Nella cultura tuareg non si parla apertamente d’amore. Tuttavia, la parola rispetto, che è ad essa intimamente connessa, è conosciuta bene, praticata quotidianamente, resa norma di vita, soprattutto verso le donne. Ce lo ha raccontato con la sua simpatia e la sua delicatezza ieri sera al Parco Ciani, nel contesto del LongLake, Ibrahim Kane Annour, tuareg, padre di famiglia, e autore del libro Il deserto negli occhi, intervistato per l’occasione da Andrea Fazioli. Attualmente Ibrahim vive in Italia ma ritorna nelle sue terre, nel suo deserto, molto spesso, per portarvici i turisti e cercare di trasmettere loro almeno un po’ della saggezza dei popoli di questi luoghi.
Il deserto, infatti, è una vera e propria scuola di vita: il modo di vivere occidentale in questo luogo soccombe, per lasciare spazio al tempo, alle dune, agli incontri. Infatti, al di là di quello che si possa pensare, nel deserto si fanno incontri di ogni genere. Certo, ti sposti per miglia e miglia in silenzio, senza vedere un albero, eppure ti può capitare, come a Ibrahim, di incontrare un lontano parente che non vedevi da mesi, anche lui messosi in viaggio. È fatta di queste sorprese la vita di un tuareg. Una vita che sembra provenire da Le mille e una notte, soprattutto quando Ibrahim ti racconta in che modo ha conquistato la sua prima ragazza di cui si era innamorato. Non certo con un sms galante. Ma con una sfacchinata di chilometri nel deserto – perché essere vicini di casa, tra le dune, significa abitare “a qualche chilometro di distanza”, abbastanza da poter sentire i rumori portati dal vento da una casa all’altra – ai piedi dei sandali di paglia per non lasciare impronte troppo riconoscibili, e poi l’appostamento notturno nell’accampamento nomade.
Forse è per questo che se i tuareg devono darsi una definizione pensano alla libertà. “Siamo uomini estremamente liberi”, sottolinea. ”Poeticamente, uno scrittore francese, ci ha anche definito gli uomini blu del deserto, a causa dei nostri abiti, ma noi ci identifichiamo nella libertà”.
Libia, Algeria, Mali, Burkina Faso, Niger: i tuareg sono oggi un popolo distribuito in cinque Stati, ma la loro caratteristica è di essere da sempre nomadi. Il che oggigiorno implica delle problematiche non da poco. Non tanto per la durezza di una vita simile, ma per il confronto obbligato con le multinazionali che giungono un po’ da tutta Europa – ma anche dalla Cina – per accaparrarsi le risorse delle loro terre, in primis l’uranio. Una situazione complessa, perché “a decidere il prezzo di vendita, un prezzo politico, sono sempre gli Stati che vengono ad estrarlo; alla nostra gente resta ben poco, il costo è molto basso”. Ma c’è di più: Ibrahim sostiene che gli Stati che vengono alla conquista delle loro terre abbiano un perverso modo di agire. “Innescano una situazione di conflitto, magari tra noi tuareg e i capi di governo locali, così che possano ripagare l’uranio estratto in armi; ma il commercio in armi è una scusa, una copertura. Fatto sta che a noi, come regalo, rimane la guerra”.
È proprio a seguito di una situazione così che Ibrahim nel 2007 decide di scappare e di andarsene prima in Benin e poi in Italia. Adesso la sua famiglia l’ha raggiunto, le sue figlie studiano all’università ma il contatto con ciò che ha lasciato è tutt’altro che finito: torna infatti regolarmente nel suo deserto, una volta ad esempio l’hanno accolto con una gara di cammelli organizzata in suo onore; i turisti che c’erano con lui si sono commossi nell’assistere ad un così caloroso benvenuto.
Ibrahim ha tanto da insegnare all’Europa, prima di tutto il suo concetto inclusivo di società: “Sogno un’Europa multiculturale, per me il futuro è questo. Ma per fare sì che sia così bisogna smettere di giudicare la gente per il colore della pelle”. E sulla questione delle migrazioni? “Per capire la situazione odierna bisogna andare alle origini del problema, visitare l’Africa e capirne a fondo le sue problematiche. La popolazione africana è composta per il 52% da giovani, che tuttavia non hanno un futuro a causa di un difficile sistema economico. Laddove avrebbero la possibilità di mantenersi con un lavoro, arrivano le multinazionali che distruggono tutto. L’unico modo per uscire da questa situazione, secondo me, è educare le donne. Le donne sono alla base della nostra società e sono loro ad avere in mano l’educazione dei nostri figli, soprattutto in realtà profondamente matriarcali come quella dei tuareg”.
Per finire la testimonianza, Andrea Fazioli legge dal libro di Ibrahim una commovente poesia. Il messaggio è chiaro e solo la saggezza del deserto poteva formularlo in modo tanto chiaro: “Se cadi nello sconforto, cerca un punto di riferimento, non abbatterti: il futuro è là, dietro il miraggio”.
Laura Quadri