La società aperta è sotto attacco. Una coltre di autoritarismo – più o meno spesso a dipendenza delle latitudini del pianeta – sembra raggiungere le vette del grasso consenso proprio quando le tradizionali risposte liberali e democratiche stentano a godere del sostegno che per decenni hanno avuto. Ma cos’è la società aperta? «Con l’espressione “società aperta”» scrive Karl Popper, morto il 17 settembre di venticinque anni fa, «designo non tanto un tipo di […] forma di governo, quanto piuttosto un modo di convivenza umana in cui la libertà degli individui, la non-violenza, la protezione delle minoranze, la difesa dei deboli sono valori importanti.» Il binomio “società aperta” è legato a doppio filo al suo più grande teorizzatore, il “filosofo della libertà”. A un quarto di secolo dalla scomparsa di Popper, le sue considerazioni in campo sociale ai tempi del successo dell’onda demagogica e delle crisi delle democrazie sono quanto mai attuali.
Nato il 28 luglio 1902 nei pressi di Vienna da una famiglia di origine ebraica, Popper si iscrisse all’università della capitale austriaca, ma quando, attorno alla metà degli anni Trenta, l’aria in Austria si fece pesante, si traferì a Londra, quindi in Nuova Zelanda. Aveva visto giusto: due anni dopo, avvenne l’Anschluss e quindi l’occupazione nazista. Regime intollerabile e disumano per chi già allora si era sempre espresso per il trionfo della libertà su ogni tipo di tirannide. Dal 1945 insegnò alla London School of Economics; conobbe Friedrich von Hayek ed Albert Einstein.
Nel suo celebre La società aperta e i suoi nemici l’epistemologo austriaco cerca di sfatare il mito della bontà del collettivismo come forma di non-libertà. Ritenere tutti uguali vuol dire non ritenere tutti liberi. Un collettivista non è per forza altruista, così come un individualista può essere altruista. Una provocazione? Non esattamente, dal momento che l’individualista non costruisce per forza una società malvagia, ma neppure cerca quella perfetta. E «se tenti di arrivare ad una società perfetta» – avverte Popper – «sarai di certo contro la democrazia.» Democrazia che a sua volta non può essere e perfetta: ed è sbagliato imputarle «le carenze politiche di uno Stato democratico. Dobbiamo piuttosto imputarle a noi stessi, cioè ai cittadini dello stato democratico.» Sono le persone che migliorano lo Stato come somma di cittadini. E lo Stato cresce se con esse crescono e vengono preservate le libertà dei suoi cittadini.
In Tutta la vita è risolvere problemi Popper scrive che «abbiamo bisogno di libertà, per evitare gli abusi del potere dello Stato; e abbiamo bisogno dello Stato per evitare l’abuso della libertà.» Per sua stessa natura, qualsiasi potere politico tende ad espandersi; ed è quello che vogliono precisamente tutti i partiti demagogo-populisti: estendere il ruolo dello Stato per ampliare il proprio controllo sugli altri e le loro abitudini. E se è vero che la libertà non deve e non può essere illimitata, è pur vero che essa è un bene prezioso da preservare e consolidare. Il che non dev’essere una scusa per annientarla o limitarla. Oppure controllarla: in troppi stati – sia quando scriveva Popper, che oggi – i diritti individuali sono minacciati dall’eccessivo e bruto dirigismo dell’Esecutivo che si serve dell’automa statale per aiutare i sudditi a spegnere le coscienze e finire sotto il faro spietato del Grande Fratello.
Importanti, inoltre, le parole di Popper sulla tolleranza: concetto esaminato nel profondo dal filosofo; nozione controversa nell’era della semplificazione sfrenata e populistica e nell’identificazione dell’“altro”, il diverso, come il nemico. Secondo Popper una società libera deve essere fondata sulla tolleranza e deve dunque difendersi da chiunque intenda distruggerla – come gli intolleranti, ad esempio. Secondo il filosofo, non bisogna sopprimere gli intolleranti per le loro posizioni, ma solo quando questi fanno uso della violenza e della forza. In altri termini, non bisogna mettere al bando gli intolleranti perché intolleranti, eccetto se questi usano la violenza al momento della loro argomentazione. Il pensiero di Popper trovò in John Rawls il suo maggiore avversario: secondo il filosofo della politica, autore della controversa opera A Theory of Justice del 1971, la società aperta deve tollerare anche gli intolleranti. Dilemma aperto.
Popper avverte: la tolleranza – così come la libertà – illimitata si può autodistruggere. E l’illimitata libertà non può e non deve esistere. Neppure nel mercato, di cui Popper era strenuo difensore. In La lezione di questo secolo Popper scrive che «la libertà del mercato è fondamentale, ma non può essere una libertà assoluta. Questo è vero per il mercato come per qualunque altra cosa. La libertà assoluta è un nonsenso.» In La ricerca non ha fine Popper spiega che tra non-liberi non c’è nemmeno uguaglianza. In sostanza, chiunque desideri che l’uguaglianza prevarichi la libertà si appella (in)direttamente al desiderio di una società totalitaria. In questo senso, la libertà è più importante dell’uguaglianza.
Attuali anche le riflessioni del filosofo sulla difesa della democrazia, un “servizio” da curare per bene al fine di garantire una società veramente aperta. «Le democrazie non sono governi del popolo, bensì prima di ogni altra cosa attrezzate contro una dittatura.» Popper è sempre stato avverso e contrario ad ogni forma di totalitarismo che chiudesse i recinti della società aperta: una Hannah Arendt liberale; difensore del pluralismo all’interno della Cosa pubblica e del riformismo nella politica. Popper indicava come immorale ogni dittatura, perché essa «condanna i cittadini a collaborare con il male contro la loro migliore scienza e coscienza». In questo senso, è solo sotto un regime tirannico dove c’è uguaglianza e non libertà. E troppe persone, per invidia sociale ed altro, preferiscono la prima alla seconda.
Amedeo Gasparini