La telefonata in dialetto suonava più o meno così: «Architetto, visto che a Mogno le fanno difficoltà, venga da noi a costruire la sua chiesa». Sabato mattina, primavera 1992, Egidio Cattaneo aveva ingenuamente fatto il numero dello studio e chi gli risponde? Mario Botta in persona, unico a non mollare nei fine settimana. L’architetto capisce e non capisce, conosce appena l’imprenditore di Bironico, non sa bene dove collocare il Tamaro… Però è fulmineamente comprensivo. Massì, vediamo, chissà, grazie…
Quante volte ne ho parlato con Egidio Cattaneo, quante volte ho scritto di quella chiesa sulla montagna, quante volte son salito insinuandomi tra Botta, Enzo Cucchi e talvolta Padre Giovanni Pozzi… Perché se Cattaneo aveva telefonato a Botta, Botta ha chiamato Enzo Cucchi ricordandosi d’una reciproca promessa (…quando capiterà l’occasione, lavoreremo insieme) e coinvolto P. Pozzi, Uni di Friborgo, Contini e Billanovich, maestro per eccellenza di letteratura barocca e, nell’occasione, di esegesi mariana, ossia riferita alla Madonna. E finalmente è arrivato Villi Hermann con la voglia di documentare, comprendere, interpretare.
Questa premessa aiuta a capire il suo film TAMARO. Pietre e angeli. Mario Botta, Enzo Cucchi, presentato al Festival nella versione restaurata, ossia traslata (benissimo) dal 16 mm. al digitale. Dove realtà e immaginazione si rincorrono e s’intrecciano. Come in tutta l’opera di Villi Hermann, tignoso e progressivo nei documentari d’inchiesta (Cerchiamo per subito operai, offriamo… 1974, e poi tanti altri dagli anni ’80) e in film (Innocenza, Matlosa) che hanno immesso nel cinema svizzero un’impalpabile, poetica leggerezza nello scandire caratteri, attese, emozioni. Attimi sospesi, come le nuvole che salgono verso il Tamaro e le albe sospese sul mare di Ancona, terra di Cucchi, che sul Tamaro ha ampliato, grazie a Botta e P. Pozzi, gli spazi del suo dipingere ribadendo l’apparato simbolico della Transavanguardia teorizzata da Achille Bonito Oliva, di cui è un portagonista.
Villi Hermann da decenni si è fatto promoter, ha una casa di produzione, ma pochi sanno che è approdato al cinema attraverso l’arte. Nel 1964, 23 anni, ha esposto alla Galleria il Nocciolo di Lugano e recentemente una serie di acquarelli su Venezia. Nel mezzo tanto cinema, partendo dal reale e da testi, ma sempre usandolo come una tela su cui dipingere gli spazi interiori. Come Cucchi con le mani offerenti nell’abside della chiesa del Tamaro sotto l’attenzione trepida di Botta. Come le formelle mariane suggerite da P. Pozzi (Maria cedro, cipresso, melograno, torre…) alle finestrelle rivolte verso la valle. E il crescere sul crinale, il raccogliersi su se stessa e l’aprirsi della chiesa di Botta, che nel film di Villi Hermann diventa viva mentre prende forma e pare respirare con le sue pietre e il profilo che s’allunga magistralmente sulla montagna.
Dalmazio Ambrosioni