Un impegno durato nei decenni per sostenere la coscienza ecologica, storica, e culturale del Paese. La presenza di Graziano Papa (25 aprile 1919- 13 febbraio 2019) è stata costante là dove ne andava della dignità del Paese, dei suoi valori, della natura e, dunque, dell’uomo.
Una persona la si può commisurare sulla scorta della qualità e quantità di stimoli che ha dato alla comunità in cui vive. Ebbene gli stimoli che, in uno straordinario impegno di lavoro, sono giunti da Papa alla nostra comunità sono stati quanto copiosi e fecondi.
Nell’equilibrio e insieme nella pertinace fermezza, Graziano è stato decenni sulla breccia. Solo una prova: le molteplici lotte (centinaia di ascoltatissimi ricorsi al Tribunale federale) per garantire dalla speculazione interi settori del nostro territorio (e, dunque, della nostra vera ricchezza).
Dobbiamo essergli molto grati. Della sua capacità di riflessione (in un cantone spesso incline all’approssimazione) stanno ad esempio a prova Le Erbe della foce (Locarno, Dadò 1993). Vi si dispiega la ricchezza delle curiosità e degli approcci intelligenti, meditati, sempre sovralocali e “sovraoccasionali”di Papa.
Si faceva affascinare dalla poesia (conosciuta anche nelle manifestazioni più recenti) così come ha insegnato a sostare stupiti dinnanzi alla natura sentita in tutto il suo mirabile rigoglio, compresa nella geologia la vertiginosa profondità dei millenni che affiorano nelle Gole della Breggia.
Ammirazione e gratitudine insomma dinnanzi a figura che aveva vivo il senso dello Stato (era stato per 4 anni in Gran Consiglio, ma poi se ne era allontanato per certa inconcludenza che caratterizzava talune sedute; oggi per fortuna la cosa è cambiata).
Colpiva in lui il non localismo (cui noi ticinesi spesso incliniamo). Non era una visione, la sua, che vedeva solo il Ticino e in esso si chiudeva. In una ammirevole (aggiornatissima) voglia di informarsi a fondo praticava letture accanite e insieme sistematiche, con un discorso sempre attento a una prospettiva generale.
Che ne sarà ora della sua aggiornatissima biblioteca e della ricerca (inedita, ma già su PC) del Ticino minacciato dall’irredentismo fascista già prima della seconda guerra mondiale?
Grazie, avv. Graziano Papa.
Vita e opere
Graziano Papa era nato a Chiasso il 25 aprile 1919. Dopo la maturità, conseguita in un liceo di Zurigo, aveva studiato alle università di Berna e Zurigo, dove aveva ottenuto anche la licenza in storia dell’arte (era un grande amico di Paul Klee).
Nella diversificazione delle competenze, i suoi vari testi sono pur percorsi da una scelta di fondo (da una costante): l’impegno per dei valori che restino, il rifiuto dell’effimero, la persuasione che non possiamo continuare a essere persone che ignorano la natura e non si rendono conto di appartenere a una comunità. Non c’è posto, oggi, per l’evasione e per soluzioni abborracciate: troppe, e troppo grandi, sono le questioni politiche, ecologiche, culturali, antropologiche, che premono sul nostro oggi e condizionano le possibilità di esistenza, nel futuro, per le comunità umane.
A questi aspetti ha di continuo richiamato, con fermezza e chiarezza. Graziano Papa in questi ultimi quarant’anni del nostro Cantone. E poi vi è il Papa appassionato di lingua, arte ecc.
Un uomo – crediamo – lo si può commisurare sulla scorta della qualità e quantità di stimoli che irradia. Ebbene gli stimoli che sono giunti da Graziano Papa, in questi suoi fecondi quasi cent’anni, sono quanto mai ricchi e diversificati. Vanno dalla storia all’architettura, dalla cultura alla lingua, segnati in ogni momento da uno straordinario impegno di vita a vantaggio del nostro Cantone. L’uomo ha dato molto al Paese, di cui per più versi è la coscienza ecologica, una coscienza sorretta dal senso della storia e affinata dal gusto.
Qui non si vuol certo entrare in una rassegna completa. Ci si limita a richiamare i molteplici interventi, svoltisi attraverso oltre un trentennio, presso le autorità e i responsabili per la salvaguardia della natura, gli impegni di livello giuridico, le attenzioni, le prese di posizioni, i richiami alla coscienza quali si sono sedimentati ne Le Erbe della foce (1993). Del resto sono innumerevoli gli interventi e gli articoli che si sono succeduti in questi anni dopo il 1993. Altrettanti strumenti di intensa sensibilizzazione umana e culturale nel senso più vasto dell’accezione.
Papa non ha bisogni di elogi. Sì che si può tacere del suo rigore, del suo impegno attraverso i decenni: sempre a vantaggio del paese e della sua gente, in una vita gestita spesso nel silenzio, vissuta con intelligenza e sensibilità.
Le pagine di Papa sono spesso ricche della parola che ti aiuta a capire meglio la realtà in cui ti muovi. Animate da spiriti vivacissimi, ora dall’ironia (come quando si piegò su un infelice articolo della NZZ che annunciava il Ticino invaso dalle vipere), ora mossa dal senso poetico (le più dense poesie sulla natura e le sue piante, la letteratura italiana del Novecento le deve a lui), sono pagine segnate da poliedricità di interessi e dall’entusiasmo. Vien fuori l’uomo che sosta, stupito, dinnanzi alla natura nella sua bellezza e nel suo rigoglio, commosso della vertiginosa profondità di secoli che affiorano negli strati geologici del san Giorgio. E vi è, di fronte all’incisione sulla roccia, che in Bavona, reca, nella pietra viva, il ricorda il fatto, il «patire insieme» con l’uomo che, travolto dal masso, muore, straziato, dopo 35 ore di patimenti.
Le riflessioni di Graziano vanno ora alle scienze naturali, ora alla letteratura, ora alla storia del diritto: mai, comunque, delle analisi che restino fine a se stesse: esse vengono costantemente proiettate in una dimensione globale, di impegno, e di amore per il paese. Così come le prese di posizione ecologiche sono lontane da certi integralismi oggi di modo: al centro resta sempre l’uomo, con i suoi valori e i suoi bisogni.
Le prospettive nuove che emergevano da Papa erano molte, sì che dobbiamo disciplinarci. Dobbiamo rinunciare a tentare di dire tutto quanto lasciavano gli incontri con lui. Segneremo solo alcuni elementi.
Colpisce, in lui, il non localismo. Non è, la sua, una visione che veda solo il Ticino o la Svizzera italiana e in essa si chiuda. L’informazione è sempre larga, europea, di un’ammirevole aggiornatezza, anche in settori specifici, come la letteratura, la linguistica o come l’architettura: un settore, quest’ultimo, in cui appaiono prospezioni che sono frutto di letture accanite, in un discorso che si colloca sempre in prospettive generali. Mai che la sua analisi si lasci imprigionare dal singolativo: il caso singolo, ticinese, viene sempre inserito in un contesto più ampio, di portata generale, in un quadro di principi: con esiti di indubbia fecondità, ricchi anche del coraggio di spiacere a autorità costituite o a affaristi o alla molta gente che ama il quieto vivere.
Al serrato dibattito internazionale che pulsa oggi sul costruire, un contributo significativo viene dalla Svizzera italiana, grazie a parecchi architetti che si considerano dei resistenti contro la mediocrità edilizia. In questo settore sono importanti anche le prese di posizione di Papa, con interventi sempre calibrati, mossi non da interessi personali, ma da volontà di chiarezza e da motivi di principio.
Coerenti, ad esempio, gli sviluppi e le applicazioni sui problemi connessi al rapporto tra il nuovo e il preesistente (p. 172 ss., 413 ss. di Erbe della foce), con l’enucleazione della nozione di «continuo discontinuo» (p. l75 e p. 410 ss.): un riflesso del frequente venir meno in chi costruisce di uno sforzo volto a creare un tessuto omogeneo a livello dei diversi interventi urbanistici. Vi sono, tra gli addetti ai lavori, architetti che vanno per la maggiore che si compiacciono e giustificano il caos di certe nostre periferie. In Papa, invece, è nitida la richiesta di assicurare all’uomo la possibilità di vivere in un’architettura in cui sia costante il riferimento a dei valori: un discorso che supera le riflessioni tecniche, per giungere a dimensioni teoriche di respiro europeo, diventando un modo di avvicinarsi alla storia delle mentalità. Si vedano, ad esempio, le pagine sulla parentela francese (badaud) del nostro badola ‘sempliciotto’. Intenso, pluridecennale, il lavoro svolto per Pro Natura svizzera, sempre sulla breccia per salvare elementi di base del nostro patrimonio naturale e, dunque, dei beni della nostra società: il Generoso (con lo sbarramento a uno avido sfruttamento del biancone), il Calangelo, Dötra (il gioiello in val di Blenio), la coraggiosa presa di posizione sull’Arbostora. Sì che non è un caso che il nostro discorso politico debba a lui non pochi termini, come quello di paesaggio umano per «paesaggio antropico, paesaggio foggiato dall’uomo», come quello di costruzione a ubicazione necessaria, quale correttivo del termine di conio burocratico, che, per tradurre il tedesco standortbedingt, ha coniato una «costruzione a ubicazione vincolata» (un concetto non solo pesante, ma erroneo: il vincolo sussistendo quando la costruzione risulti legata a qualche elemento, fattore che non sussiste ad esempio in casi come quello della necessità di una costruzione come un rifugio del Club alpino svizzero).
È poi fuggevole il richiamo, in evidente scompenso con la realtà (li evochiamo in un momento, mentre costano settimane di lavoro) i molti atti di diritto pubblico e i ricorsi al Dipartimento del Territorio, e, oltre quello, al Tribunale federale: interventi quasi sempre coronati dal successo, voce ascoltata con rispetto dalle autorità federali e argomentazioni spesso divenute giurisprudenza in quel suo far valere le ragioni della natura sempre congiunta all’uomo. Occorre chiudere: con un accenno ad una caratteristica unica, quella di un quarantennale intervenire che sposa l’autorevolezza dell’uomo di cultura e il rigore dell’uomo di legge: il tutto in un costante impegno di cui il Paese deve essergli grato.
Ottavio Lurati