È stato un successo lo spettacolo andato in scena al LAC ieri sera e diretto da Paolo Valerio, riadattamento delle Baruffe chiozzotte di Goldoni, uno degli ultimi testi scritti dal noto commediografo veneziano prima di lasciare la patria e stabilirsi definitivamente in Francia.
Andata a suo tempo in scena nel 1762, la popolarità della commedia di Goldoni è stata sempre limitata dal particolare idioma con cui è stata scritta, misto di dialetto veneziano e chioggiano (città ove è ambientata la vicenda). L’utilizzo del vernacolo (rispondente ad una precisa scelta di Goldoni, ossia l’esatta imitazione della natura) nella commedia, e rispettata fedelmente nello spettacolo di ieri sera, sembrava inizialmente limitare la comprensione dell’opera – e quindi il suo apprezzamento – anche da parte del pubblico luganese, che in tutta la prima parte dello spettacolo si è mantenuto piuttosto composto. Tuttavia, nel corso della rappresentazione, gli spettatori – abituatisi all’uso di questo particolare dialetto – non hanno potuto fare a meno di apprezzare la riproposta di Paolo Valerio, applaudendo a scena aperta gli attori, che hanno saputo rappresentare appieno la semplicità e veracità dei personaggi originari.
L’idea di scenografia, condivisa dal regista con Antonio Panzuto, abolisce le sottili pareti delle case per andare oltre ed entrare ancora di più nelle anime dei personaggi. Una scelta scenografica semplice, ma dal grande impatto: figurano sul palco solo qualche sedia, e avvolgono le quinte lunghi lenzuoli bianchi, che si tingono, in base agli eventi, di vivaci colori: di rosee tinte durante i pettegolezzi delle fanciulle, di blu elettrico per preannunciare l’arrivo dei pescatori di Chioggia, e di arancio deciso per enfatizzare i momenti di tensione della vicenda.
Per quanto riguarda invece i movimenti di scena, pensati da Monica Codena, si avvalgono di un espediente vincente: quando gli attori non sono coinvolti si estraniano, e, seduti sulle loro sedie, ed immobili, sembrano ricordare al pubblico che sono semplici personaggi, pronti a prendere vita al momento della loro parte.
Le “baruffe” hanno inizio quando il battelliere Toffolo (rappresentato efficacemente da Luca Altavilla), detto il “Marmottina”, civetta con Lucietta (impersonata da Anna Tringali), provocando così la gelosia della giovane Checca (Margherita Mannino) e l’ira del pescatore Titta-Nane (ritratto da Francesco Wolf), promesso sposo della prima. Una volta ritornati a casa i pescatori di Chioggia, venuti a conoscenza del pettegolezzo, si scagliano contro il povero Toffolo, reo di aver offerto della “zucca baruffa” alle giovani fanciulle. Si troverà così coinvolta anche l’arguta Orsetta (interpretata da Francesca Botti), che vede sfumare il suo sogno di matrimonio con Beppe (impersonato da Riccardo Gamba).
Il “Marmottina” si vendica dell’affronto denunciando l’accaduto al Cogitore (alter-ego di Goldoni). Questi, di conseguenza, invita a colloquio tutte le donne implicate nella vicenda, le quali appaiono piuttosto restie a parlare: non tanto per raccontare l’accaduto, quanto piuttosto per dichiarare la loro età (tanto che Madonna Libera – rappresentata da Stefania Felicioli– si fingerà, a tal fine, sorda). Il pubblico del LAC, di fronte a questa scena comica (retta brillantemente dal Cogitore Piergiorgio Fasolo e il messo Vincenzo Tosetto), prorompe quindi in una equanime risata. A rincarare la dose è il Fortunato di Valerio Mazzucato, le cui frasi balbettanti e la cui mimica ha costantemente divertito gli spettatori. La vicenda è prossima alla risoluzione: il Cogitore, resosi conto che si tratta solo di una “baruffa”, riesce a ripristinare i due matrimoni originari e ad organizzarne un terzo, quello di Checca con Toffolo. Chiude in bellezza il coro delle “chiozzotte”, intonato sulle note di Antonio di Pofi: «Semo done da ben, e semo donne onorate; ma semo aliegre, e volemo stare aliegre, e volemo balare, e volemo saltare. E volemo che tutti posso dire: e viva le Chiozotte, e viva le Chiozotte!».
Il riadattamento della commedia goldoniana da parte di Paolo Valerio è stato, come aveva promesso egli stesso «un affresco di grande leggerezza e irresistibile divertimento». Uno splendido spettacolo, apprezzabile sia nella scelta di fedeltà al testo (l’utilizzo del vernacolo), e al contesto in cui nasce (la Chioggia settecentesca, abilmente rievocata dai meravigliosi costumi scelti da Stefano Nicolao), così come negli elementi innovativi introdotti (la semplice ed efficace coreografia).
Lucrezia Greppi