Non c’era la necessità di un libro e di uno spettacolo per raggiungere l’inevitabile, anche un po’ banale, “lieto fine”. Ma l’adattamento dall’opera di Martin Page e l’impianto registico entrambi firmati da Corrado Accordino, fanno della produzione di Binario 7 Come sono diventato stupido (ieri al Teatro Foce nell’ambito della rassegna MAT, organizzata con LuganoInScena), uno spettacolo divertente e originale. Sufficienti un tavolo e delle sedie, quattro attori, tre dei quali si avvicendano nelle parti descrittive e nei personaggi che, di volta, in volta costruiscono, con brio, a tratti con slancio parodistico da cartone animato o come un grottesco vaudeville, le diverse scene di questa sorta di percorso d’iniziazione alla vita, al suo senso. Dagli “inetti” sveviani ai moderni “nerd” che, d’altra parte, se sanno ben sfruttare i loro talenti possono raggiungere il successo, l’eccessiva predisposizione all’analisi, a voler dare una spiegazione a tutto, a “farsi dei problemi” in continuazione, diventa una strada assicurata per l’asocialità, il fallimento nelle relazioni umane, l’esclusione dalla partecipazione alla superficiale e godereccia esistenza delle “masse”. Consapevole del “male di vivere”, occhialuto, sempre alle prese con i libri, goffo, introverso, coltivatore di dubbi per ogni azione quotidiana, anche la scelta del pane, non invitato o messo all’angolo nelle feste, non attrattivo né per amicizie né per amori… Ecco che l’intelligenza per il nostro protagonista, destinato alla solitudine, alla povertà, alla nevrosi e all’infelicità, si rivela una malattia ma, non essendo riconosciuta come tale, pure inguaribile.
Il resto, i vari tentativi che mette in atto per trasformarsi in una persona “normale”, naturalmente, sono un comico paradosso. Diventare un alcolista e farsi istruire dall’ubriacone del bar, per poi, al primo tentativo, finire in coma etilico. Oppure seguire corsi sul suicidio (di giovani sani, con tanto d’insegnante portatrice d’allegro nichilismo). Fino a quando la pediatra di famiglia, commossa dalla sua vicenda, lo rifornisce di pillole che anestetizzano la coscienza, tanto da farlo diventare un mangiatore di hamburger. Ma per non mancare nulla, incontra un amico del padre che, già in passato impressionato dal suo cervello, lo assume in borsa, un incidente al computer lo renderà ricco, freneticamente travolto dall’ambizione del possesso di beni materiali, per poi scoprire, guarda un po’, che neanche questi assicurano la felicità.
E allora, cosa può rendere un essere umano veramente felice? Ma che domanda! L’amore, no? E il metaforico sipario cala su Antoine e la ragazza, estroversa e giocosa. Una fiaba insomma alla maniera dei nostri tempi, restituita in una girandola di caratteri ben strutturati che scimmiottano le odierne modalità comunicative, spesso tanto esuberanti quanto vuote di significato. Applauditi lo stesso Accordino, Chiara Tomei, Alessia Vicardi, Daniele Vagnozzi. Il prossimo appuntamento con I lunedì al Foce sarà in febbraio.
Manuela Camponovo