Tutta l’arte della vita consiste nel trarre il meglio dalle forzate circostanze nelle quali ci si trova. (Xavier De Maistre)
Mai massima è più pertinente di questi tempi. Ci voleva il coronavirus per risvegliare da un letargo polveroso l’opera di De Maistre oggi citatissima dai social, Voyage autour de ma chambre, pubblicata per la prima volta a Losanna, nel 1795, dal fratello maggiore all’insaputa dell’autore.
Un duello confina agli arresti domiciliari il giovane De Maistre per 42 giorni, una quarantena nella Torino di fine Settecento. E suo malgrado diventa flâneur nella propria stanza. Per ingannare la noia della reclusione, scopre e diffonde un nuovo modo di viaggiare, una risorsa offerta allora agli ammalati, ai pigri, a tutti coloro che a causa di qualsiasi motivo sono costretti a vivere in spazi limitati, da fermi, ma non immobili. Ne decanta i vantaggi, l’autore: si risparmia denaro, visto che non si spende in trasporti, in alloggi, in ristoranti; si è al riparo dagli incidenti e dai pericoli esterni, oltre che dai ladri e dalla fatica. C’è da sottolineare che De Maistre era un privilegiato, aveva tutte le comodità e un domestico a disposizione, oltre che una cagnetta a tenergli compagnia. Privilegiato rispetto alla sua epoca, ma anche alla nostra. Però qualche sua considerazione e divagazione metafisica può essere utile e fa passare il tempo.
La casa. Le nostre stanze. Se siamo indaffarati, la maggior parte di noi trascorre la propria vita fuori, in altri luoghi. Non si gode più di quel tanto l’abitazione, pasti frettolosi, magari il salotto per un po’ di televisione… Non conosciamo gli ambienti quotidiani nel variare della luce che scorre sulle pareti lungo le ore del giorno. E i mobili, ogni oggetto ha una storia da raccontare, ricordi da evocare. Quelli che può narrare lo scrittore passando dalla poltrona allo scrittoio, al letto… quel letto che in sé raccoglie molte simbologie, nascita, amore, morte. Un tempo era così, qui si racchiudevano gli eventi capitali dell’esistenza umana. E vi è mai capitato di spolverare? Un gesto banale che però porta a ri-vedere con un nuovo sguardo quei quadri, quei soprammobili sempre presenti da passare ormai inosservati? Per non parlare dei libri… Le cose sono ricettacoli di infinite memorie, dalla prima comparsa, un’eredità un regalo, un acquisto in un determinato momento della vita, tante “madeleine” da riscoprire e di cui riprendere coscienza. «Se solo riuscissimo a vivere il nostro ambiente quotidiano con lo spirito del viaggiatore potremmo scoprire che esso non è affatto meno interessante degli alti passi montani e delle giungle popolate da farfalle del Sudamerica», scrive lo scrittore Alain de Botton (nato a Zurigo nel 1969) che ha dedicato un libro all’Arte del viaggiare (2002, nella versione italiana). L’opera di De Maistre ebbe tantissime traduzioni e imitazioni in genere mediocri, con tutta una serie di viaggiatori in microcosmi, dai giardini alle tasche… Leggere per credere.
In quanto a me, ho sempre amato anche gli universi minimalisti. Una volta, partecipando al corso di scrittura di viaggio, Claudio Visentin ha dato il compito di scrivere di un luogo o comunque uno spazio che ci aveva colpito particolarmente durante i nostri viaggi, offrendo un punto di osservazione personale. Potevo scegliere tanti panorami esotici, ma a volte proprio perché troppo impegnati ad inseguire l’altrove, ci dimentichiamo della bellezza della prossimità. E allora io scelsi le betulle su cui si affaccia il balcone di casa mia. Mi affascinano da sempre, adesso me le posso godere di più. Sono un fantastico metronomo stagionale e anche quest’anno, in questa primavera vissuta lontana da parchi e boschi, sono tornate ad esibire la loro verde chioma con puntualità estremamente svizzera: le prime foglioline sono spuntate il 20 marzo e ora è un trionfo slanciato verso il sole. Le contemplo spesso, alzando gli occhi dal computer, da un libro, da una riflessione… Sono lì, vive, interlocutorie, amabili. Sebbene sia il Sud, la Fenice, il futuro del Feng Shuji che vorrebbe un orizzonte sgombro per progettare, mobilizzare l’avvenire. Ma ora c’è poco da mobilizzare. Meglio accontentarsi del presente. Un po’ simile e un po’ in contraddizione con quella famosa e malinconica poesia di William Wordsworth, Splendore nell’erba: «…ma se la radiosa luce che una volta, / tanto brillava negli sguardi è tolta / se niente può far che si rinnova / all’erba il suo splendore / e che riviva il fiore / della sorte funesta non ci dorrem, / ma ognor più saldo in petto / godrem di quel che resta…».