Santi e bevitori (Adelphi 2024) di Lawrence Osborne offre un’originale e avvincente esplorazione del rapporto tra culture e alcol. Invece di ricorrere a metodi convenzionali per affrontare l’alcolismo, Osborne intraprende un viaggio attraverso il mondo islamico. E cerca di comprendere la vita degli astemi e di scoprire se da loro si possa imparare qualcosa. Un’audace avventura che lo porta da Surakarta in Indonesia, presidio di al-Qaida (dove sotto un ritratto di Osama bin Laden degli studenti cercano di convincerlo che l’alcol è «una malattia dell’anima»), a Mascate in Oman (dove si lancia in una frenetica ricerca di champagne per festeggiare il nuovo anno). Il viaggio culmina a Islamabad, dove Osborne si cimenta nella temeraria “avventura culturale” di ubriacarsi «in uno dei paesi più pericolosi e ostili all’alcol». Attraverso queste esperienze, l’autore offre uno sguardo allo stesso tempo divertente e profondo sulle differenze culturali legate al consumo di alcolici.
Il libro di Lawrence Osborne è un’opera scorrevole e sarcastica che si rivolge a un pubblico variegato. Appunto: «santi e bevitori, alcolisti ed astemi». Il viaggio inizia a Milano con un capitolo intitolato “Gin tonic”. Qui l’autore riflette sul piacere del bere come parte intrinseca dell’essere umano. Descrive il bere in Italia come «un rito collettivo, giocoso, esibito, che si consuma su sedie di vimini, con tanto di tovaglioli, camerieri e pinze da ghiaccio». Citando Roland Barthes, ricorda la differenza culturale nell’approccio al bere. «In altri paesi si beve per ubriacarsi e tutti lo dicono apertamente; in Francia l’ubriachezza è una conseguenza, mai un’intenzione. Un bicchiere è percepito come il dispiegarsi di un piacere, non come la causa necessaria di un effetto desiderato: il vino non è solo un filtro, è anche atto durevole del bere». A Giacarta, Osborne incontra giovani musulmani che offrono una prospettiva diversa sull’alcol.
Secondo loro, «L’aspetto terrificante del bere è che altera il normale stato di coscienza, falsando ogni rapporto umano, ogni momento di consapevolezza. Falsando anche il rapporto con Dio». Questa visione contrasta con l’atteggiamento occidentale verso l’alcol, evidenziando il divario culturale che Osborne esplora nel libro. Si passa a Beirut, con una vodka Martini. «Il bevitore, quando va in giro camminando, è svantaggiato. Mi inerpico fin oltre il cimitero druso e un soldato mi ferma: mi chiede in un inglese stentato se ho bisogno di sedermi a riposare. Riflettendoci, è una buona idea». Qui, Lawrence Osborne assapora il Cuvée de l’Ange, un blend di Syrah, Mourvèdre e Grenache. Descrive Beirut come «un posto che straccia l’equilibrio mentale del visitatore», paragonandola a Napoli. «La delinquenza e l’apatia, la bellezza, l’intensità melodrammatica delle strade, la malinconia del mare; i bar dove la vita sembra interrompersi e ricominciare per poi interrompersi di nuovo».
Il viaggio prosegue ad Abu Dhabi, dove Osborne riflette sugli effetti dell’alcol sulla memoria. «Dell’alcol, l’aspetto più umiliante è l’erosione istantanea della memoria recente», scrive. «La mente che si ricompone dopo una sbornia è piena di domande, ma non trova le risposte». L’hangover? «È lento, meditativo; ci induce a guardarci dentro e a fare chiarezza. I postumi di una lieve intossicazione sono purificanti a livello mentale. Ci permettono di tornare padroni della nostra mente, di ricostruirla e riacquistare una sorta di coraggio eccentrico». Queste riflessioni offrono una prospettiva insolita e “filosofica” sugli effetti dell’alcol, andando oltre la semplice condanna o glorificazione del bere. Il viaggio lo porta anche in Inghilterra, al Nellie Dean di Londra, dove continua le sue riflessioni sull’alcol. «Gli stati d’animo indotti dall’alcol sono macchie di colore mescolabili a caso su una tavolozza psicotica», osserva.
Santi e bevitori (Adelphi 2024) di Lawrence Osborne offre un’originale e avvincente esplorazione del rapporto tra culture e alcol. Invece di ricorrere a metodi convenzionali per affrontare l’alcolismo, Osborne intraprende un viaggio attraverso il mondo islamico. E cerca di comprendere la vita degli astemi e di scoprire se da loro si possa imparare qualcosa. Un’audace avventura che lo porta da Surakarta in Indonesia, presidio di al-Qaida (dove sotto un ritratto di Osama bin Laden degli studenti cercano di convincerlo che l’alcol è «una malattia dell’anima»), a Mascate in Oman (dove si lancia in una frenetica ricerca di champagne per festeggiare il nuovo anno). Il viaggio culmina a Islamabad, dove Osborne si cimenta nella temeraria “avventura culturale” di ubriacarsi «in uno dei paesi più pericolosi e ostili all’alcol». Attraverso queste esperienze, l’autore offre uno sguardo allo stesso tempo divertente e profondo sulle differenze culturali legate al consumo di alcolici.
Il libro di Lawrence Osborne è un’opera scorrevole e sarcastica che si rivolge a un pubblico variegato. Appunto: «santi e bevitori, alcolisti ed astemi». Il viaggio inizia a Milano con un capitolo intitolato “Gin tonic”. Qui l’autore riflette sul piacere del bere come parte intrinseca dell’essere umano. Descrive il bere in Italia come «un rito collettivo, giocoso, esibito, che si consuma su sedie di vimini, con tanto di tovaglioli, camerieri e pinze da ghiaccio». Citando Roland Barthes, ricorda la differenza culturale nell’approccio al bere. «In altri paesi si beve per ubriacarsi e tutti lo dicono apertamente; in Francia l’ubriachezza è una conseguenza, mai un’intenzione. Un bicchiere è percepito come il dispiegarsi di un piacere, non come la causa necessaria di un effetto desiderato: il vino non è solo un filtro, è anche atto durevole del bere». A Giacarta, Osborne incontra giovani musulmani che offrono una prospettiva diversa sull’alcol.
Secondo loro, «L’aspetto terrificante del bere è che altera il normale stato di coscienza, falsando ogni rapporto umano, ogni momento di consapevolezza. Falsando anche il rapporto con Dio». Questa visione contrasta con l’atteggiamento occidentale verso l’alcol, evidenziando il divario culturale che Osborne esplora nel libro. Si passa a Beirut, con una vodka Martini. «Il bevitore, quando va in giro camminando, è svantaggiato. Mi inerpico fin oltre il cimitero druso e un soldato mi ferma: mi chiede in un inglese stentato se ho bisogno di sedermi a riposare. Riflettendoci, è una buona idea». Qui, Lawrence Osborne assapora il Cuvée de l’Ange, un blend di Syrah, Mourvèdre e Grenache. Descrive Beirut come «un posto che straccia l’equilibrio mentale del visitatore», paragonandola a Napoli. «La delinquenza e l’apatia, la bellezza, l’intensità melodrammatica delle strade, la malinconia del mare; i bar dove la vita sembra interrompersi e ricominciare per poi interrompersi di nuovo».
Il viaggio prosegue ad Abu Dhabi, dove Osborne riflette sugli effetti dell’alcol sulla memoria. «Dell’alcol, l’aspetto più umiliante è l’erosione istantanea della memoria recente», scrive. «La mente che si ricompone dopo una sbornia è piena di domande, ma non trova le risposte». L’hangover? «È lento, meditativo; ci induce a guardarci dentro e a fare chiarezza. I postumi di una lieve intossicazione sono purificanti a livello mentale. Ci permettono di tornare padroni della nostra mente, di ricostruirla e riacquistare una sorta di coraggio eccentrico». Queste riflessioni offrono una prospettiva insolita e “filosofica” sugli effetti dell’alcol, andando oltre la semplice condanna o glorificazione del bere. Il viaggio lo porta anche in Inghilterra, al Nellie Dean di Londra, dove continua le sue riflessioni sull’alcol. «Gli stati d’animo indotti dall’alcol sono macchie di colore mescolabili a caso su una tavolozza psicotica», osserva.