Al Centro Esposizioni (a Cassarate) della “Regina del Ceresio” una «Società Internazionale di Eventi» (?) presenta fino al prossimo 19 gennaio Van Gogh: la mostra multimediale più visitata al mondo. Quasi come una volta nelle piazze di paese si mostrava “La donna cannone” o la “Balena bianca”: «Venghino, venghino signore e signori…»
Dico subito che non andrò a vedere questa esposizione. Essenzialmente per due motivi. 1) Perché ho troppa stima e rispetto per ciò che è stata la vita dell’uomo Vincent Van Gogh. 2) Perché considero la pittura di un artista come il «nostro» ben più meritevole di questo tipo di eventi multimediali da baraccone.
Orio Galli, Il sonno dell’estetica genera mostre (Galli), galligrafia, 2011
Con questo non voglio dire che anche attraverso l’uso dei nuovi strumenti tecnologici non si possano ottenere a volte cose interessanti sul piano estetico. Penso per esempio ai lavori di un Peter Geenaway. Ne abbiamo avuto la dimostrazione qualche anno fa al Cinestar di Lugano. Anche Greenaway ha creato alcuni suoi interessanti lavori multimediali partendo da capolavori dell’arte pittorica classica, come con L’ultima cena di Leonardo da Vinci o Le nozze di Cana di Paolo Veronese. Ma questo colto regista (anche artista pittore) ha un approccio ben diverso con l’opera d’arte. Non cerca comunque facili effetti per soddisfare grossolani palati. Nel caso poi di un artista quasi nostro contemporaneo come è Van Gogh c’è di pure di mezzo la forza espressiva della materia pittorica. E il fascino che trasmette da come lui l’ha trattata a vigorose, nervose, allucinate pennellate. Una materia che non merita di venir appiattita e offesa in questo superficiale modo.
Orio Galli, Il sonno della ragione genera mostri (Goya), galligrafia, 2011
Ora, ridurre le immagini dei quadri di van Gogh a un solo gioco epidermico di luci, di ingrandimenti, di sovrapposizioni… non mi sembra rendere assolutamente un buon servizio nemmeno all’estetica, e alla comprensione delle immagini in generale. Soprattutto pensando ai più giovani, e coloro che vedono per la prima volta – in questo modo – le opere di Van Gogh. Di “effetti speciali” ottenuti attraverso i mezzi elettronici siamo già sommersi giorno e di notte. Meglio allora – piuttosto che spendere 20 franchi per immergersi nell’aria fritta – andar per boschi a raccogliere castagne o per prati ad ammirar girasoli.
Nel 1962, poco più che ventenne andai per vedere Van Gogh in autostop fino ad Amsterdam. Alcuni anni fa, rientrando nel tardo pomeriggio con mia moglie da Strasburgo, ebbi l’occasione di poter ammirare al Kunsthaus di Basilea, a quell’ora semi deserto, una bellissima esposizione dedicata ai paesaggi di Van Gogh. Ma quelli erano quadri. Pitture che trasmettevano grandi emozioni, vera poesia. Non come certe immagini digitali che ti sfiorano e ti scivolano via sul corpo come fossero, nel migliore dei casi, semplice acqua corrente.
«Il sonno della ragione genera mostri» scriveva Francisco Goya un paio di secoli fa. Oggi, sarebbe forse il sonno dell’estetica a generare certe “mostre”?
Orio Galli
Al Centro Esposizioni (a Cassarate) della “Regina del Ceresio” una «Società Internazionale di Eventi» (?) presenta fino al prossimo 19 gennaio Van Gogh: la mostra multimediale più visitata al mondo. Quasi come una volta nelle piazze di paese si mostrava “La donna cannone” o la “Balena bianca”: «Venghino, venghino signore e signori…»
Dico subito che non andrò a vedere questa esposizione. Essenzialmente per due motivi. 1) Perché ho troppa stima e rispetto per ciò che è stata la vita dell’uomo Vincent Van Gogh. 2) Perché considero la pittura di un artista come il «nostro» ben più meritevole di questo tipo di eventi multimediali da baraccone.
Orio Galli, Il sonno dell’estetica genera mostre (Galli), galligrafia, 2011
Con questo non voglio dire che anche attraverso l’uso dei nuovi strumenti tecnologici non si possano ottenere a volte cose interessanti sul piano estetico. Penso per esempio ai lavori di un Peter Geenaway. Ne abbiamo avuto la dimostrazione qualche anno fa al Cinestar di Lugano. Anche Greenaway ha creato alcuni suoi interessanti lavori multimediali partendo da capolavori dell’arte pittorica classica, come con L’ultima cena di Leonardo da Vinci o Le nozze di Cana di Paolo Veronese. Ma questo colto regista (anche artista pittore) ha un approccio ben diverso con l’opera d’arte. Non cerca comunque facili effetti per soddisfare grossolani palati. Nel caso poi di un artista quasi nostro contemporaneo come è Van Gogh c’è di pure di mezzo la forza espressiva della materia pittorica. E il fascino che trasmette da come lui l’ha trattata a vigorose, nervose, allucinate pennellate. Una materia che non merita di venir appiattita e offesa in questo superficiale modo.
Orio Galli, Il sonno della ragione genera mostri (Goya), galligrafia, 2011
Ora, ridurre le immagini dei quadri di van Gogh a un solo gioco epidermico di luci, di ingrandimenti, di sovrapposizioni… non mi sembra rendere assolutamente un buon servizio nemmeno all’estetica, e alla comprensione delle immagini in generale. Soprattutto pensando ai più giovani, e coloro che vedono per la prima volta – in questo modo – le opere di Van Gogh. Di “effetti speciali” ottenuti attraverso i mezzi elettronici siamo già sommersi giorno e di notte. Meglio allora – piuttosto che spendere 20 franchi per immergersi nell’aria fritta – andar per boschi a raccogliere castagne o per prati ad ammirar girasoli.
Nel 1962, poco più che ventenne andai per vedere Van Gogh in autostop fino ad Amsterdam. Alcuni anni fa, rientrando nel tardo pomeriggio con mia moglie da Strasburgo, ebbi l’occasione di poter ammirare al Kunsthaus di Basilea, a quell’ora semi deserto, una bellissima esposizione dedicata ai paesaggi di Van Gogh. Ma quelli erano quadri. Pitture che trasmettevano grandi emozioni, vera poesia. Non come certe immagini digitali che ti sfiorano e ti scivolano via sul corpo come fossero, nel migliore dei casi, semplice acqua corrente.
«Il sonno della ragione genera mostri» scriveva Francisco Goya un paio di secoli fa. Oggi, sarebbe forse il sonno dell’estetica a generare certe “mostre”?
Orio Galli