Una vera Mecca per chi ama il fascino del decadente (Paolo Cagnan)
Il conto alla rovescia… Mancano ormai pochi giorni alla mia partenza sulla Transiberiana (quella che feci nel 2015 era la Transmongolica, Pechino-Mosca). La “classica” parte da Mosca e arriva a Vladivostok, sul Pacifico. La più lunga ferrovia del mondo con quasi 9’300 chilometri, sette fusi orari, 87 fra città e centri abitati minori. Il mio treno diretto prevede 37 fermate, con soste dai 10 ai 30 minuti, giusto per sgranchirsi le gambe ed ammirare la stazione relativa che in Russia è sempre uno spettacolo.
È stata una impresa immane, che ha unificato una nazione immensa e che ha dovuto sfidare problemi di ogni genere, geologici, climatici, politici… Una epopea simile alla conquista americana del Far West anche se molto meno nota… C’era tutta una parte del territorio non ancora sfruttato, poco popolato, dove fiorivano leggende e miti, proprio dovuti all’esotica lontananza e al sentimento dell’ignoto e del mistero a cui si accompagnavano. I viaggi prima della ferrovia erano lunghi e rischiosi. Allora la Russia, dominata da una classe nobiliare reazionaria, era un paese retrogrado, con infrastrutture inadeguate rispetto al resto d’Europa che lo zar Alessandro II s’impegnò a migliorare promulgando un decreto nel 1857 (la prima locomotiva a vapore russa risaliva al 1833). Nel 1836 avvenne il primo viaggio pubblico, 24 km tra San Pietroburgo e Tsarkoe Selo, residenza estiva imperiale. Da allora si moltiplicarono i tracciati ma nella zona europea, al cui centro c’era Mosca. La Siberia rimase abbandonata a se stessa, disabitata e indifesa, fino a quando non vennero fondati nuovi insediamenti sulle rive dell’Amur, ridefinendo anche i confini con la Cina. Nel frattempo si moltiplicarono i progetti, molti provenienti da nazioni straniere, per una linea che raggiungesse la costa del Pacifico. Ma tutto stagnava fino a quando, alla fine del secolo, la situazione divenne critica dal punto di vista politico (mire autonomiste e minacce cinesi) ed economico, sovraffollamento dei villaggi, scarsità di raccolti, carestia e conseguenti disordini, quindi venne incoraggiata, sostenuta l’emigrazione verso la Siberia. Poi cambiò lo zar… Alessandro III nel marzo del 1891 proclamò ufficialmente l’inizio dei lavori, sotto la sovrintendenza di Sergej Witte dai pieni poteri, con l’istituzione di un apposito comitato e il trasferimento dei contadini nelle zone disabitate. Occorrevano acutezza diplomatica per aggirare ostacoli burocratici e varare strategie per ottenere i finanziamenti. Witte si rivelò tanto abile quanto privo di scrupoli.
Il tracciato transiberiano classico prevedeva la partenza dagli Urali (Chelyabinsk), lungo la linea postale fino a Irkutsk per proseguire verso Vladivostok attraverso le regioni incontaminate del Lago Baikal e dei fiumi Amur e Ussuri… Ma questo progetto non incontrò il consenso delle potenti lobby economiche, visto che restavano esclusi importanti centri commerciali e industriali, Perm, Ekaterinburg, Tyumen. E quindi il tracciato venne modificato con maggiori difficoltà tecniche e logistiche (ma visti i risultati, ottenendo ancora maggior fascino agli occhi del viaggiatore di oggi), il treno doveva infatti attraversare foreste, fiumi, montagne, acquitrini… Il tutto in condizioni di lavoro pessime riguardo all’attrezzatura tecnica, al trasporto dei materiali.
Furono reclutati operai locali ed esteri (esistono studi ad esempio sul contributo dei friulani e anche un libro di Carlo Sgorlon, La conchiglia di Anataj) e non pochi forzati tra i prigionieri politici, gli esiliati… Non si contavano le morti per fatica, intemperie, malattie, incursioni di bande di criminali e di tigri affamate (la famosa tigre siberiana oggi in pericolo di estinzione). Diverse tratte furono costruite in parallelo, come quella che doveva raggiungere Omsk e l’Ob e che oggi non fa più parte del tracciato e quella lungo il fiume Ussuri, da Vladivostok a Khabarovsk.
Oltre a utilizzare molta manodopera coreana e cinese, pagata meno dei russi, fu in questo tratto che per la prima volta vennero sfruttati i condannati ai lavori forzati. Complessivamente oltre 15’000 prigionieri (alcuni approfittavano per darsi alla macchia) furono impiegati nella costruzione della Transiberiana, lavoravano anche meglio degli altri, sia per la prospettiva di una riduzione della pena, sia perché tutto sommato avevano condizioni di vita migliore che nei campi.
Il tratto della Siberia centrale (1920 chilometri, dal fiume Ob attraverso Krasnoyark per terminare a Irkutsk) fu molto difficoltoso, venne costruito un ponte sullo Yenisey: superati problemi di ogni genere, dalla mancanza di operai in questi luoghi disabitati, al territorio gelato o fangoso, il primo treno entrò in funzione nel 1898. Contemporaneamente venivano realizzate le altre linee come la Transbaicalica, la Transmongolica, la Circumbaicalica, ad inizio ‘900.
Per l’occasione inaugurale venne realizzato e pubblicizzato un “lussuoso palazzo ambulante”. La sua presentazione al mondo avvenne in occasione dell’Esposizione universale di Parigi del 1900. Si puntava sul fascino dell’esotico e del selvaggio con orsi polari impagliati che si arrampicavano su un iceberg. Ma erano mostrati anche gli interni di vagoni della prima classe dotati di ogni comodità e arredati con un misto di stili impero e orientale. E le prelibatezze offerte dal vagone ristorante dove ovviamente non mancava il caviale mentre (in mancanza di video) un fondale dipinto mostrava un finto paesaggio. E poi: la carrozza fumatori, il salone con pianoforte, una biblioteca, una palestra e un bagno in marmo e ottone. E prima della Rivoluzione c’era anche uno scompartimento con icone, altari e campane, dove si celebrava la messa russo-ortodossa. Quando il treno si fermava in un posto che non possedeva ancora una chiesa, si tenevano funzioni per i locali (nel 2005 la chiesa russa ha firmato un accordo con le ferrovie statali per il ripristino di carrozze-cappella e delle chiese situate nelle stazioni).
Si sa, ieri come oggi, la pubblicità è una cosa, la realtà è un’altra. Su alcune tratte finivano le scorte di cibo. Qualcuno scrisse nel 1902: “La miserabile saletta da pranzo era gremita di russi. E per quel che gliene importava, un viaggiatore straniero avrebbe anche potuto morire di fame”. I ritardi non si contavano, anche di giorni (contrariamente ad oggi dove la puntualità della Transiberiana è proverbiale), era inoltre una linea pericolosa con frequenti incidenti: le traversine si spezzavano, i ponti crollavano, i binari si deformavano. Non si superavano i 25 chilometri orari (oggi non è certo un treno ad alta velocità, ma peccato se lo diventasse, qualcuno sogna di fare il percorso in 24 ore, ma che senso avrebbe se la bellezza è proprio nella sua lentezza? Comunque la velocità oraria odierna è sui 60 chilometri, non è un viaggio per impazienti…).
Iniziarono anche i tour di scrittori, intellettuali, artisti che dedicarono a questo percorso le loro opere, anche di viaggiatori coraggiosi ovviamente. In quanto ai russi, per loro era: la “pista del cammello” perché si snodava in mezzo al nulla, passando attraverso piccole cittadine.
La motivazione principale di una simile impresa non era certo quella turistica ma la conquista economica e sociale della Siberia. Tra il 1891 e il 1914 si trasferirono qui oltre cinque milioni di persone, anche se le condizioni di viaggio per loro, in terza classe, erano pessime.
La Transiberiana seguì le vicende politiche del paese, anzi ne fu una delle protagoniste, le condizioni durissime del lavoro a cui gli operari erano stati costretti portarono ad uno sciopero generale che poi si estese in tutto il paese, nel 1905. Così pure nel 1917: l’ala radicale dei ferrovieri giocò un importante ruolo nella Rivoluzione. Con lo sciopero riuscirono a far fallire il colpo di stato di Kornilov le cui truppe non riuscirono a raggiungere la capitale. La Transiberiana si trovò contesa sul fronte della guerra civile. I bolscevichi ci misero tre anni per conquistarne l’assoluto controllo. E fu pure determinante per la sopravvivenza dell’esercito russo durante l’occupazione tedesca della Seconda guerra mondiale (per il trasporto di truppe e materiali).
Nel tempo le strutture ferroviarie vennero migliorate, la Siberia conobbe una progressiva industrializzazione (anche con gravi danni all’ambiente) e un’omologazione che tese a distruggere le culture indigene. Sotto Stalin divenne inoltre quel simbolo sinistro associato ai gulag (ma già nei secoli precedenti era consuetudine la pena dell’esilio in Siberia per dissidenti politici e criminali; i decabristi resero Irkutsk un centro culturale; mentre tra gli esiliati eccellenti ci fu Dostoevskij). Ma la deportazione ai tempi di Stalin raggiunse culmini di brutalità inaudita che portava, nella maggioranza dei casi, alla morte per malattie, stenti, torture.
Come già scritto, la stessa ferrovia fu una causa di mortalità. Un suo tratto venne chiamato addirittura “Ferrovia della morte”, i 1’297 chilometri che collegavano Salekhard e Igarka progettati sotto Stalin. Per le condizioni climatiche in questo estremo Nord gli uomini furono decimati. Dopo la morte di Stalin s’interruppero i lavori e ben presto l’inclemente natura si riprese tutto. Di quell’impresa non restano che rottami e spettrali villaggi inghiottiti dalla vegetazione.
Manuela Camponovo