L’operazione non è certo nuova, di demistificazioni, destrutturazioni e provocazioni nei confronti dei classici se ne sono viste moltissime, fin dalle avanguardie del secolo scorso. A partire dal titolo magrittiano, Io non sono un gabbiano, otto baldi giovani, guidati da Stefano Cordella autore e regista, riattualizzano Cechov (la cui profetica visionarietà non ne avrebbe bisogno), utilizzando schemi abbastanza ovvi, dal momento che il confronto generazionale sull’arte, tra decadenza conformistica, ingenui slanci illusori, cinismo nichilista, è decontestualizzato attraverso un grottesco da show, a tratti cabarettistico.
Ridicolizzata la retorica aulica di orazioni funebri (si apre il sipario sulla morte simbolica della grande attrice), i formalismi esaltati nella mediazione di un microfono che, in crisi di identità, diventa anche protagonista di un esilarante duetto con il suo straniato tecnico brechtiano, sfoderando una vocina da cartone animato. L’appassionata disperazione del giovane Konstantin (anche questo fatto non nuovo) letteralmente denudata e poi estremizzata nella clownesca scenetta a tormentone del suicidio ripetuto in triplici modalità. Un facile bersaglio di un circo da varietà mediatico con il quale si mettono alla berlina, non trascurando i suoi esiti trash, i fondamenti di una società alla deriva, matrimonio e amore, introducendo spunti parodiati d’indagine sociale, canzonette e frustrazioni da ribalta. Indovinate alcune trovate come quella di Nina che insegue senza mai trovarsene al centro l’occhio di bue, il fascio di luce del faro che dovrebbe illuminarla nella sua sognante ricerca di un palcoscenico. I personaggi s’interrogano sul loro essere tali in una evidente metateatralità e ogni tanto esprimono la parola di Cechov che, naturalmente, trasporta la riflessione ma resta incongruente e isolata. E chi può dire se la recitazione che, a volte, lascia a desiderare, non sia un fatto volutamente richiesto dalla desolazione del gusto contemporaneo? Per chiudere, in esibizione canora più o meno accennata dai personaggi, su uno dei brani più rappresentativi delle consolatorie e superficiali espressioni di un consumismo di massa festivaliero, Felicità di Al Bano e Romina.
Si spera che tutto il pubblico intervenuto ieri abbia avuto anche cognizione dell’originale e che non abbia esaurito la sua partecipazione nelle risate, senza cogliere i rimandi.
In scena: Francesca Meola, Camilla Pistorello, Umberto Terruso, Dario Merlini, Dario Sansalone, Camilla Violante Scheller, Daniele Crasti, Fabio Zulli.
Lo spettacolo (progetto dell’Associazione Culturale Oyès, nell’ambito transfrontaliero di “Viavai+”, promosso dai Cantoni Ticino, Vallese e dalla Regione Lombardia) ha aperto la rassegna del MAT, in collaborazione con LuganoInScena, Lunedì al Foce, sette proposte nel giorno meno teatrale della settimana.
Prossimo appuntamento, il 26 novembre con Ritratto di donna araba che guarda il mare.
Manuela Camponovo