espressione dell’America bianca e delusa. Nato povero, è uscito dall’accademia elitaria di Yale. Poi carriera nei marines, finanziere ed infine Senatore dell’Ohio – la sua campagna elettorale l’ha finanziata interamente Peter Thiel, fondatore di PayPal. Personaggio ambizioso e brillante, ha scritto un libro, Elegia americana, che racconta le aree dell’umanità desolata negli Appalachi, come in un romanzo di John Steinbeck o Michel Houellebecq. Oggi Vance è uno degli interpreti più determinati del Movimento MAGA, tra tendenziale isolazionismo, abbandono dell’Ucraina, populismo sfrenato, menzogne e distorsioni della realtà a ruota, lotta contro l’immigrazione clandestina, no all’aborto, appoggio del Project 2025. “Trump’s finest moment”, insomma e vento in poppa, mentre Joe Biden ristagna nell’impopolarità, nelle incertezze riguardo alla sua salute, nei finanziamenti che calano. Il presidente non riesce a convincere gli americani dei suoi incontestabili risultati economici positivi.

È diffusa l’idea che Biden sia una persona perbene, con buona volontà, ma poco lucida. Ha commesso troppi errori in pubblico. E ad ogni incontro elettorale si difende dicendo di aver dimostrato saggezza, di saper dire la verità, di conoscere la differenza tra bene e male. Al momento, questo registro non sembra pagare e si somma, nella lista delle difficoltà in casa dem, al “Trump’s finest moment”. Nessuno di peso ha ancora avuto il coraggio di dirgli di farsi da parte nella corsa alla Casa Bianca. Ma Biden ha anche le sue ragioni: nessuno aveva detto nulla o lo aveva sfidato per la leadership dem prima dell’infausto dibattito con Trump. Ed ora è tutto un fuggi-fuggi, dalle star di Hollywood agli editorialisti dei quotidiani statunitensi che scoprono che il presidente ha 81 anni e ha raggiunto un’età avanzata per ricoprire ancora per quattro anni il lavoro più complesso del mondo.

Sussistono i dubbi su Kamala Harris, che Biden ha cercato recentemente di presentare come una possibile buona presidente. Per ora, la signora non brilla né per competenza né per carisma – di nuovo: ce ne si accorge ora? Ma se sostituisse Biden ora o dopo la convention democratica o forse dopo una ipotetica vittoria alla Casa Bianca, potrebbe stupire. Gli attributi per cui venne scelta nel 2020 nel ticket presidenziale – non è un segreto: il sesso e la storia personale – potrebbero non rivelarsi sufficienti agli occhi di molti indecisi e tra i dem stessi, compresi molti afroamericani. Harris galvanizzerebbe certamente un elettorato sia radicale (quelli del BLM, della Woke culture, della check-list: no-uomo, no-bianca, figlia di immigrati, di sinistra, etc.) che moderato (impauriti da Trump, indipendenti, liberali, progressisti). Ma Biden potrebbe avere un asso nella manica ed usare il post-Butler per riequilibrare le cose: una legge sulle armi.

Di cui si parla da anni, ma che nessuno ha avuto il coraggio di proporre – soprattutto per non alienarsi i finanziamenti dell’NRA. Questo spaccherebbe e spiazzerebbe l’elettorato repubblicano. I parlamentari repubblicani potrebbero dunque opporsi ad una legge sulle armi, alla luce del fatto che il loro capo-tribù è stato vittima di un attentato con un’arma semi-automatica? La sensazione è che non si stia andando in questa direzione. Biden sta infatti valutando se chiedere un emendamento costituzionale per eliminare l’ampia immunità per i presidenti ed altri funzionari – il che sarebbe recepita come una legge ad hoc contro il rivale, per altro ingarbugliato in una complessa tela di procedimenti giudiziari. Il “Trump’s finest moment” e la crisi interna ai democratici vogliono dire che Trump ha già vinto le elezioni? Niente affatto. La campagna è ancora lunga, gli indecisi attendono. Ma la campagna dem è in standby e Trump è in vantaggio.

Amedeo Gasparini

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