Intervista

Uomo, lavoro e tecnologia: verso dove stiamo andando

Intervista con Meinrado Robbiani su mondo della fatica di ieri e nuovo futuro già… presente

Meinrado Robbiani

Meinrado Robbiani, già Consigliere nazionale ed ex segretario dell’OCST (Fonte: Fermo immagine video Caritas Ticino)

Sarebbe interessante, parlando di lavoro e della sua sempre più rapida modernizzazione, accertare se quanto si prevedeva 10 o 5 anni or sono in materia di cambiamenti epocali – con alcuni mestieri storici scomparsi o destinati all’estinzione – si sono avverati e in quale misura. Si prefigurava che più della metà dei lavori sarebbero stati in campi inesplorati, con sbocchi allora inesistenti o forse neppure immaginati. Laurene Powell Jobs, 60 anni, vedova ed ereditiera del geniale Steve, lei stessa imprenditrice e filantropa, spiegava a fine 2018 che il 65% dei nuovi lavori ancora non esisteva e pertanto i giovani d’oggi «devono entrare nell’ottica delle idee che potrebbero continuare a studiare tutta la vita per essere protagonisti nel mondo del lavoro». Significa che:

    1. bisogna essere in grado di dominare l’evoluzione continua;
    2. il criterio del tempo per misurare la produttività è superato;
    3. l’insegnamento nelle scuole dovrà a sua volta progredire e le lezioni andranno tarate su ogni singolo alunno.

La curva di questi anni ha confermato le proiezioni? E alla resa dei conti le nuove opportunità offrono più vantaggi o sono un impoverimento nell’offerta? Di sicuro l’apporto umano è decisivo, insostituibile e irrinunciabile per intelligenza, ingegnosità, lungimiranza, ma in termini quantitativi come si mette? Fino al passato prossimo le rivoluzioni industriali portavano un aumento dei posti di lavoro, con l’Intelligenza Artificiale e gli scenari stupefacenti ma anche inquietanti che si prospettano, come sarà? Ad esempio con i robot?

Non è sempre facile capire o percepire se il calo dei compiti richiesti alle persone, in definitiva anche a ciascuno di noi, comporterà un taglio nell’occupazione o nei tempi di presenza sul posto. Si pensava ad esempio che con le nuove tecnologie, la posta elettronica e il lavoro da remoto in primis, potesse intervenire una riduzione delle ore settimanali di applicazione, in particolare nelle professioni d’ufficio. Di fatto, e ciascuno lo ha sperimentato e lo vive quotidianamente, la giornata lavorativa si è allungata a dismisura e in alcuni casi anche senza limiti. Chi non ha mai ricevuto anche a notte alta richieste per compiti last minute, preparazione di analisi e documenti in vista di incontri di lavoro magari non previsti o dimenticati? E quasi tutto questo surplus (=aggravio) rientra nell’ordinario anche se è un super-extra. Il mondo digitale è una moneta con il suo dritto e l’immancabile rovescio e spesso a contare o pesare di più è proprio il rovescio in termini di impegno, anche per la velocizzazione dei mutamenti e degli aggiornamenti che portano come indotto. Non tutti sono predisposti e/o attrezzati, e riciclarsi al mercato del lavoro è operazione sempre più complicata per certi ambiti.

Dei cambiamenti epocali già intervenuti, delle tendenze in atto e degli scenari che si profilano all’orizzonte abbiamo parlato – in questo terzo e ultimo segmento di un’articolata intervista – con Meinrado Robbiani. Lo storico segretario dell’OCST, Organizzazione Cristiano-Sociale Ticinese, oltre al notevolissimo bagaglio di qualità umane ed esperienza nel mondo del lavoro, con equilibrio e capacità di cogliere i segni dei tempi, ha maturato anche un percorso politico di prim’ordine, come Consigliere nazionale a Berna.

Quegli ultimi sussulti di un’epoca al tramonto

Meinrado, hai vissuto il passaggio a quella che per alcuni è già la postmodernità. Da un tempo di saldezze morali alla società liquida. Una tua valutazione…

Ripensando ai primi anni della mia attività sindacale, iniziata nel 1975, mi rendo conto di avere vissuto gli ultimi sussulti di un’epoca del lavoro ormai al tramonto. Si stava spegnendo un mondo dove il lavoro era il fulcro assoluto della questione sociale. Era perno decisivo della trasformazione sociale, tanto da oltrepassare il perimetro dell’impresa per installarsi nell’arena politica, nel campo culturale e nella configurazione stessa della vita collettiva. L’epilogo di questo protagonismo del lavoro era parte integrante del crepuscolo della società industriale e con esso del vigente rapporto tra lavoro e capitale. Pur spigolosa e conflittuale, tra loro sussisteva una relazione stretta che ne faceva il motore della crescita e della ricchezza. La loro congiunzione era d’altronde rafforzata dal condividere lo stesso spazio vitale: il territorio nazionale, dove lo Stato interveniva ridistribuendo la ricchezza attraverso servizi pubblici e sicurezza sociale.

Dove si può fissare il punto di svolta?

Nei primi anni ’80 del secolo scorso la globalizzazione e i mutamenti che vi si sono agganciati hanno spinto il lavoro in una prolungata traversata del deserto. Lo hanno appiattito sulla sua dimensione di costo e ne hanno fatto la vittima sacrificale di una competizione tra imprese su scala ormai mondiale. Delocalizzazioni, esternalizzazioni, statuti lavorativi atipici, disoccupazione, precarietà, povertà, stagnazione salariale: sono tasselli emblematici della stagione regressiva che ha risucchiato il lavoro, inghiottendolo tra i flutti di un’economia in profonda trasformazione. Oltre alla mondializzazione si è infatti prodotta l’espansione del settore terziario, la rivoluzione tecnologica, una accentuata finanziarizzazione dell’economia. Questi mutamenti sono andati a intrecciarsi con quelli in corso nel tessuto sociale. Equilibri e situazioni consolidate sono andate in frantumi.

Pur con contorni e in forma diversa, un ulteriore passaggio d’epoca si riaffaccia oggi. Siamo confrontati con l’avvio di una fase inedita; una svolta tribolata, iniziata in concomitanza con la recente pandemia e le guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

Operai su un cantiere edile

Trasformazioni radicali e perdita di sicurezza

Dalla tua esperienza, in questa staffetta quale è stata la perdita più rimpianta? E un traguardo nuovo raggiunto?

Tra le perdite – purtroppo numerose – mi soffermerei un attimo su quella della sicurezza. Trasformazioni radicali, incertezza occupazionale e pressione sulle condizioni di vita l’hanno incrinata vistosamente, iniettando inquietudine e ansia in ogni ganglio del tessuto sociale. Impastandosi con un accresciuto individualismo, l’insicurezza ha sospinto oltretutto verso un ripiegamento prevalentemente difensivo, che ostacola l’adozione di risposte di lunga gittata. Induce anche a cedere alla tentazione di scaricare il sentimento di vulnerabilità su comodi bersagli più che a sradicare le autentiche fonti dei disagi odierni. All’insicurezza non fa del resto da efficace e sufficiente contrappeso il sistema di sicurezza sociale. Costruito su un modello lavorativo ormai mutato, presenta falle che lasciano tuttora scoperte alcune emblematiche condizioni di disagio e di precarietà.

Entrata e crescente ruolo della donna

Un aspetto positivo intanto si è avuto con il crescente ruolo della donna…

Tra gli aspetti più positivi (non si può parlare di traguardo, purtroppo ancora lontano) inserirei il ruolo della donna nel mondo del lavoro e più in generale nell’intera sfera sociale. C’è stata un’accelerazione nel cammino verso la parità. L’entrata della donna nel mercato del lavoro in misura non solo generalizzata ma anche permanente ha fatto da propellente per una trasformazione del suo ruolo nel lavoro, nella famiglia, e nelle varie diramazioni della vita collettiva. Pur permanendo tuttora ritardi nonché disparità orizzontali e verticali, con la femminilizzazione il mercato del lavoro ha del resto tratto un arricchimento non solo numerico. La lotta delle lavoratrici introduce un elemento di azione collettiva che contribuisce a rianimare spazi di solidarietà andatisi avvizzendo e che apre prospettive promettenti.

Disparità salariale donna-uomo

Clima preoccupante per la contrattazione

I rapporti con i datori di lavoro come sono cambiati strada facendo?

Non senza aspri conflitti e lotte, in passato era andato consolidandosi nel Ticino un rapporto tra padronato e sindacati all’insegna di un preponderante dialogo. Non mancavano momenti di tensione; prevaleva tuttavia la ricerca di intese. Lo comprovano i numerosi contratti collettivi di lavoro che coprivano un’ampia porzione di categorie. Negli ultimi decenni questo clima è andato a sbattere contro indifferenza ed anche resistenze verso il dialogo sociale. Vi ha in particolare contribuito il sorpasso operato dal terziario sull’industria; terziario storicamente sprovvisto di un rapporto stabile e capillare con i sindacati. Con la libera circolazione sono pure andate insediandosi aziende sganciate dalla tradizione locale di contrattazione. Anche alcuni rami industriali di più recente affermazione denotano un atteggiamento di chiusura. Ci si è così trovati di fronte ad accresciute aree dove prevalgono agnosticismo e persino refrattarietà verso la cultura del dialogo e della collaborazione.

Sinergia tra imprese e organizzazioni sindacali

Alla luce delle sfide sempre più agguerrite e su scala più estesa, esperienza e necessità di azione cosa suggeriscono?

Si tratta di attitudini che privano non solo il mondo del lavoro, ma l’intera sfera sociale di un fattore di ordine, stabilità e avanzamento. Condizioni lavorative ben regolate:

  • concorrono al funzionamento equilibrato dell’attività produttiva;
  • riempiono di vitalità lo spazio intermedio tra lo Stato e i soggetti individuali;
  • sono fonte di un clima di pace sociale.

Nell’attuale situazione di accesa competizione internazionale, il dialogo sociale rinvigorisce del resto la compattezza del territorio con una ricaduta benefica sulla sua capacità concorrenziale. Considerando infine le sfide oggi poste dalla digitalizzazione e dalla necessità di integrare obiettivi ecologici, un’azione coordinata delle imprese con le organizzazioni sindacali appare ancora più irrinunciabile e fruttuosa.

Sciopero alle Officine FFS di Bellinzona nel marzo 2008.

Lavoratori in sciopero alle Officine FFS di Bellinzona nel marzo 2008.

Il peso dell’immagine nelle trattative

Le trattative per venire a capo di una vertenza come sono andate cambiando negli anni?

L’evoluzione del mondo del lavoro non ha risparmiato nemmeno il campo delle trattative contrattuali. Soprattutto nella nostra realtà locale di piccole e medie imprese, la globalizzazione ha tenuto sotto pressione i margini di manovra per soluzioni più avanzate. La terziarizzazione dell’economia ha da parte sua rarefatto la cultura del dialogo sociale e del negoziato, tradizionalmente più radicata nel secondario. Trattative perciò più tese sul primo versante e persino difficili da imbastire sul secondo dove c’è una preoccupante aridità contrattuale. Dal profilo dei contenuti, i mutati bisogni del personale hanno allargato la gamma delle rivendicazioni: parità uomo-donna, conciliazione lavoro-famiglia, formazione continua ne sono esempi rappresentativi. Dal profilo delle modalità, in particolare quelle che consentono al sindacato di esercitare pressione sulle imprese, ha acquisito importanza ciò che tocca l’immagine. Le imprese, soprattutto quelle più esposte verso i consumatori, sono attente a non lasciare intaccare la propria immagine. Da qui la possibilità di farne uno strumento di pressione, che va ad aggiungersi a quelli più tradizionali.

Giuseppe Zois

Le precedenti parti dell’intervista a Meinrado Robbiani:

  1. Se la crescita si inceppa ne risentirà purtroppo l’intera popolazione

  2. Mondo del lavoro e politica, verso dove si sta andando?

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